Corte costituzionale: no al decadimento automatico dalla potestà per il genitore condannato per il reato di alterazione di stato

Redazione 27/02/12
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Anna Costagliola

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 31 del 23 febbraio 2012, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 569 c.p. nella parte in cui stabilisce che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di alterazione di stato, previsto dall’art. 567, co. 2, c.p., consegue di diritto la perdita della potestà genitoriale, precludendosi al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto.

Ai sensi dell’art. 569 c.p., infatti, «La condanna pronunciata contro il genitore per alcuno dei delitti preveduti da questo capo importa la perdita della potestà dei genitori». L’applicazione della pena accessoria consegue dunque automaticamente alla condanna pronunciata nei confronti del genitore, senza che il giudice possa, nel singolo caso concreto, procedere alla valutazione e al bilanciamento dei diversi interessi implicati nel processo.

La Corte costituzionale è stata investita dal giudice rimettente della questione di legittimità della norma nell’ambito di un processo a carico di un soggetto imputato del reato ex art. 567 c.p., co. 2, c.p. per aver alterato lo stato civile della figlia neonata nella formazione dell’atto di nascita, mediante false attestazioni consistite nel dichiararla come figlia naturale, sapendola legittima in quanto concepita in costanza di matrimonio. Preliminarmente la Consulta ha rilevato come nella fattispecie concreta vengano in rilievo non soltanto l’interesse dello Stato all’esercizio della potestà punitiva nonché l’interesse dell’imputato (e delle altre eventuali parti processuali) alla celebrazione di un giusto processo, condotto nel rispetto dei diritti sostanziali e processuali delle parti stesse, ma anche l’interesse del figlio minore a vivere e a crescere nell’ambito della propria famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione ed istruzione. Si tratta di un interesse complesso, articolato in diverse situazioni giuridiche, che ha trovato riconoscimento e tutela sia nell’ordinamento internazionale sia in quello interno. Nell’ambito dell’ordinamento internazionale (Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) è principio acquisito che in ogni atto comunque riguardante un minore deve tenersi presente il suo interesse, considerato preminente. Allo stesso modo, nell’ordinamento interno l’interesse morale e materiale del minore è andato progressivamente affermandosi come preminente, acquisendo carattere di piena centralità a partire dalla L. 151/1975 (Riforma del diritto di famiglia), poi con la L. 184/1983 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori) e, da ultimo, con la L. 54/2006 (Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli), che ha introdotto forme di tutela sempre più incisiva dei diritti del minore.

Procedendo nel suo iter argomentativo, la Corte individua nel combinato disposto dell’art. 147 c.c. e dell’art. 30 Cost. il nucleo essenziale della potestà genitoriale, che si collega all’obbligo dei genitori di assicurare ai figli un completo percorso educativo, garantendo loro il benessere, la salute e la crescita anche spirituale, secondo le possibilità socio-economiche dei genitori stessi. E’ evidente, dunque, che la potestà genitoriale, se correttamente esercitata, risponde all’interesse morale e materiale del minore, il quale viene ad essere inevitabilmente coinvolto da una statuizione che, in via automatica, sancisca la perdita di quella potestà. Proprio perché la pronunzia di decadenza va ad incidere sull’interesse del minore sopra indicato, non è conforme al principio di ragionevolezza, e contrasta quindi con il dettato dell’art. 3 Cost., il disposto della norma censurata che, ignorando il detto interesse, statuisce la perdita della potestà sulla base di un mero automatismo, che preclude al giudice ogni possibilità di valutazione e di bilanciamento, nel caso concreto, tra l’interesse stesso e la necessità di applicare comunque la pena accessoria in ragione della natura e delle caratteristiche dell’episodio criminoso. Né, d’altra parte, valgono a giustificare il detto automatismo i caratteri propri del delitto di cui all’art. 567, co. 2, c.p. il quale, diversamente da altre ipotesi criminose in danno di minori, non reca in sé una presunzione assoluta di pregiudizio per i loro interessi morali e materiali, tale da indurre a ravvisare sempre l’inidoneità del genitore all’esercizio della potestà genitoriale. Ciò che legittima la esclusione di qualsiasi automatismo tra la condanna per il delitto di alterazione di stato e la perdita della potestà genitoriale, dovendo il giudice valutare caso per caso, all’esito di un attento esame di tutte le peculiarità della fattispecie in funzione della tutela del preminente interesse del minore, la ricorrenza in concreto della inidoneità all’esercizio di detta potestà.

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