Cassazione: anche per lo Stato italiano è valida la nullità rotale del matrimonio quando la convivenza si sia concretata in mera coabitazione

Redazione 13/02/12
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Anna Costagliola

La Corte di Cassazione, ribaltando un precedente orientamento, con la sent. n. 1343 dell’8 febbraio 2012, ha precisato come possa essere riconosciuta agli effetti civili la sentenza di annullamento del matrimonio emessa dalla Sacra Rota anche quando la convivenza tra i coniugi si sia protratta per un periodo di tempo considerevole. Rigettando il ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello dichiarava l’efficacia nello Stato italiano della sentenza emessa dalla Sacra Rota in ordine alla nullità del matrimonio tra due coniugi per riserva mentale dello sposo, la Cassazione ha dunque escluso la prospettata contrarietà all’ordine pubblico, nel caso di convivenza prolungata tra i coniugi, della delibazione della sentenza rotale di annullamento del matrimonio.

Rifacendosi all’indirizzo espresso dalla stessa giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., sez. un., sent. 19809/2008; Cass., sez. I, sent. 1343/2011), il ricorrente aveva infatti denunciato la incompatibilità della decisione ecclesiastica con l’«ordine pubblico italiano», sintagma che, seppur non presente nella carta costituzionale, deve essere identificato con i principi costituzionali su temi basilari che sono la traduzione, in termini di diritto, dei principi etico-politici su cui sorge e si fonda l’ordinamento. Premesso l’evidente favor che l’ordine pubblico interno manifesta per la validità del matrimonio, quale fonte del rapporto familiare e oggetto di tutela costituzionale, si osservava in sede di ricorso come, in ipotesi di un rapporto matrimoniale protrattosi nel tempo, dovesse considerarsi contrario ai principi di ordine pubblico rimettere lo stesso in discussione fondandosi su riserve mentali o vizi del consenso verificatisi al momento del «sì» sull’altare. In particolare, si sottolineava che, con riferimento a situazioni invalidanti l’atto-matrimonio, la successiva prolungata convivenza debba considerarsi espressione di una volontà di accettazione del matrimonio-rapporto che ne è seguito, con la conseguente incompatibilità dell’esercizio postumo dell’azione di nullità, altrimenti riconosciuta dalla legge.

Gli Ermellini, pur non escludendo la validità della tesi esposta, che distingue concettualmente tra matrimonio-atto e matrimonio-rapporto, ritengono che essa trovi applicazione in quei soli casi in cui, dopo il matrimonio nullo, tra i coniugi si sia instaurato un vero consorzio familiare ed affettivo, con implicito superamento della causa originaria di invalidità. In detta direzione, il limite dell’ordine pubblico postula che la convivenza non si atteggi a mera coabitazione materiale sotto lo stesso tetto, ma che essa risulti significativa di un’instaurata affectio familiae, nel naturale rispetto dei diritti ed obblighi reciproci, tale da dimostrare l’instaurazione di matrimonio-rapporto duraturo e radicato, ad onta del vizio genetico del matrimonio-atto. Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte, la ricorrente si è invece limitata a valorizzare il dato temporale della durata del vincolo, come tale insufficiente ad integrare la causa ostativa di ordine pubblico al recepimento della sentenza ecclesiastica.

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