Cassazione: la custodia cautelare in carcere viene disposta anche per chi viene accusato in un’intercettazione

Redazione 27/10/11
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A deciderlo è una recente sentenza della Suprema Corte (n. 38541 del 25 ottobre 2011) con la quale i giudici hanno respinto il ricorso di un indagato cui si era risaliti attraverso un’intercettazione.

L’individuo, stando ai contenuti della conversazione intercettata, era coinvolto, in quanto compartecipe, in una rapina. E di conseguenza gli era stata applicata la misura cautelare, stessa sorte toccata ai suoi complici.

Ad avviso della difesa, tuttavia, sarebbero dovute scattare, nella fattispecie, le garanzie di cui all’art. 192 del codice di procedura penale, che consistono nell’obbligo di valutare le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato unitamente ad altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità.

Ma la fattispecie, secondo i giudici della Suprema Corte, non rientra nella chiamata in correità, l’unica ipotesi per la quale è prevista la garanzia di cui all’art. 192 c.p.p. Infatti la circostanza che i due indagati non sapessero di essere intercettati e cha parlassero con libertà del fatto avvenuto, attribuendolo anche ad un terzo soggetto, è prova sufficiente a disporre una misura cautelare.

Perciò i giudici hanno precisato che «il contenuto di un’intercettazione, anche quando si risolva in una precisa accusa in danno di terza persona, indicata come concorrente in un reato alla cui consumazione anche uno degli interlocutori dichiari di aver partecipato, non è equiparabile alla chiamata in correità e pertanto, se anch’esso deve essere attentamente interpretato sul piano logico e valutato su quello probatorio, non è però soggetto, in tale valutazione, ai canoni di cui all’art. 192, comma 3, c.p.p.».

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