Con la condanna definitiva decade automaticamente la misura coercitiva non custodiale

Redazione 16/05/11
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Le Sezioni Unite penali della Cassazione (sent. 11 maggio 2011, n. 18353), chiamate a risolvere un conflitto negativo di competenza fra Magistrato di Sorveglianza e Giudice dell’Esecuzione, hanno affermato questo principio di diritto.

Preliminarmente le Sezioni Unite hanno dovuto però esaminare la questione relativa alla sorte della misura coercitiva in atto al momento in cui viene a formarsi un giudicato di condanna a pena detentiva, su cui esisteva un contrasto di giurisprudenza.

Il caso posto all’attenzione della Corte riguardava un condannato con sentenza definitiva a pena detentiva non sospesa o non altrimenti estinta, che stava scontando una misura coercitiva non custodiale (l’obbligo di dimora).

Dopo aver esaminato i due contrapposti orientamenti giurisprudenziali –il primo escludeva il determinarsi, al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, della caducazione automatica della misura coercitiva già applicata, viceversa il secondo sottolineava l’incompatibilità della funzione della misura cautelare, per il nostro sistema processuale, a dispiegarsi oltre il giudizio di merito – le Sezioni Unite aderiscono a quest’ultimo, affermando che, in omaggio al principio di riserva di legge di cui all’art. 13 Cost., per il quale non è ammessa restrizione della libertà personale se non nei soli casi e modi previsti dalla legge, una misura cautelare coercitiva non può continuare ad essere applicata ad un soggetto dopo il passaggio in giudicato della sentenza emessa nei suoi confronti: ciò sarebbe ammissibile solo se ci fosse una previsione legislativa in tal senso.

D’altronde la stessa disciplina delle misure cautelari personali all’interno del nostro codice di procedura penale appare improntata ad una funzione meramente strumentale delle stesse rispetto al processo di cognizione.

Quanto alle esigenze cautelari che potrebbero giustificare l’adozione e il mantenimento delle misure, si osserva che il pericolo di inquinamento della prova non ha ragione di esistere dopo il passaggio in giudicato della sentenza in vista della fase esecutiva, e lo stesso potrebbe dirsi in merito al pericolo di reiterazione del reato.

Il pericolo di fuga invece, che certamente può assumere rilievo ai fini dell’esecuzione, non è comunque scongiurato da tutte le misure cautelari, e nella fattispecie l’obbligo di dimora non era comunque idoneo a scongiurare il pericolo de quo.

La Corte afferma quindi che nell’ambito del nostro sistema processuale penale emergono chiaramente indicazioni contrarie alla tesi delle sopravvivenza delle misure non custodiali in atto al passaggio in giudicato della sentenza.

Nella sentenza vengono poi statuiti altri due principi di diritto: nel primo si sottolinea che «la cessazione, al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, della misura coercitiva non custodiale in atto, opera di diritto, e non è necessario alcun provvedimento che la dichiari»; col secondo viene risolto il conflitto negativo di competenza fra Magistrato di Sorveglianza e Giudice dell’Esecuzione chiarendo finalmente che «ove insorgano questioni in ordine alla misura coercitiva non custodiale nel periodo intercorrente tra il passaggio in giudicato della sentenza e il concreto avvio della fase di esecuzione della pena, la competenza a deciderla spetta al giudice dell’esecuzione». (Lucia Nacciarone)

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