Cassazione: chi offende il collega per l’operato svolto è scriminato dal diritto di critica

Redazione 25/05/12
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Lucia Nacciarone

A deciderlo è la sentenza n. 19577 del 23 maggio 2012, con cui la Corte ha annullato senza rinvio la decisione di condanna per il reato di ingiuria nei confronti di una dottoressa, che aveva apostrofato con epiteti offensivi la collega.

L’imputata aveva agito in risposta alla ingerenza di una collega più anziana, pensionata rimasta in attività solo a fini di ricerca, che aveva indebitamente interferito nel suo lavoro: da qui le espressioni ingiuriose, accompagnate da un gesto di stizza, che erano finite nelle aule del tribunale.

Per i giudici di cassazione «il fatto non costituisce reato»: invero, quando le affermazioni, sia pure gravi, siano contestualizzate nell’ambito di una intromissione indebita della presunta parte offesa nell’attività lavorativa dell’imputata, sono scriminate dal diritto di critica.

Il diverbio, continuano i giudici, collocandosi nell’ambito di un rapporto conflittuale fra le dottoresse, ed avendo ad oggetto le divergenze di opinione in merito ad una diagnosi, non ha rilievo penalistico.

L’episodio era nato infatti come chiara manifestazione di dissenso per il diverso parere della collega più anziana, nato «in un contesto tale da far ragionevolmente ritenere che fosse stato reso con travalicamento dei compiti istituzionali da parte della stessa persona offesa e indebita ingerenza nel proprio ambito lavorativo».

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