Avvocati censurati, non operabile il controllo di legittimità sulle risultanze processuali di primo grado

Redazione 25/10/11
Scarica PDF Stampa

Secondo quanto prescritto dalla legge professionale forense gli avvocati, una volta iscritti all’Albo, prestano giuramento,  giurando di adempiere ai doveri professionali con lealtà, onore e diligenza e qualora si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell’esercizio della loro professione vengono sottoposti a procedimento disciplinare (cfr. art. 38 R.D.L. n. 1578/1933).

Così è stato sottoposto a procedimento disciplinare con la comminazione finale di due sanzioni disciplinari, nella specie censura e cancellazione dall’elenco dei difensori di ufficio, il professionista che proprio in qualità di difensore d’ufficio in un processo penale, è mancato  di partecipare a due udienze dibattimentali consecutive, nonostante ne abbia ricevuto la regolare notifica e senza, peraltro, preoccuparsi di incaricare un sostituto processuale. Inutile è stato il tentativo di ricorrere in Cassazione al fine di riaprire il dibattito sugli accertamenti in punto di fatto e sulle risultanze processuali del rito celebrato dinanzi al Consiglio nazionale forense (CNF). Il ricorso infatti è stato rigettato dalle Sezioni unite civili della Suprema Corte nella  sentenza n. 21584 depositata il 19 ottobre scorso.

Hanno puntualizzato le Sezioni Unite che le decisioni del CNF in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi al giudice di legittimità, ai sensi dell’art. 56, R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, nonché, ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione, per vizio di motivazione. Quest’ultimo vizio, peraltro, deve tradursi “in omissioni, lacune o contraddizioni incidenti su punti decisivi, dedotti dalle parti o rilevabili d’ufficio, sicché risultano inammissibili le doglianze con cui il ricorrente intenda far accertare in sede di legittimità i presupposti integranti una situazione di necessità, scriminante, in presenza della quale il medesimo non avrebbe potuto non tenere il comportamento censurato dall’organo disciplinare, risolvendosi in accertamenti in punto di fatto e valutazioni delle risultanze processuali che non possono essere oggetto di controllo in sede di legittimità” (cfr. Cass sez. un., sent. 2637/2009). Il supremo Collegio ha poi puntualizzato  che “nel caso di specie, peraltro, non sussiste la lamentata carenza di motivazione, in quanto la decisione impugnata evidenzia che la condotta censurata è «provata documentalmente», come attestano le notifiche delle due udienze dibattimentali alle quali l’avvocato non si è presentato. (Lilla Laperuta)

 

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento