Condominio: costituisce reato insultare il condomino che chiede di rispettare il silenzio durante le ore serali

Redazione 29/12/11
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di Anna Costagliola

La quinta sezione penale della Corte di Cassazione, con la sent. n. 48072 del 22 dicembre 2011, ha confermato la decisione di condanna per ingiuria disposta dai giudici di merito nei confronti di una donna che aveva rivolto pesanti invettive ad una condomina che, infastidita dal rumore eccesivo, le aveva chiesto di fare più silenzio in modo da consentire il riposo del figlio neonato di otto mesi.

La Corte, pur prendendo atto del degrado del linguaggio e dell’inciviltà che ormai contraddistingue il rapporto tra i cittadini e, in particolare, le relazioni condominiali, tuttavia non dubita della portata offensiva del ripetuto epiteto «vaffa…», accompagnato da altre espressioni altrettanto ingiuriose. Per i supremi giudici, l’epiteto profferito non è solo indice di maleducazione e di uno sfogo dovuto ad una pretesa invadenza dell’offeso, ma anche del disprezzo che si nutre nei confronti dell’interlocutore. La richiesta del silenzio, perché a causa del rumore si impediva il sonno del neonato di otto mesi, seppure effettuata bussando più volte alla porta del vicino, non è un fatto che possa ritenersi tanto ingiusto da legittimare una reazione scomposta, mediante l’utilizzo, in un evidente stato d’ira, di frasi ingiuriose. Si tratta, come sottolinea la Corte, di ribadire i canoni minimi di una civile convivenza.

Neppure il richiamo a pregressa giurisprudenza della stessa Corte, che talvolta ha scriminato determinati epiteti in specifici contesti (come quello della lotta politica), consente di pervenire a conclusioni diverse, spettando in ogni caso ai giudici del merito la valutazione della portata offensiva delle frasi pronunciate, i quali devono tenere necessariamente in conto del contesto in cui il fatto si è verificato. Nel caso di specie la motivazione che sorregge detta valutazione è stata ritenuta dalla Corte congrua ed immune da manifeste illogicità e, dunque, non censurabile in sede di legittimità.

Pertanto, gli ermellini hanno respinto il ricorso proposto, ritenendo il comportamento della ricorrente che ha reagito alla richiesta del silenzio notturno non adeguato alla buona educazione e alle buone regole del vivere civile, ma integrante, piuttosto gli estremi del reato di ingiuria ex art. 594 c.p.

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