La desistenza nel delitto tentato

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Focus sulla configurabilità della desistenza del singolo concorrente nella ipotesi di concorso di persone nel reato

Indice

1 La desistenza volontaria: disciplina e controversa natura giuridica

In tema di delitto tentato, la desistenza volontaria, disciplinata al comma 3 dell’art. 56 c.p., ricorre tutte le volte in cui l’agente, dopo aver iniziato l’esecuzione del delitto ed avendo l’oggettiva possibilità di proseguire nell’iter criminis, in quanto in pieno dominio dell’azione, muta proposito ed interrompe volontariamente l’azione in essere.
Tale fattispecie è stata per lungo tempo al centro del dibattito dottrinario e giurisprudenziale, volto ad inquadrarne la ratio e la natura giuridica, nonché la sottile linea di demarcazione con la fattispecie del recesso attivo prevista al successivo comma 4, che invece ricorre quando, portata a termine la condotta criminosa tipica, l’agente si adoperi per impedire il verificarsi dell’evento.
Diverse sono state le teorie prospettate in proposito: alla tradizionale teoria del cd. “ponte d’oro”, ispirata all’esigenza di politica criminale di riconoscere benefici all’autore che non porti a termine il progetto criminoso, si sono progressivamente affiancate altre tesi sostanzialmente incentrate sulla minore capacità a delinquere del reo e sulla riduzione della colpevolezza.
Strettamente connessa e piuttosto problematica è la definizione della natura giuridica della desistenza volontaria, di volta in volta inquadrata tra le cause personali di esenzione della pena, tra le cause sopravvenute di non punibilità, tra le cause di estinzione del reato e persino tra le cause di esclusione del fatto tipico.
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2 La posizione della giurisprudenza e della dottrina

La posizione della giurisprudenza sul punto, inizialmente incerta e incostante, pare oggi pressoché univoca nel considerare la desistenza volontaria come una esimente che esclude ab extrinseco ed ex post la punibilità del fatto, sicché la sua applicabilità presuppone che l’azione sia penalmente rilevante in quanto pervenuta alla fase del tentativo punibile.
La giurisprudenza di legittimità si è altresì soffermata sulla ratio dell’istituto, prendendo atto delle varie posizioni assunte dalla dottrina, con particolare attenzione al momento entro il quale può intervenire la desistenza.
Innanzitutto è stato osservato come la desistenza trovi giustificazione in ragioni di politica criminale: il legislatore, infatti, pur a fronte di atti già compiuti, volti alla realizzazione di un delitto, ha preferito privilegiare il momento di volontario ripensamento prima che il suddetto delitto fosse portato al definitivo compimento, sul presupposto della ridotta capacità criminale di chi volontariamente desiste dal perfezionamento del crimine.
È evidente come la desistenza volontaria possa trovare applicazione solo in certi limiti e condizioni, innanzitutto di carattere temporale; infatti, affinché assuma giuridico rilievo, è necessario da un lato che l’azione sia penalmente rilevante, riconducibile quantomeno alla fase del tentativo punibile, e dall’altro, che perduri la oggettiva possibilità di portare a compimento il delitto con la conseguenza che, laddove tale possibilità non vi sia più, ricorre, qualora sussistano i requisiti, l’ipotesi di delitto tentato.
Tale questione è stata molto dibattuta anche in dottrina la quale ha prospettato soluzioni ermeneutiche piuttosto variegate, tra cui degne di nota sono sicuramente quella che prende in considerazione la distinzione tra tentativo compiuto e tentativo incompiuto o quella del cd. dominio diretto, essenziali oltre che a chiarire l’ambito di operatività della desistenza volontaria, anche a tracciare il discrimen con la diversa ipotesi di recesso attivo.
Tale differenza andrebbe ricercata nel fatto che mentre la desistenza costituisce un abbandono dell’azione quando l’agente ne domina in modo diretto e immediato il divenire, il recesso è caratterizzato da un intervento postumo, diretto a neutralizzare le conseguenze dannose dell’azione, quando ormai tale dominio è cessato.
Questa distinzione si assottiglia e risulta particolarmente problematica per i reati di evento a forma libera, come nel caso paradigmatico dell’omicidio.
In questi casi la desistenza può trovare applicazione solo nell’ipotesi del tentativo incompiuto e pertanto non è configurabile se siano stati posti in essere atti da cui trae origine il meccanismo causale che produce l’evento, rispetto ai quali può, al più, operare il recesso laddove l’agente si sia attivato per scongiurare l’evento.
Alla luce di tali argomentazioni, la Cassazione sembra propendere per la teoria del dominio dell’azione precisando che ai fini della configurazione della desistenza volontaria, è necessario che l’autore inverta con modalità inequivoche la situazione, di cui deve avere il pieno dominio e che tale scelta sia assolutamente libera e non riconducibile alla sopravvenienza di cause esterne che possano in qualche modo influenzarne le determinazioni.
Tale principio è stato richiamato in modo chiaro da una recente pronuncia della Cassazione (Cass. Sez. V, 30 marzo 2021, n. 12045) che ha escluso la configurabilità della desistenza nell’ipotesi di un agguato realizzato da un commando della ‘Ndrangheta, poi non portato a termine per la scelta dei componenti del gruppo di fuoco in considerazione del rischio, non preventivato, di colpire i familiari della vittima. La Corte ha sottolineato come l’interruzione dell’azione criminosa non fosse riconducibile ad una libera scelta dei suoi autori quanto piuttosto alla considerazione del fatto, oggettivo e non programmato, che l’azione, qualora fosse stata portata a termine, avrebbe, con ogni probabilità, determinato conseguenze ben più gravi di quelle volute.
L’elemento volontaristico, dunque, assume rilievo pregnante ai fini della configurabilità della desistenza, che, a contrario, è esclusa tutte le volte in cui la mancata consumazione del delitto sia necessitata e dovuta a circostanze esterne che rendano irrealizzabile o troppo rischioso il proseguimento dell’azione criminosa.
È infatti pacifico e consolidato in giurisprudenza che in tema di desistenza, la mancata consumazione del delitto debba dipendere dalla volontaria scelta dell’agente; in altre parole, la determinazione a desistere dal portare a compimento un’azione delittuosa deve essere libera e assunta indipendentemente da cause esterne condizionanti, tali da incidere sul processo volitivo influenzandolo o vincolandolo.
In tal senso, ad esempio, la Corte ha affermato che integra il reato di violenza sessuale tentata e non un’ipotesi di desistenza volontaria, il mancato soddisfacimento delle richieste a sfondo sessuale del reo da parte della vittima conseguente al rifiuto opposto da quest’ultima, dal momento che l’impossibilità di portare a consumazione il reato per l’opposizione della parte offesa costituisce un fatto che prescinde dalla volontà del reo.
La libera determinazione dell’agente non deve tuttavia essere intesa come spontaneità, non essendo necessari motivi etico-morali di ripensamento né un vero e proprio pentimento, per cui la desistenza non è esclusa dalla valutazione degli svantaggi che deriverebbero dal perseguimento dell’azione criminosa, purché la decisione di interromperla non risulti necessitata.

3 Configurabilità della desistenza nell’ambito di concorso di persone nel reato

Un aspetto particolarmente problematico e oggetto di discussioni in dottrina e giurisprudenza riguarda l’ipotesi della desistenza nell’ambito del concorso di persone.
Parte della dottrina ha fortemente valorizzato l’unicità della fattispecie plurisoggettiva che determinerebbe la inscindibilità del contributo del singolo compartecipe; affinchè possa configurarsi la desistenza, secondo tale tesi, sarebbe necessario un effettivo impedimento del reato concorsuale da parte del singolo.
Questa impostazione, tuttavia, prestava il fianco a numerose critiche, innanzitutto in quanto sfavoriva ingiustificatamente il contributo del correo, negandogli il riconoscimento di una esimente che veniva invece riconosciuta all’autore unico di reato.
È stata dunque suggerita una nuova prospettazione che estende anche al correo l’applicabilità della desistenza tutte le volte in cui questi, interrompendo l’azione criminosa, si adoperi per neutralizzare gli effetti della propria condotta sulla produzione collettiva del reato.
Su questa spinosa questione è intervenuta più volte la giurisprudenza di legittimità che, con consolidato orientamento, si è spinta a riconoscere la desistenza anche all’ipotesi di concorso di persone nel reato, purché questa non si traduca in un mero abbandono o interruzione dell’azione criminosa; sostiene la Corte infatti, che ai fini del riconoscimento della esimente in questione, è necessario un quid pluris, consistente nell’annullamento del contributo dato alla realizzazione collettiva e nella eliminazione delle conseguenze dell’azione che fino a quel momento si sono prodotte.
Un simile approdo risulta giustificato e necessitato proprio in considerazione della peculiare struttura unitaria del reato concorsuale, laddove la semplice desistenza da parte di uno dei concorrenti non è di per sé sufficiente a scriminarne la responsabilità.
Quanto agli effetti che la desistenza del correo spiega sugli altri compartecipi, è pacifico che occorre distinguere a seconda dei casi: si sostiene infatti, che affinché la desistenza del correo si riverberi favorevolmente anche nei confronti degli altri compartecipi è necessario che venga innescato un processo causale che arresti l’azione di questi ultimi e impedisca l’evento. Ove, invece, la desistenza del singolo elimini soltanto gli effetti della proprio individuale condotta, rendendola estranea ed irrilevante rispetto al reato commesso dagli altri o rimasta allo stato di tentativo, di tale desistenza non possono beneficiare gli altri compartecipi, le cui condotte pregresse conservando inalterata la loro valenza causale, hanno determinato conseguenze ormai irreversibili e funzionali alla realizzazione del reato o quantomeno alla configurazione del tentativo punibile.

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Aggiornato alla L. 30/12/2022 n. 199, di conv. con modif. D.L. 31/10/2022 n. 162, l’opera fornisce un inquadramento del D.Lgs. 150/2022, nel tentativo di affrontare e offrire le soluzioni pratiche dei numerosi problemi che un provvedimento di tale portata presenta.

FORMATO CARTACEO

Esecuzione del reato continuato

Con il presente testo si vuole fornire all’operatore del diritto un attento ed organico approfondimento della disciplina relativa al concorso formale tra reati ed al reato continuato, dettata dall’articolo 81 del codice penale, focalizzando in particolare l’attenzione sull’applicazione di tali istituti proprio nella fase esecutiva della condanna penale.Curata ed approfondita, la trattazione dedicata ai principi operanti in materia così come desumibili dalla elaborazione giurisprudenziale: il testo, infatti, è arricchito da una raccolta organica, aggiornata e ragionata dei provvedimenti resi dalla giurisprudenza di legittimità con specifica indicazione, all’interno di ogni singola massima, del principio cardine.Paolo Emilio De SimoneMagistrato dal 1998, dal 2006 è in servizio presso la prima sezione penale del Tribunale di Roma; in precedenza ha svolto le sue funzioni presso il Tribunale di Castrovillari, presso la Corte di Appello di Catanzaro, nonché presso il Tribunale del Riesame di Roma. Nel biennio 2007/08 è stato anche componente del Collegio per i reati ministeriali presso il Tribunale di Roma previsto dalla legge costituzionale n°01/89. Dal 2016 è inserito nell’albo dei docenti della Scuola Superiore della Magistratura, ed è stato nominato componente titolare della Commissione per gli Esami di Avvocato presso la Corte di Appello di Roma per le sessioni 2009 e 2016. È autore di numerose pubblicazioni, sia in materia penale che civile, per diverse case editrici.Elisabetta DonatoDottoressa in giurisprudenza con lode e tirocinante presso la prima sezione penale del Tribunale di Roma, ha collaborato, per la stessa casa editrice, alla stesura del volume I reati di falso (2018).

Paolo Emilio De Simone, Elisabetta Donato | Maggioli Editore 2019

Eleonora Nardelli

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