La parcella all’avvocato che difende la società fallita ammessa al patrocinio a carico dello Stato non può superare la metà dei valori medi delle tariffe professionali.
Lo ha chiarito la Cassazione, con la sentenza 10876/2016, nel respingere il ricorso del legale di una società sottoposta a procedura concorsuale.
Il caso
Il legale aveva ottenuto una liquidazione di circa 6 mila euro a fronte di una causa del valore di 44 milioni di euro. Ebbene, il professionista riteneva, tra l’altro, che gli organi societari erano consapevoli del valore della controversia determinato da un consulente tecnico sull’ammontare del danno risarcibile e dunque sugli onorari dovuti.
La decisione
Gli Ermellini, pur precisando che la società non contestava né la diligenza dell’ avvocato né la perizia sul valore della causa, ha rigettato il ricorso.
La Suprema corte ha ricordato che in tema di patrocinio a spese dello Stato il criterio della controversia determinato sul Codice di procedura civile ha una valore di massima dal quale il giudice può discostarsi scendendo al di sotto del parametro ogni volta che il “taglio” sia giustificato dalla natura dell’ impegno professionale, «in relazione all’incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale del soggetto difeso».
Una disposizione che consente di assicurare la difesa tecnica al non abbiente e di retribuire l’ avvocato considerando l’ incidenza del costo sulla collettività.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento