Rischio di recidiva: no a pene sostitutive

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La Corte di Cassazione, con una recente sentenza (n. 43622 del 27 ottobre 2023), ha chiarito che non è possibile concedere una pena sostitutiva quando c’è il rischio di una recidiva.
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Corte di Cassazione – Sez. V Pen. – Sent. n. 43622 del 27/10/2023

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Indice

1. I fatti

La pronuncia della Corte di Cassazione scaturisce dal ricorso presentato dall’imputato, dichiarato colpevole del reato di furto aggravato dalla Corte di appello di Bologna, la quale ha rideterminato la pena emessa dal Tribunale in mesi quattro di reclusione ed euro 120 di multa, riducendola in virtù della doverosa applicazione della riduzione per la scelta del rito omessa dal primo giudice, confermando nel resto la decisione.
Il ricorso in questione si articolava in un unico motivo, cioè l’inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 53 e 58 della legge n. 689/1981 in relazione all’art. 133 cod. pen. nonché la manifesta contraddittorietà ed illogicità della motivazione.
Nello specifico, la Corte d’appello, dopo aver accolto il motivo di appello concernente l’omessa applicazione della riduzione della pena conseguente alla trattazione del processo con giudizio abbreviato, ha rigettato la richiesta di sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità avanzata a seguito delle novità legislative di cui al decreto legislativo 150/2022 (Riforma Cartabia) e, segnatamente, dei novellati artt. 53 e 58 della legge 689/1981 in tema di sanzioni sostitutive.
La Corte territoriale ha motivato il diniego “considerata la presenza di numerosi precedenti penali molti dei quali per i delitti contro il patrimonio“, dato che testimonierebbe la inaffidabilità del condannato che risulterebbe ribadita anche nel presente procedimento attesa l’applicazione di misura cautelare nei suoi confronti.

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2. Pene sostitutive e rischio di recidiva: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, nel dichiarare infondato il ricorso, si sofferma preliminarmente su quella che è la ratio della rinnovata disciplina delle pene sostitutive brevi. Innanzitutto, la Corte osserva che il nuovo art. 20-bis c.p. (introdotto dal d. lgs. 150/2022) segna il formale ingresso nel codice penale della categorie delle “pene detentive brevi” e che l’art. 71 della stessa Riforma Cartabia ha introdotto una riforma organica della l. n. 689/1981 cit. ridisegnando anche il quadro generale delle c.d. sanzioni sostitutive di pene detentive brevi.
Vi è stata, innanzitutto, un’estensione della nozione di pena detentiva “breve” che prima della riforma comprendeva le pene detentive di durata non superiore ai due anni, mentre adesso le pene sostitutive si applicano alle pene di durata fino a quattro anni.
La Suprema Corte, dunque, sottolinea come con la riforma, “i due istituti non possono trovare applicazione congiunta in quanto il beneficio della sospensione condizionale della pena esclude la possibilità di sostituire la pena detentiva, secondo quanto previsto dall’art. 61-bis della legge n. 689 del 1981, introdotto dall’art. 71, comma 1, lett. i) d. lgs. 150 del 2022“.
Anche da tale divieto di cumulo, ad avviso della Cassazione, “si evince che la riforma mira ad arginare il pericolo di recidiva soprattutto attraverso la finalità rieducativa e risocializzante cui devono tendere le pene sostitutive, corredata dal programma stilato dall’UEPE sulla base della situazione specifica del condannato e dalle prescrizioni imposte dal giudice, finalità che il beneficio della sospensione condizionale della pena non consente invece di realizzare nella sua pregnanza, fondandosi esso su un mero obbligo di astensione incentivato dalla perdita del beneficio in caso di commissione di un nuovo reato“.
La Corte, poi, si sofferma su semilibertà, detenzione domiciliare e lavoro di pubblica utilità, chiarendo che questi costituiscono, invece, delle vere e proprie “pene-programma, imperniate non solo su obblighi di astensione e divieti, ma anche sul programma redatto dall’ UEPE e sulle prescrizioni positive che il giudice, all’esito del contraddittorio e basandosi anche sul progetto di trattamento dell’UEPE, andrà a individuare“.
I giudici arrivano, così, al fulcro della questione, osservando come “l’applicazione delle pene sostitutive non solo è incompatibile con il pericolo di recidiva, ma costituisce la specifica modalità prescelta dal legislatore per arginarlo al meglio, sia pure in un’ottica che si proietta necessariamente dopo il completamento del percorso rieducativo conseguente all’applicazione; essa è quindi, in definitiva, incompatibile solo con quel tasso di recidiva che il giudice non reputa di poter azzerare o ridurre attraverso l’adozione di quelle particolari prescrizioni che accompagnano la pena sostitutiva nella fase di esecuzione della stessa, la quale in quanto di tipo non restrittivo, o del tutto restrittivo, necessita di adeguati controlli e prescrizioni“. Per un valido supporto per professionisti consigliamo il volume Come richiedere l’applicazione delle pene sostitutive, che esamina, con un approccio chiaro e pratico, i presupposti e le modalità per la richiesta delle pene sostitutive delle pene detentive brevi .

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3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione osserva come “l’esigenza di rieducazione si compenetra con quella della tutela della collettività nel senso che questa si realizza essenzialmente anche tramite il processo di rieducazione, puntellato dalle prescrizioni imposte dal giudice“.
La Suprema Corte sottolinea come risulti evidente che il presupposto da cui deve muovere il giudice al fine di verificare l’an dell’applicazione della pena sostitutiva breve è quello della “valutazione della sussistenza o meno di fondati motivi che inducano a ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute perché la prospettiva della rieducazione non può prevalere sull’esigenza di neutralizzazione del pericolo di recidiva che necessita di essere soddisfatta anche durante l’esecuzione della pena“.
Da qui, la Corte ha ritenuto che il suo controllo rispetto alla decisione della Corte di appello di non farsi luogo alla sostituzione della pena detentiva non possa che fermarsi “alla verifica della sussistenza di una congrua motivazione che dia conto della esistenza di quei fondati motivi ostativi ad una prognosi favorevole in ordine al futuro comportamento del condannato che involge il rispetto delle prescrizioni (e non solo quelle imposte dal giudice ma anche quelle insite nelle stesse pene sostitutive che tendenzialmente impongono adempimenti comportamentali specifici)“.

Riccardo Polito

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