Cogenza delle clausole e dei prezzi imposti dalla legge

Lorena Papini 13/03/24
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Profili problematici e orientamenti giurisprudenziali in materia di cogenza delle clausole e dei prezzi imposti dalla legge. Il contributo è un estratto del volume “Manuale pratico dei contratti di impresa -Casi pratici, pareri legali e soluzioni ai quesiti più frequenti”

Profili problematici e orientamenti giurisprudenziali in materia di cogenza delle clausole e dei prezzi imposti dalla legge

Le clausole, i prezzi di beni o di servizi, imposti dalla legge, si prevede (art. 1339 c.c.) che siano inseriti di diritto nel contratto, anche in sostituzione di quelle clausole difformi che siano, invece, state apposte dalle parti.
Quindi, in base alla previsione per opera della legge di clausole o di prezzi obbligatori per dati tipi di contratti, quelle stesse clausole o quegli stessi prezzi trovano applicazione in modo automatico ai contratti conclusi dalle parti, anche nel caso in cui i contraenti abbiano pattuito condizioni differenti.
Il tema dell’interpretazione della norma appena richiamata appare peraltro alquanto impegnativo, anche e forse soprattutto per i poteri che la stessa legge attribuisce, sempre più frequentemente, ad autorità indipendenti.
Appare di particolare interesse il fondamento giuridico su cui eseguire la costruzione della cogenza dell’inserzione nel regolamento contrattuale di disposizioni rese dai provvedimenti emanati dalle autorità indipendenti.
Il punto critico, cioè, della questione si è ritenuto si ponesse nell’individuazione del raccordo tra la legge e i provvedimenti dei quali si è fatto appena richiamo. Il raccordo è valutato in sede di analisi secondo differenti prospettive, con conseguenze che, sotto il profilo applicativo, appaiono affatto disomogenee.
In particolare, il quadro è segnato dalla presenza di un orientamento restrittivo, secondo cui qualsiasi potere normativo in capo ad una p.a. dovrebbe trovare il suo fondamento in una norma di legge espressa e puntuale, munita cioè di un grado di specificità e di concretezza non lontano da quello che richiede la regolazione “a valle”.
Diverso orizzonte proietta, invece, un orientamento contrario, di segno per così dire “largheggiante”, secondo cui si debbono riconoscere alle autorità indipendenti dei poteri, anche se non esplicitamente previsti da disposizioni di legge, ma sicuramente strumentali alla stessa realizzazione degli scopi di interesse generale stabiliti dalla legge.
L’orientamento analitico maggioritario, posto in posizione intermedia, ritiene, infine, la sussistenza della cogenza della regolazione “a valle”, nel caso in cui la legge “a monte” contempli la predeterminazione di criteri direttivi, facendo rinvio per la disciplina di dettaglio ai provvedimenti di organi amministrativi oppure ad altri atti ancora.
Negli orientamenti di legittimità la questione non sembra aver trovato uno specifico approfondimento. È stato invece affermato un principio di carattere generale, secondo cui l’iscrizione automatica di clausole ex art. 1339 cit. rappresenti una significativa restrizione del diritto di libertà economica consacrato dalla norma costituzionale di cui all’art. 41 della Carta fondamentale e di cui è espressione l’autonomia privata. Tanto, quindi, deve trovare il necessario fondamento in una legge formale oppure in un altro atto con valore di legge in senso sostanziale o da esso richiamato a mezzo di rinvio integrativo.
Si è osservato come la norma, sulla scorta del relativo tenore letterale, sembri costituire una fonte legale di integrazione del contratto, ossia del contenuto di questo.
Sul tema il riferimento è allo stesso disposto della previsione ex art. 1339 cit. Sul fondamento del quale, appunto, clausole, prezzi relativi a beni e servizi imposti dalla legge o norme corporative sono di diritto inseriti, anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti.
Si è chiarito come il contratto dovesse ritenersi assoggettato, relativamente al terreno della sua efficacia, alle clausole imperative, introdotte dal legislatore, con cui si provveda alla sostituzione o integrazione per l’avvenire dell’eventuale contenuto negoziale difforme.
Pertanto, sotto il profilo in considerazione, la norma qui in esame ex art. 1339 cit. si coordina con la previsione dispositiva dello stesso c.c. (ex art. 1419, comma 2), recando disciplina della nullità parziale del contratto.
Ai sensi dell’art. 1419 c.c., la nullità parziale o la nullità di singole clausole importa la nullità dell’intero contratto, nel caso in cui risulti che le parti contraenti avrebbero desistito dal concludere il contratto medesimo senza quella parte del contenuto di esso che risulti colpita da nullità. Tale disposizione, occorre da subito puntualizzare, costituisce espressione di un principio generale di conservazione che informa il diritto dei contratti, potendo essere applicato, si è sostenuto, anche alla particolare fattispecie del collegamento negoziale.
In relazione a quest’ultimo si è così puntualizzato come risulti necessario verificare in primo luogo se la parziale realizzazione del presupposto oggettivo del contratto collegato risulti di pregiudizio in modo determinante al conseguimento degli interessi perseguiti dalle parti.
La nullità di singole clausole, prevede ancora la disposizione normativa, non implica anche la nullità del contratto, allorché norme imperative sostituiscano le clausole nulle.
Con la disposizione della quale si è sottolineato il contenuto (art. 1419 cit.), sono così previste le conseguenze della nullità parziale del contratto oppure di talune delle clausole che lo compongono.
Costituisce pertanto applicazione del principio di conservazione del contratto la previsione custodita dal comma 1 dell’art. 1419 cit., secondo cui la nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell’intero contratto, qualora risulti che le parti contraenti avrebbero mancato di concluderlo senza quella parte del relativo contenuto colpita da nullità.
Si tratta dunque di applicazione del principio di conservazione del contratto (utile per inutile non vitiatur).
La ratio della disposizione si ritiene rinvenirsi nella propensione dell’ordinamento a permettere che il contratto produca i suoi effetti tra le parti contraenti per quella parte che sia rimasta indenne dalla nullità, a meno che non risulti che senza quella stessa parte le stesse ne avrebbero mancato la conclusione.
Pertanto, la regola che si segue è costituita dal fatto che la nullità parziale non trova ampliamento all’intero contenuto della disciplina negoziale, qualora resti ferma l’utilità del contratto in relazione agli interessi perseguiti, secondo quanto emerge dall’attività ermeneutica del giudice; per converso, poi, l’estensione all’intero negozio degli effetti della nullità parziale rappresenta, invece, l’eccezione rispetto alla quale la parte interessata deve soddisfare il connesso onere probatorio.

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