Verifica fiscale: i rischi per il contribuente

Leonardo Leo 20/04/18
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In sede di verifica fiscale è possibile che gli agenti verificatori decidano di rivolgere domande o richieste al contribuente e, dunque, di interloquire con lui(1).

A tal proposito è opportuno comprendere quali sono gli strumenti attraverso cui i verificatori possono instaurare un “contraddittorio” con il contribuente e quali sono le conseguenze per quest’ultimo.

Ai sensi dell’art. 32, comma 1, del DPR. n. 600/1973 e dell’art. 51, comma 2, del DPR. n. 633/1972, gli uffici finanziari, per l’adempimento dei loro compiti, possono, tra l’altro:

– invitare i contribuenti a comparire al fine di fornire dati e notizie (art. 32, comma 1, n. 2, del DPR. n. 600/1973 e art. 51, comma 2, n. 2, del DPR. n. 633/1972);

– invitare i contribuenti ad esibire o trasmettere atti e documenti (art. 32, comma 1, n. 3, del DPR. n. 600/1973 e art. 51, comma 2, n. 2 e 4, del DPR. n. 633/1972);

– inviare ai contribuenti questionari (art. 32, comma 1, n. 4, del DPR. n. 600/1973 e art. 51, comma 2, n. 3, del DPR. n. 633/1972).

Analizziamo ora, singolarmente, le ipotesi appena esposte.

INVITO A FORNIRE DATI E NOTIZIE (art. 32, comma 1, n. 2, del DPR. n. 600/1973, e art. 51, comma 2, n. 2, del DPR. n. 633/1972).

Nel caso in cui il contribuente, in sede di verifica fiscale, venga invitato a fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento nei suoi confronti ha l’obbligo di rispondere.

Tanto poichè, l’art. 11, comma 1, lett. c), del D.lgs. n. 471/1997, punisce, con la sanzione amministrativa da € 250,00 ad € 2.000,00, l’ “inottemperanza all’invito a comparire e a qualsiasi altra richiesta fatta dagli uffici o dalla Guardia di finanza nell’esercizio dei poteri loro conferiti“.

Ma quali sono, invece, le conseguenze che scaturiscono in capo al contribuente che risponde alle domande dei verificatori?

In tal caso, bisogna considerare due ipotesi:

Ipotesi n. 1:   il contribuente rilascia dichiarazioni false.

In tale ipotesi, si ritiene applicabile l’art. 11, comma 1, del D.L. n. 201/2011, che così dispone: “Chiunque, a seguito delle richieste effettuate nell’esercizio dei poteri di cui agli articoli 32 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e agli articoli 51 e 52 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, esibisce o trasmette atti o documenti falsi in tutto o in parte ovvero fornisce dati e notizie non rispondenti al vero è punito ai sensi dell’articolo 76 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. La disposizione di cui al primo periodo, relativamente ai dati e alle notizie non rispondenti al vero, si applica solo se a seguito delle richieste di cui al medesimo periodo si configurano le fattispecie di cui al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74“.

Il richiamato art. 76 del DPR. n. 445/2000, a sua volta, prevede che “Chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia”.

Alla luce del quadro legislativo appena descritto, il rilascio, da parte del contribuente sottoposto a verifica fiscale, di dichiarazioni false, è punito ai sensi del codice penale ma solo nel caso in cui, a seguito delle richieste dei verificatori, si configurano le fattispecie di reato previste dall’art. 74 del D.lgs. n. 74/2000.

Ipotesi n. 2:   il contribuente rilascia dichiarazioni errate o incomplete (a suo danno).

Nel momento in cui il contribuente rilascia dichiarazioni su richiesta degli agenti verificatori, deve essere molto accorto. Le risposte del contribuente potranno riguardare aspetti del processo produttivo o altri elementi patrimoniali e finanziari della impresa.

Accade sovente, infatti, che il contribuente risponda alle domande dei verificatori in maniera frettolosa, incompleta o errata. E che ciò gli si ritorca contro.

Lo stress che deriva dal fatto di subire una verifica fiscale può indurre il contribuente a non, o a mal, ponderare le risposte.

La risposta fornita “a prima richiesta” libera dallo stress come se ci si “liberasse da un sassolino nella scarpa”.

Ma occorre conoscere le conseguenze, giuridiche, delle risposte del contribuente per comprendere l’importanza della riflessione nel rispondere alle domande.

Ciò poichè quanto da lui dichiarato viene riportato prima nei processi verbali giornalieri e poi nel processo verbale di constatazione, i quali, una volta dallo stesso sottoscritti, fanno fede fino a querela di falso in merito alla riferibilità delle stesse al contribuente firmatario, e fino a prova contraria in merito al loro contenuto.

Quindi, il contribuente:

– se intende contestare la riferibilità a sè delle dichiarazioni verbalizzate dai verificatori, è tenuto a proporre querela di falso e a dimostrare di non aver mai riferito quanto verbalizzato (il tutto si complica alquanto se si pensa che i processi verbali sono sottoscritti dallo stesso contribuente);

– se, invece, intende contestare il contenuto delle dichiarazioni rese, nel caso in cui commetta errori o dica inesattezze, deve dimostrare la veridicità di quanto successivamente dichiarato in rettifica.

Come ritenuto, infatti, dalla Corte di Cassazione nella recente sentenza n. 28063 del 24/11/2017: “… il processo verbale di constatazione, redatto dalla Guardia di finanza o dagli altri organi di controllo fiscale, può assumere un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, potendosi distinguere al riguardo un triplice livello di attendibilità: a) il verbale è assistito da fede privilegiata ai sensi dell’art. 2700 cod. civ., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza, o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonchè quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese (cfr. ex multis Cass. 03/07/2014, n. 15191; Cass. 10/02/2006, n. 2949); b) quanto invece alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi – e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi – esso fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, ai fini della decisione, e può essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità, o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore (cfr. Cass. 20/03/2007, n. 6565)“.

Alla luce di quanto esposto dalla Suprema Corte nel punto b) della citata sentenza, diviene assai difficoltoso, in sede amministrativa (ad es. in fase di accertamento con adesione) o giudiziale, fornire la prova contraria rispetto a quanto, magari erroneamente, dichiarato durante la verifica fiscale.

Pertanto, per non commettere errori dinanzi alle domande dei verificatori, è opportuno chiedere un termine, anche breve, per ponderare la risposta.

La chiusura della verifica fiscale, con contestuale rilascio del pvc, inoltre, potrebbe essere l’occasione per chiarire meglio eventuali affermazioni, magari frettolose, rilasciate in seno ai processi verbali giornalieri.

Il contribuente, in tal caso, potrebbe chiedere del tempo per leggere il pvc ed, eventualmente, prima di sottoscriverlo, rettificare alcune dichiarazioni che possano compromettere la successiva difesa (ad es.: in merito a quanto verbalizzato a foglio n…. nel presente pvc intendo chiarire quanto segue:”…”).

L’importanza di quanto sopra scritto diviene palmare se si pensa che parte della giurisprudenza di legittimità attribuisce alla sottoscrizione del processo verbale di constatazione e, quindi, anche alle dichiarazioni del contribuente in esso riportate, valore di confessione stragiudiziale, che, ai sensi degli artt. 2733 e 2735 c.c., forma piena prova contro colui che l’ha resa.

Tale conclusione, tuttavia, si pone, ad avviso di chi scrive, in netto contrasto con la nozione stessa di confessione così come riportata nell’art. 2730 cc.

Secondo tale disposizione normativa, difatti, “La confessione è la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte“.

La confessione, dunque, è un atto giuridico dichiarativo unilaterale che consiste in un’esplicita dichiarazione qualificata dal soggetto da cui proviene e dall’oggetto sui cui verte (fatti). Da ciò discende che la confessione non può essere tacita od implicita, nè tantomeno consistere in un comportamento.

Pertanto, in materia tributaria, dovrebbe escludersi la possibilità di attribuire al puro e semplice comportamento del contribuente risultante dal processo verbale redatto in sede di verifica il carattere di confessione stragiudiziale.

Anche la Guardia di Finanza, Circolare n. 1/2018, è dell’avviso che, anche riconoscendo valore di confessione stragiudiziale alla sottoscrizione del contribuente, questa vada funzionalmente collegata alla specifica validità giuridica del processo verbale e, segnatamente, all’oggetto della fede privilegiata normativamente riconosciutagli; di conseguenza, è da ritenere che la firma della parte apposta nel processo verbale di constatazione possa costituire valida prova contro la stessa, limitatamente ai fatti e agli accadimenti materiali ivi documentati.

Alla luce delle posizioni appena riportate in tema di conseguenze scaturenti dalla sottoscrizione del pvc, al fine di evitare che la stessa, apposta senza il rilascio di alcuna osservazione, possa essere considerata quale accettazione tacita dei rilievi mossi dai verbalizzanti, il contribuente, prima di apporre la sua firma, potrebbe rilasciare la seguente dichiarazione: “La sottoscrizione del presente pvc è esclusivamente finalizzata ad attestare la ricezione di copia dello stesso. Contesto quanto constatato dai verbalizzanti e mi riservo di depositare memorie o osservazioni nelle sedi competenti”.

Resta inteso, per quanto sopra scritto, che nel caso di risposte su domande specifiche dei verifcatori non è sufficente una “contestazione generica” in fase di consegna del pvc.

INVITO AD ESIBIRE O TRASMETTERE ATTI E DOCUMENTI (art. 32, comma 1, n. 3, del DPR. n. 600/1973 e art. 51, comma 2, n. 2 e 4, del DPR. n. 633/1972).

Anche nel caso di invito ad esibire o trasmettere atti e documenti, si possono verificare due ipotesi:

Ipotesi n. 1:   il contribuente non esibisce la documentazione richiesta.

In tal caso le conseguenze possono essere diverse:

  • irrogazione sanzione amministrativa da € 250,00 ad € 2.000,00 ai sensi del citato art. 11, comma 1, lett. c), del D.lgs. N. 471/1997;
  • applicazione della pena della reclusione da un 1 anno a 6 mesi ai sensi dell’art. 10 del D.L. n. 74/2000, nel caso in cui la richiesta dei verificatori riguardi documenti contabili. Detta norma, difatti, prevede che: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari”.

Alla luce della disposizione appena riportata, nella fattispecie in parola, ai fini della punibilità rileva anche la condotta omissiva (contrariamente alle ipotesi di natura commissiva punite ex art. 11 del D.L. n. 201/2011).

Si tiene a precisare che per “occultamento” di scritture contabili obbligatorie si intende l’ipotesi in cui il soggetto abbia effettivamente istituito tali documenti ma non li consegni ai verificatori. Non si realizza, infatti, l’ipotesi di reato in parola nel caso in cui il soggetto verificato non abbia proprio istituito alcun documento contabile;

  • legittimazione dell’accertamento induttivo ex 39, comma 2, lett. d-bis, del DPR. n. 600/1973 ed ex art. 55, comma 2, n. 1 e n. 2, del DPR. n. 633/1972.

In materia di imposte sui redditi, l’art. 39, comma 2, lett. d-bis, del DPR. n. 600/1973, prevede chel’ufficio delle imposte determina il reddito d’impresa sulla base dei fati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui alla lettera d) del precedente comma:

d-bis) quando il contribuente non ha dato seguito agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell’articolo 32, primo comma, numeri 3) e 4), del presente decreto o dell’articolo 51, secondo comma, numeri 3) e 4), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633“.

Sulla base di quanto riportato si desume, dunque, che l’Amministrazione Finanziaria può procedere alla determinazione induttiva del reddito d’impresa, per quanto utile in questo paragrafo, nel caso in cui il contribuente non abbia dato seguito all’invito ad esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell’accertamento (art. 32, comma 1, n. 3, del DPR. n. 600/1973 e art. 51, comma 2, n. 4, del DPR. n. 633/1972).

Ma vi è di più.

Ai sensi dell’art. 55, comma 2, del DPR. n. 633/1972, infatti, nel caso di rifiuto ad esibire o sottrazione all’ispezione, anche parziale, dei registri e delle scritture contabili obbligatorie (comma 2, n. 1) o delle fatture emesse (comma 2, n. 2), l’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto può procedere alla determinazione induttiva anche dell’ammontare imponibile complessivo e dell’aliquota applicabile ai fini IVA.

Ipotesi n. 2:   il contribuente esibisce documenti falsi.

In tale ipotesi, ai fini della punibilità, si applica l’art. 11, comma 1, del D.l. n. 201/2011, il quale prevede che “Chiunque, a seguito delle richieste effettuate nell’esercizio dei poteri di cui agli articoli 32 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e agli articoli 51 e 52 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, esibisce o trasmette atti o documenti falsi in tutto o in parte ovvero fornisce dati e notizie non rispondenti al vero è punito ai sensi dell’articolo 76 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.”

Il richiamato art. 76 del DPR. n. 445/2000, a sua volta, prevede che “Chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia”.

Alla luce del quadro legislativo appena descritto, l’esibizione o la trasmissione, da parte del contribuente sottoposto a verifica fiscale, di documentazione falsa, contrariamente al rilascio di dichiarazioni false, è sempre punito ai sensi del codice penale. Non si applica, in tal caso, infatti, il secondo periodo dell’art. 11, comma 1, del D.l. n. 201/2011 (“La disposizione di cui al primo periodo, relativamente ai dati e alle notizie non rispondenti al vero, si applica solo se a seguito delle richieste di cui al medesimo periodo si configurano le fattispecie di cui al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74″).

INVIO QUESTIONARI (art. 32, comma 1, n. 4, del DPR. n. 600/1973 e art. 51, comma 2, n. 3, del DPR. n. 633/1972).

Anche nel caso in cui gli Uffici fiscali inviino al contribuente questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini dell’accertamento nei suoi confronti, si possono verificare due ipotesi:

Ipotesi n. 1:   il contribuente non risponde al questionario.

Anche in tal caso le conseguenze possono essere diverse:

  • irrogazione sanzione amministrativa da € 250,00 ad € 2.000,00 ai sensi del citato art. 11, comma 1, lett. c), del D.lgs. N. 471/1997;
  • legittimazione dell’accertamento induttivo ex art. 39, comma 2, lett. d-bis, del DPR. n. 600/1973.

Come visto in precedenza, in materia di imposte sui redditi, l’art. 39, comma 2, lett. d-bis, del DPR. n. 600/1973, prevede chel’ufficio delle imposte determina il reddito d’impresa sulla base dei fatti e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui alla lettera d) del precedente comma:

d-bis) quando il contribuente non ha dato seguito agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell’articolo 32, primo comma, numeri 3) e 4), del presente decreto o dell’articolo 51, secondo comma, numeri 3) e 4), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633“.

Sulla base di quanto riportato si desume, dunque, che l’Amministrazione Finanziaria può procedere alla determinazione induttiva del reddito d’impresa, per quanto utile in questo paragrafo, nel caso in cui il contribuente non abbia risposto ai questionari inviati dall’Agenzia delle Entrate (art. 31, comma 1, n. 4, del DPR. n. 600/1973 e art. 51, comma 2, n. 3, del DPR. n. 633/1972).

Il richiamo, contenuto nell’art. 39 del DPR. n. 600/1973, alle norme del DPR. n. 633/1972 (in materia di IVA) sembrerebbe, quindi, fa pensare che, così come nel caso di mancata esibizione di documenti richiesti, la mancata risposta del contribuente al questionario inviato ai sensi dell’art. 51, comma 2, n. 3, legittimi l’Ufficio ad operare nei confronti dello stesso un accertamento di tipo induttivo in materia di imposta sul valore aggiunto.

Così però non è.

Tanto perchè, in materia di IVA, il citato articolo 55 del DPR. n. 633/1972, non prevede, in nessun punto, come presupposto per procedere all’accertamento induttivo, la mancata risposta al questionario.

Pertanto, si può affermare che, in tal caso, la determinazione induttiva dell’ammontare imponibile ai fini IVA sarebbe del tutto illegittima.

Nonostante ciò, il comportamento “non collaborativo” del contribuente potrebbe assumere valenza indiziaria, al fine di contribuire a realizzare la condizione dell’art 55, comma 2, n. 3, DPR 633/72: “in cui le omissioni e le false o inesatte indicazioni o annotazioni accertate ai sensi dell’art. 54, ovvero le irregolarità formali dei registri e delle altre scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione, sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibile la contabilità del contribuente“.

Ipotesi n. 2:   il contribuente risponde al questionario.

In tal caso resta fermo quanto affermato in precedenza in merito alle conseguenze derivanti dal rilascio di informazioni e dalla produzione di documentazione.

CONCLUSIONI

Alla luce di quanto ivi esposto, il contribuente sottoposto a verifica fiscale deve ben ponderare, nel momento in cui, su richiesta dei verificatori, rilasci dichiarazioni o esibisca documenti, perchè ciò può compromettere seriamente la sua posizione e la sua successiva difesa.

(1) In un successivo articolo sarà esaminata l’ipotesi in cui gli agenti verificatori decidano di non porre domande al contribuente e quindi non si instauri il contraddittorio. Come vedremo l’ipotesi del “silenzio” del contribuente non è priva di conseguenze giuridiche.

Leonardo Leo

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