Bancarotta fraudolenta: risponde a titolo di concorso con il socio accomandatario anche l’accomandante che ha contribuito a gestire l’azienda

Redazione 01/12/11
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Con la sentenza del 29 novembre 2011, n. 44103, la Cassazione ha affermato il principio per cui risponde del reato di bancarotta fraudolenta di cui all’art. 216 L.F. anche il socio accomandante che abbia partecipato alla gestione della società, pur nell’ipotesi di mancata estensione nei suoi confronti della dichiarazione di fallimento.

Il caso riguarda un socio accomandante di una società in accomandita semplice il quale era stato condannato, sia in primo grado che in appello, quale responsabile del reato di bancarotta in concorso con il socio accomandatario. In sede di legittimità, respingendo le censure del ricorrente, il quale evidenziava sia la mancata estensione nei suoi confronti della dichiarazione di fallimento sia la propria «occasionale» partecipazione all’attività lavorativa nell’ambito della s.a.s. in quanto socio accomandante, la Corte ha confermato la condanna per il delitto de quo.

A sostegno della decisione di condanna, i giudici della Cassazione hanno ritenuto sufficiente l’accertamento inerente al concreto coinvolgimento dell’accomandante in attività tipiche della gestione di azienda, quali i ripetuti e fattivi contatti con la clientela, con conseguente violazione del divieto di immistione o di ingerenza negli affari sociali posto a carico dei soci accomandanti. La ratio di tale divieto risponde all’idea di fondo per cui nell’ambito delle società di persone il potere gestorio non è conciliabile col beneficio della responsabilità limitata, ciò che vale a spiegare anche la sanzione connessa alla violazione del divieto, consistente nella perdita di tale beneficio, con assunzione della responsabilità illimitata per tutte le obbligazioni sociali, e nella esposizione, al pari dei soci accomandatari, al rischio di fallimento in conseguenza del fallimento della società. Tuttavia, la mancata estensione della dichiarazione di fallimento non è, di per sé, preclusiva, secondo la Corte, della responsabilità del socio accomandante che abbia violato il divieto di immistione nell’attività amministrativa quale concorrente nel delitto di bancarotta fraudolenta ascritto all’accomandatario. Ai fini della lesione del bene giuridico tutelato dalla norma penale enunciata dall’art. 216 L.F. è infatti sufficiente, come precisato in sentenza, lo svolgimento di attività amministrativa, anche attraverso i contatti con i clienti dell’impresa, i quali implicano inevitabilmente una ingerenza nella gestione delle attività aziendali. (Anna Costagliola)

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