La Seconda Sezione penale ha affermato che il giudice di primo grado in sede di condanna dell’imputato ovvero il giudice di appello chiamato a pronunciarsi ex art. 95 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, è tenuto a valutare i criteri direttivi di cui all’art. 133 cod. pen., sia i fini della determinazione della pena da infliggere, sia, in esito a tale operazione, ai fini dell’individuazione della pena sostitutiva ex art. 58 d.lgs. citato, dovendo esservi continuità e non contraddittorietà tra i due giudizi, così da favorire tanto più l’applicazione di una delle sanzioni previste dall’art. 20-bis cod. pen. quanto minore risulti, rispetto ai limiti edittali, la pena in concreto inflitta.
Per approfondimenti si consiglia il seguente volume il quale si presenta come un’analisi operativa degli istituti del nostro sistema sanzionatorio penale, condotta seguendo l’iter delle diverse fasi processuali: Procedimento ed esecuzione penale dopo la Riforma Cartabia
Indice
1. I fatti
La Corte di Appello di Torino confermava la pronuncia del Tribunale di Verbania che aveva condannato l’imputato alla pena di mesi 3 di reclusione ed € 300 di multa perché ritenuto colpevole del delitto di ricettazione attenuata allo stesso ascritto, per avere ricevuto n. 7 modellini di giocattoli in plastica di origine furtiva.
Veniva proposto ricorso avverso tale sentenza affidato a diversi motivi tra i quali (quello che in questa sede rileva) nullità della sentenza per erronea applicazione della legge penale o della legge processuale penale ex artt. 606 lett. b) cod. proc. pen., 53-58 l. 689/81 come riformulati da d.lgs. 150/2022 (Riforma Cartabia) ovvero difetto di motivazione quanto al rigetto dell’istanza di applicazione delle pene sostitutive della reclusione posto che l’istanza era stata ritualmente reiterata con l’atto di appello e con le conclusioni scritte ed aveva errato il giudice di secondo grado a ritenere quali condizioni ostative precedenti giudiziari o i periodi di carcerazione pregressi; difatti, ad avviso della difesa, il giudice di merito, avrebbe dovuto valutare esclusivamente l’insussistenza di condizioni ostative e tenere altresì conto che, scontate le condanne, l’imputato non aveva commesso ulteriori reati. La valutazione della Corte d’appello contrastava con la volontà del legislatore di deflazionare le carcerazioni brevi e con il disposto dell’art. 58 cit.
Per approfondimenti si consiglia il seguente volume il quale si presenta come un’analisi operativa degli istituti del nostro sistema sanzionatorio penale, condotta seguendo l’iter delle diverse fasi processuali:
Procedimento ed esecuzione penale dopo la Riforma Cartabia
Aggiornato al D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (Riforma Cartabia) e alla L. 30 dicembre 2022, n. 199, di conv. con mod. del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162 (Decreto Nordio), il presente volume è un’analisi operativa degli istituti del nostro sistema sanzionatorio penale, condotta seguendo l’iter delle diverse fasi processuali. Anche attraverso numerosi schemi e tabelle e puntuali rassegne giurisprudenziali poste in coda a ciascun capitolo, gli istituti e i relativi modi di operare trovano nel volume un’organica sistemazione al fine di assicurare al professionista un sussidio di immediata utilità per approntare la migliore strategia processuale possibile nel caso di specie. Numerosi sono stati gli interventi normativi degli ultimi anni orientati nel senso della differenziazione della pena detentiva: le successive modifiche del codice penale, del codice di procedura penale e dell’ordinamento penitenziario, la depenalizzazione di alcuni reati; l’introduzione dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto; la previsione della sospensione del processo con messa alla prova operata; le stratificate modifiche dell’ordinamento penitenziario. Con attenzione alla novità, normativa e giurisprudenziale, e semplicità espositiva, i principali argomenti trattati sono: la prescrizione; l’improcedibilità; la messa alla prova; la sospensione del procedimento per speciale tenuità del fatto; l’estinzione del reato per condotte riparatorie; il patteggiamento e il giudizio abbreviato; la commisurazione della pena (discrezionalità, circostanze del reato, circostanze attenuanti generiche, recidiva, reato continuato); le pene detentive brevi (sanzioni sostitutive e doppi benefici di legge); le misure alternative, i reati ostativi e le preclusioni; le misure di sicurezza e le misure di prevenzione. Cristina MarzagalliMagistrato attualmente in servizio presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea come Esperto Nazionale Distaccato. Ha maturato una competenza specifica nell’ambito del diritto penale e dell’esecuzione penale rivestendo i ruoli di GIP, giudice del dibattimento, magistrato di sorveglianza, componente della Corte d’Assise e del Tribunale del Riesame reale. E’ stata formatore della Scuola Superiore della Magistratura per il distretto di Milano.
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2. Riforma Cartabia e pene sostitutive
La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso si sofferma sul motivo oggetto di trattazione (che viene accolto) e rammenta che il legislatore della Riforma Cartabia ha inserito una importante innovazione del sistema delle pene sancita dall’introduzione dell’art. 20-bis c.p., intitolato “Pene sostitutive delle pene detentive brevi” e secondo cui “salvo quanto previsto da particolari disposizioni di legge, le pene sostitutive della reclusione e dell’arresto sono disciplinate dal Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, e sono le seguenti: 1) la semilibertà sostitutiva; 2) la detenzione domiciliare sostitutiva; 3) il lavoro di pubblica utilità sostitutivo; 4) la pena pecuniaria sostitutiva“.
La valutazione della portata innovativa della suddetta norma deve essere interpretata, ad avviso della Corte, analizzando, innanzitutto, la volontà del legislatore. Nella Relazione Illustrativa si legge, infatti, che “la legge delega attribuisce al giudice di merito il potere di sostituire la pena detentiva anticipando alla fase della cognizione, a titolo di vera e propria pena (anche se sostitutiva) alcune forme di esecuzione extra-carceraria che nell’ordinamento penitenziario vigente sono definite come ‘misure alternative alla detenzione’. […] Solo dopo la pubblicazione del dispositivo ai sensi del vigente art. 545, co. 1, c.p.p.) sia il giudice sia le parti sono in grado di effettuare una prima valutazione circa la possibile applicazione delle pene sostitutive. Nel caso in cui non vi siano preclusioni circa la possibilità astratta di disporre la sostituzione delle pene detentive brevi, al fine di dare evidenza alla possibilità di sostituzione della pena, il giudice, subito dopo la lettura del dispositivo, è gravato dell’onere di dare avviso alle parti“.
La Corte chiarisce, dunque, che a seguito della pronuncia di condanna sul giudice che emette la sentenza ad una sanzione inferiore ad anni 4 grava un preciso onere di valutare la possibile applicazione di pene sostitutive che, assicurando forme di limitazione della libertà personale extra carceraria, appaiano ugualmente idonee ad assicurare la finalità rieducativa pur prevenendo il pericolo di commissione di ulteriori reati.
Si è sottolineato anche come l’idea sottesa a tale scelta è chiaramente quella di dare effettività e concretezza al finalismo rieducativo della pena che, come si deduce dal tenore dell’art. 27, comma 3, Cost., oltre a non essere prerogativa esclusiva del carcere, mal si concilia con l’esecuzione di pene contenute, come appunto quelle punite con reclusione inferiore a quattro anni.
Insomma, può affermarsi che sul giudice della cognizione grava un preciso obbligo di verificare la sussistenza delle condizioni per disporre la sostituzione delle pene detentive brevi; e si tratta di un onere di particolare rilievo poiché funzionale a quell’obiettivo di “decarcerizzazione” del sistema penale che è stato indicato quale finalità da realizzare al fine di promuovere il reinserimento del condannato e favorire il sovraffollamento delle carceri.
3. Valutazione ex art. 133 c.p. per individuazione della pena sostitutiva
Quanto all’esercizio del potere discrezionale del giudice della cognizione, rileva il contenuto degli artt. 53, 58 e 59 della legge 681/1989 come riformata dal D.lgs. 150/2022. In particolare, secondo l’art. 53 cit., il giudice, quando ritiene di dover determinare la durata della pena detentiva entro il limite di quattro anni, può sostituire tale pena con quella della semilibertà o della detenzione domiciliare; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di tre anni, può sostituirla anche con il lavoro di pubblica utilità.
Ad avviso della Cassazione, fondamentale è il successivo art. 58 (“Potere discrezionale del giudice nell’applicazione e nella scelta delle pene sostitutive”): la norma richiama i parametri dettati dall’art. 133 c.p. stabilendo che, valutati detti criteri, il giudice può applicare le pene sostitutive quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando anche attraverso opportune prescrizioni, assicurino la prevenzione del pericolo di commissione di ulteriori reati. Lo stesso articolo aggiunge poi che la pena detentiva non può essere sostituita quando sussistano fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato.
Infine, è l’art. 59 che detta testualmente le condizioni soggettive per la sostituzione della pena detentiva escludendo la possibilità di applicarla per chi: ha commesso il reato per cui si procede entro tre anni dalla revoca della sanzione sostitutiva o durante l’esecuzione della stessa; deve essere sottoposto a misura di sicurezza personale; risulta condannato per uno dei reati di cui all’art. 4-bis, ordinamento penitenziario.
La Corte specifica che “deve essere escluso che il giudice di merito possa respingere la richiesta di applicazione delle pene sostitutive in ragione della sola presenza di precedenti condanne, ricavando da solo questo elemento un giudizio negativo tale da negare il beneficio e ciò perché, il rinvio all’art. 133 c.p. contenuto nell’art. 58 l. 689/81 come riformulato, va letto in stretta connessione con il successivo art. 59 cit. che pure ha previsto quali condizioni ostative circostanze tutte relative al reato per cui si procede e non riferibili ai precedenti“.
La condizione ostativa per la concessione delle pene sostitutive, espressamente prevista dal legislatore, è invece quella dettata dall’art. 58 primo comma cit. secondo cui la pena detentiva non può essere sostituita quando: non assicura la prevenzione del pericolo di commissione di ulteriori reati; sussistano fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato.
La Suprema Corte osserva che, in tale contesto, “il sistema prevede un doppio richiamo ai criteri direttivi di cui all’art. 133 cod. pen. dapprima ai fini della determinazione della pena e, poi, ai fini dell’individuazione della pena sostitutiva così come richiamato dal citato art. 58 l. 689/81; con la necessaria conseguenza che ove il giudice della condanna nell’ambito della forbice edittale della pena, abbia determinato la sanzione nei termini edittali minimi o, comunque, in termini prossimi ai suddetti minimi, valutando la scarsa entità del dolo ovvero la limitata gravità dei fatti, la pronuncia che neghi l’applicazione di una delle pene previste dall’art. 20-bis cod. pen. sulla base di una affermata elevata pericolosità dell’imputato appare affetta da insanabile contraddittorietà“.
4. La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione afferma che “il giudice di primo grado in sede di condanna dell’imputato ovvero il giudice di appello chiamato a pronunciarsi ex art. 95 d. lgs. 150/2022 è tenuto a valutare i criteri direttivi di cui all’art. 133 cod. pen. sia ai fini della determinazione della pena da infliggere sia, subito dopo, ai fini della individuaizone della pena sostitutiva (ex art. 58 d. lgs. 150/2022) con l’ovvia conseguenza che tra i due giudizi deve esservi continuità e non insanabile contraddittorietà, favorendosi l’applicazione di una delle sanzioni previste dall’art. 20 cod. pen. tanto minore rispetto ai limiti edittali risulti la pena in concreto inflitta“. E proprio sotto tale profilo, l’impugnata sentenza appare affetta anche da difetto di motivazione, specificamente eccepita nel successivo ricorso, nella parte in cui ha omesso di valutare le date di consumazione dei precedenti dai quali pretende ricavare il giudizio di pericolosità pur avendo la difesa eccepito che la consumazione dei precedenti delitti risalirebbe almeno al 2016.
La Suprema Corte fornisce, poi, ulteriori indicazioni per il successivo giudizio stabilendo che, dal combinato disposto delle norme analizzate, risulta che “ove il giudice al momento della emissione del dispositivo di condanna abbia già acquisito il consenso dell’imputato e ritenga la sussistenza dei presupposti per l’applciazione delle pene sostitutive già positivamente vagliati, può direttamente disporre la sostituzione senza necessariamente dovere procedere alla successiva udienza di c.d. sentencing; ove ritenga di dovere acquisire ulteriori chiarimenti dall’ufficio esecuzione penale esterna circa il programma di trattamento procederà invece ai sensi dell’art. 545 primo comma cod. proc. pen.; infine, ove escluda che le pene sostitutive assicurino la prevenzione del pericolo di commissione di ulteriori reati, rigetterà la richiesta stessa, necessariamente formulata prima della conclusione del giudizio ed accompagnata dall’indispensabile consenso dell’imputato“.
In conclusione, la Corte ritiene fondata l’impugnazione limitatamente alla omessa applicazione delle pene sostitutive con conseguente annullamento della sentenza impugnata sul punto ed irrevocabilità della dichiarazione di responsabilità.
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