Recidiva reiterata: cosa occorre per il riconoscimento

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Per la recidiva reiterata, è necessaria una dichiarazione semplice in sentenza di condanna, o basta che l’imputato abbia più condanne definitive?
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Corte di Cassazione -SS.UU.pen.- sentenza n. 32318 del 30-03-2023

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Indice

1. Il fatto


Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Ancona, a seguito di giudizio abbreviato, condannava gli imputati alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed Euro cinquecento di multa per il reato di furto di due blocchetti di assegni e denaro liquido.
In questa occasione, veniva contestata e accertata la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale.
Ciò posto, a loro volta, la Corte di Appello di Ancona confermava quanto disposto dal giudice di prime cure.
Avverso il provvedimento emesso dalla Corte territoriale proponeva ricorso per Cassazione la difesa dell’accusato che, tra i motivi ivi addotti, deduceva violazione di legge e vizio motivazionale sulla recidiva.
Sosteneva in particolare il ricorrente che l’applicazione del relativo aumento di pena non era stata motivata con riguardo all’espressività di maggiore pericolosità attribuibile alla commissione del reato qui giudicato, trascurandosi d’altra parte che l’assenza di una precedente condanna per fatti aggravati dalla recidiva induceva a ritenere che la stessa fosse stata esclusa in quelle sedi, rilevandosi al contempo, a quest’ultimo proposito, che la stessa possibilità di ritenere configurabile la contestata recidiva reiterata nonostante la recidiva semplice non fosse stata oggetto delle condanne precedenti, era stata motivata con la mera citazione di arresti giurisprudenziali in ordine alla possibilità di prescindere da tale pregressa, formale dichiarazione.

2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione


La Quinta Sezione penale , investita della decisione sui ricorsi, rilevava, quanto alla questione dedotta nella seconda parte del motivo summenzionato, l’esistenza di un orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità in tal senso, richiamato nella sentenza impugnata.
Dato atto che un parziale distacco dal citato orientamento si individua in talune pronunce, per le quali è esclusa l’applicazione della recidiva reiterata nel caso in cui la recidiva semplice non sia stata in precedenza ritenuta per la mancanza del presupposto dell’anteriorità del passaggio in giudicato della condanna per il reato precedente, pur tuttavia, la Sezione rimettente evidenziava come l’indirizzo maggioritario dovesse essere superato nella direzione della necessità, per la configurabilità della recidiva reiterata, di una precedente sentenza definitiva di condanna per un reato aggravato dalla recidiva, tanto in considerazione dell’evoluzione dello stesso concetto di recidiva per effetto dei principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, che hanno ridisegnato tale istituto quale non più corrispondente ad uno status soggettivo determinato solo dalla formale ricaduta nel reato, ma come tale da comprendere anche il presupposto della significatività nel nuovo reato in termini di maggiore colpevolezza e più elevata capacità a delinquere e pericolosità dell’imputato.
Difatti, per questa Sezione semplice, questa evoluzione si rivela incompatibile con il mantenimento del citato indirizzo maggioritario in tema di recidiva reiterata, ove attribuisce alla qualità di recidivo espressa nell’art. 99, comma 4, c.p., in quanto sintesi delle varie figure dell’istituto disciplinate dai commi precedenti, il contenuto proprio di un soggetto nei confronti del quale non sia unicamente già intervenuta una sentenza di condanna, ma sia stata altresì valutata la ricorrenza degli elementi anche sostanziali della recidiva, ciò implicando un’affermazione giudiziaria della relativa fattispecie aggravatrice, non senza considerare che l’orientamento in discussione si risolve nel conferire alla recidiva reiterata connotazioni di obbligatorietà e rigido automatismo sanzionatorio, delle quali la Corte costituzionale ha sancito l’illegittimità con riguardo alla fattispecie di cui al successivo comma 5.


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3. La soluzione adottata dalle Sezioni unite


Le Sezioni unite, prima di entrare nel merito della questione, procedevano ad una sua delimitazione nei seguenti termini: “Se, ai fini dell’applicazione della recidiva reiterata, sia necessaria una precedente dichiarazione di recidiva semplice contenuta in una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero sia sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più condanne definitive per reati che manifestino una sua maggiore pericolosità sociale”.
Premesso ciò, dopo avere compiuto una disamina su come la recidiva sia attualmente configurata nel diritto vivente all’esito degli interventi della giurisprudenza di legittimità, precipuamente nella sua massima espressione delle Sezioni Unite, gli Ermellini, nella pronuncia qui in commento, ritenevano innanzitutto necessario notare come l’ordinanza di rimessione avesse assunto una posizione critica rispetto ad un orientamento della giurisprudenza di legittimità che segnalava come maggioritario, ma che in realtà era pressoché costante e risalente .
Difatti, secondo tale orientamento, la configurabilità della recidiva reiterata non presuppone la dichiarazione della recidiva semplice in una delle precedenti sentenze di condanna, essendo sufficiente a tal fine che, al momento della commissione dell’ultimo delitto, il reo risulti gravato da più condanne definitive per reati che, valutati unitamente all’ultimo, manifestino la sua maggiore attitudine criminosa (fra le altre, Sez. 2, n. 35159 del 01/07/2022; Sez. 2, n. 15591 del 24/03/2021; Sez. 2, n. 21451 del 05/03/2019; Sez. 5, n. 47072 del 13/06/2014; Sez. 2, n. 18701 del 07/05/2010; Sez. 5, n. 41288 del 25/09/2008; Sez. 3, n. 7864 del 20/12/1974; Sez. 4, n. 2957 del 11/11/1974; Sez. 4, n. 4010 del 20/09/1971; Sez. 5, n. 1192 del 12/10/1967, oltre alle recenti e non massimate Sez. 5, n. 26170 del 22/04/2022; Sez. 6, n. 11522 del 02/02/2022; Sez. 6, n. 4448 del 27/01/2022; Sez. 2, n. 21770 del 19/02/2021), deducendosi contestualmente come questa linea interpretativa sia motivata essenzialmente in base al dato letterale.
L’art. 99, comma 4, c.p., invero, nel prevedere l’ipotesi della recidiva reiterata, non fa alcun riferimento ad una precedente dichiarazione della recidiva semplice, fermo restando, come poi si sottolinea particolarmente in alcune pronunce (Sez. 1, n. 24023 del 06/05/2003; Sez. 3, n. 6424 del 25/06/1993), che un siffatto richiamo non può essere tratto dalla mera indicazione come “recidivo” del soggetto che, ove commetta altro delitto, è sottoposto all’aumento di pena proprio della fattispecie recidivante in esame.
Il termine, secondo questa lettura, non sottintende la costituzione di uno stato di recidivanza per effetto di una precedente dichiarazione giudiziale in tal senso.
Esso, al contrario, è utilizzato dal legislatore, per comodità espositiva, quale mera espressione di sintesi che consente di non riproporre testualmente e per esteso la disposizione del comma 1 dell’articolo sul presupposto formale della recidiva semplice, ossia la precedente condanna per un delitto non colposo.
Orbene, segnalavano sempre le Sezioni unite nella decisione qui in esame, nell’ordinanza di rimessione si richiamava, indicandolo come parzialmente divergente da quello appena esposto, un indirizzo giurisprudenziale che tuttavia si discosta da quest’ultimo per un aspetto marginale, e non ne mette in discussione l’essenzialità del principio generale affermato nella possibilità di ritenere la recidiva reiterata anche in mancanza di una previa dichiarazione della recidiva semplice.
In particolare, il riferimento è alle decisioni che, in contrasto con talune di quelle citate in precedenza secondo le quali la recidiva reiterata può essere ritenuta anche ove nei procedimenti precedentemente definiti non sussistano le condizioni astratte per la dichiarazione della recidiva semplice, hanno di contro affermato la necessità che, all’epoca della commissione del reato oggetto della seconda condanna precedente, si sia realizzata la condizione del passaggio in giudicato della prima condanna (Sez. 1, n. 49567 del 02/11/2022; Sez. 3, n. 27450 del 29/04/2022; Sez. 3, n. 2519 del 14/12/2021; Sez. 2, n. 37063 del 26/11/2020), trattandosi, all’evidenza, di decisioni dipendenti dalla particolarità del caso, nel quale in precedenza difettava una condizione formale per la configurabilità della recidiva semplice; decisioni, pertanto, non incidenti significativamente sulla generalità dell’affermazione della giurisprudenza in ordine alla mancanza, fra le condizioni per la ravvisabilità della recidiva reiterata, della pregressa dichiarazione della recidiva semplice, essendo significativo in tal senso, del resto, che nella sentenza n. 49567/2022, la constatazione del mancato passaggio in giudicato della prima condanna al momento della commissione del secondo reato sia stata considerata pregiudizialmente quale fatto che rendeva superfluo affrontare la questione, in quella sede proposta, della necessità in tutti i casi di una previa dichiarazione della recidiva semplice.
Tale questione, in realtà, ad avviso delle Sezioni unite, è rimessa a loro, non tanto per l’esistenza di un effettivo contrasto giurisprudenziale sul punto, quanto per la ravvisabilità di un contrasto potenziale dell’attuale orientamento, in tema di irrilevanza della pregressa dichiarazione di recidiva semplice per la rilevabilità della recidiva reiterata, con l’evoluzione giurisprudenziale ricostruita in precedenza in ordine alla sussistenza di un presupposto sostanziale della recidiva, costituito dalla significatività dell’ultimo delitto commesso in termini di accresciuta attitudine a delinquere del reo. Ed è in questa prospettiva, quindi, per gli Ermellini, che la questione doveva essere discussa.
Chiarito ciò, per la Suprema Corte, occorre considerare innanzitutto l’argomento di carattere letterale richiamato quale fondamento dell’interpretazione fin qui sostenuta dalla giurisprudenza di legittimità sulla questione in discussione atteso che tale argomento ha senza dubbio una notevole consistenza, tenuto conto altresì del fatto che la sua persuasività, peraltro, non è data unicamente dalla pur non trascurabile rilevanza dell’assenza, nella formulazione dell’art. 99, comma 4, c.p., di qualsiasi riferimento ad una precedente affermazione giudiziaria della recidiva semplice.
Del resto, l’adesione alla tesi opposta, nel senso della necessità di tale precedente pronuncia, presupporrebbe l’attribuzione al termine “recidivo“, che introduce il citato comma 4 indicando come tale il soggetto nei confronti del quale può essere ritenuta la fattispecie reiterata della recidiva, di un significato tale da comprendere l’intero contenuto descrittivo del comma 1 dell’articolo; non solo, quindi, l’esistenza di una prima condanna per un delitto non colposo, ma anche la concreta applicazione della recidiva con la seconda condanna, mediante il relativo aumento di pena o la confluenza della circostanza aggravante in un giudizio di comparazione con circostanze di segno contrario.
Per la Corte di legittimità, però, se si pone tuttavia attenzione alla struttura testuale complessiva della norma, ed in particolare al rapporto fra le fattispecie del primo e del comma 4, è di immediata constatazione che dette fattispecie sono connotate da un’evidente simmetria, dato che, in entrambe, ad una prima parte riferita alla posizione soggettiva di recidivanza del reo, esplicitata nel comma 1 con l’indicazione della precedente condanna e della natura del reato oggetto della stessa, segue una seconda parte rappresentativa delle conseguenze giuridiche di questa posizione sul trattamento sanzionatorio.
In questa configurazione, invero, intendere la prima parte del comma 4, ossia il riferimento all’ipotesi nella quale il “recidivo commette un altro delitto non colposo”, quale comprensiva anche della seconda parte del comma 1, relativa al riconoscimento giudiziale della recidiva, appare decisamente dissonante rispetto alla descritta corrispondenza simmetrica fra le due fattispecie, mentre è invece coerente con la stessa una lettura della riportata espressione del comma 4 nel suo significato letterale, unicamente descrittivo della posizione del soggetto che abbia posto in essere l’ulteriore ulteriore delitto trovandosi nella condizione formale di recidivo semplice, prevista dalla prima parte del comma 1, e non comprensivo dell’effettivo riconoscimento giudiziale della recidiva e dei relativi effetti sanzionatori, oggetto della seconda parte del comma 1 e, correlativamente, della seconda parte del comma 4 con riguardo alla fattispecie della recidiva reiterata, tanto, a maggior ragione, ove si consideri la facoltatività del giudizio da cui dipende la conseguenza sanzionatoria prevista dal comma 1 e, come si è visto, anche dal comma 4, a fronte della invece tassativa qualificazione di recidivanza per effetto del dato formale della pregressa condanna.
L’elemento testuale, in sostanza, per i giudici di piazza Cavour, depone univocamente nel leggere il termine “recidivo” presente nel comma 4, conformemente all’interpretazione dell’orientamento giurisprudenziale criticato con l’ordinanza di rimessione, come meramente ripropositivo in forma sintetica dell’espressione estesamente utilizzata nel comma 1 per descrivere la condizione di precedente condanna, e non inclusivo dell’eventuale, concreta applicazione della recidiva nei suoi effetti sanzionatori.
Precisato ciò, i giudici di legittimità ordinaria rilevavano come, a loro avviso, vi fossero pure, d’altra parte, diversi aspetti sistematici che si pongono in linea con questa conclusione.
L’art. 105 c.p., in primo luogo, prevede espressamente che sia dichiarato delinquente o contravventore professionale il soggetto che “trovandosi nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità, riporta condanna per altro reato”, e da questa formulazione emerge chiaramente (come del resto riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, Sez. 4, n. 13463 del 05/11/2019) che la dichiarazione di professionalità può essere pronunciata anche ove quella di livello immediatamente inferiore nella progressione prevista dalla legge, ossia quella di abitualità, non sia stata giudizialmente affermata, essendo sufficiente che ne sussistano le condizioni, trattandosi di un caso indubbiamente diverso oggetto da quello sottoposto alle Sezioni unite con l’ordinanza di rimessione, e tuttavia significativo in quanto costituisce applicazione di un principio, per il quale non è necessaria l’espressa pronuncia di una dichiarazione costitutiva di una condizione relativa ai precedenti penali del reo di grado inferiore a quella valutata nel procedimento, sussistendone comunque i presupposti, in una fattispecie le cui conseguenze giuridiche sono per il soggetto interessato più gravi ed afflittive di quelle della recidiva.
Si evidenzia in tal modo come sia conforme al sistema che il principio operi anche per la fattispecie della recidiva reiterata rispetto a quella della recidiva semplice, nel senso della possibilità di ritenere la prima anche solo in presenza delle condizioni formali della seconda.
Ciò posto, sempre per la Suprema Corte, considerazioni analoghe valgono per la previsione di ostatività della recidiva reiterata – oltre che delle condizioni di abitualità e professionalità nelle contravvenzioni – all’ammissione all’oblazione speciale, di cui all’art. 162-bis, comma 3, c.p. visto che
la formulazione della relativa disposizione, nei termini per cui “l’oblazione non è ammessa quando ricorrono i casi previsti dal terzo capoverso dell’art. 99”, è costantemente intesa dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che la condizione di recidiva reiterata impedisce l’accesso all’oblazione anche ove la stessa non sia stata giudizialmente dichiarata (Sez. 3, n. 29238 del 17/02/2017; Sez. 3, n. 55123 del 04/10/2016; Sez. 4, n. 20309 del 16/03/2004), essendosi in particolare osservato sul punto che l’espressione testualmente riferita alla ricorrenza, fra gli altri, del caso della recidiva reiterata, deve essere letta, per il suo tenore sia letterale che logico, come indicativa della mera sussistenza dei precedenti che per il loro numero e la loro natura integrano il presupposto formale dell’ipotesi recidivante in esame (Sez. 1, n. 17316 del 05/04/2006).
E’ ancora all’interpretazione giurisprudenziale, infine, che si deve l’assimilazione, ai casi appena considerati, di quello dell’interdizione al cosiddetto “patteggiamento allargato“, ossia esteso all’applicazione di una pena detentiva non soggetta al limite massimo di due anni, ma a quello di cinque anni, prevista dall’art. 444, comma 1-bis, c.p.p..
Tale disposizione, invero, si esprime testualmente escludendo dalla possibilità di ricorrere a tale forma di applicazione di pena, fra gli altri, “coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, o recidivi ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p. “; formulazione, questa, che può suggerire un’associazione della posizione dei recidivi reiterati a quella dei delinquenti abituali, professionali o per tendenza, nella condizione della necessità di una dichiarazione giudiziale di dette posizioni anteriore al procedimento nel quale è richiesta l’applicazione della pena, ed in tal senso è stata in effetti intesa da talune pronunce (Sez. 1, n. 1007 del 13/11/2008; Sez. 6, n. 39238 del 16/09/2004), fermo restando che le Sezioni unite hanno tuttavia escluso la legittimità di questa interpretazione, osservando che la norma è espressa in una forma tecnicamente imprecisa, in quanto utilizzata essenzialmente per ragioni di uniformità lessicale nell’esposizione di tutte le situazioni soggettive ostative all’ammissibilità del patteggiamento allargato – la maggior parte delle quali caratterizzate dalla previsione di un’apposita dichiarazione, come per l’appunto quella di abitualità, professionalità e tendenza a delinquere – prescindendo dalle differenze sostanziali fra dette situazioni (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010).
In questo contesto, pertanto, la peculiarità sostanziale che distingue la recidiva reiterata, e la recidiva in generale, è individuata dalla sentenza n. 35738/2010 proprio nel fatto che essa non è oggetto di una formale dichiarazione, ma può solo essere ritenuta e applicata per i reati in relazione ai quali è contestata.
La stessa nozione di una previa dichiarazione della recidiva reiterata, quale condizione ostativa all’accesso al patteggiamento allargato, è dunque improponibile.
D’altronde, questa lettura della previsione dell’art. 444, comma 1-bis, c.p.p. non consente pertanto di ravvisare nella stessa un dato sistematico in senso distonico dall’indirizzo giurisprudenziale sulla possibilità di ritenere la recidiva reiterata anche in mancanza di un precedente riconoscimento della recidiva semplice, essendo significativo, al contrario, che le conclusioni della sentenza . 35738/2010 sul punto siano state richiamate a sostegno di talune delle decisioni conformi a tale indirizzo (Sez. 2, n. 15591 del 24/03/2021; Sez. 2, n. 21451 del 05/03/2019).
Orbene, a fronte degli elementi letterali e sistematici di cui sopra, nell’ordinanza di rimessione si richiama l’attenzione sulla necessità di tenere conto delle profonde modificazioni nella struttura dell’istituto della recidiva e nel giudizio sull’applicazione dello stesso, indotte dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità con l’individuazione del requisito sostanziale dell’accentuata attitudine a delinquere del reo, in quanto manifestazione di maggiore colpevolezza e pericolosità, e con la conseguente necessità, perché la recidiva possa considerarsi ritenuta ed applicata, di una valutazione sulla sussistenza nel caso concreto di tale presupposto.
Ebbene, a fronte di ciò, le Sezioni unite osservavano in proposito che, per effetto di questa mutata concezione della recidiva, la stessa non si riduce più nei limiti di uno status personale dipendente unicamente dalla presenza di determinati precedenti penali, ma si articola altresì in una più complessa condizione di incidenza del nuovo delitto commesso sull’attitudine a delinquere, da valutarsi nel significato in tal senso di tale delitto in relazione con i precedenti, e ciò tanto rende necessario, secondo questa interpretazione, che ogni livello di recidiva debba essere specificamente esaminato in corrispondenza con la commissione del nuovo delitto che ne rende formalmente accertabile la ricorrenza; e che pertanto la recidiva reiterata non possa essere valutata in mancanza di un accertamento sull’applicazione del precedente livello della recidiva semplice.
Ciò posto, sempre per la Suprema Corte, vi è un ulteriore aspetto che può essere immediatamente colto in questa proposta ermeneutica, e che incide negativamente, e in misura non marginale, sulla persuasività della relativa argomentazione, atteso che quest’ultima si presenta indubbiamente come improntata alla piena valorizzazione della nuova concezione della recidiva nel superamento di una rigidità applicativa, derivante dalla mera constatazione dell’esistenza delle precedenti condanne, in favore del giudizio in concreto sull’elemento sostanziale della maggiore attitudine a delinquere, fermo restando che, sul piano dei rapporti fra la recidiva semplice e la recidiva reiterata, tuttavia, tale proposta si risolve contraddittoriamente nell’introduzione di una diversa e non meno evidente connotazione di rigidità, data dal sottoporre l’applicazione della recidiva reiterata alla imprescindibile condizione del previo accertamento della recidiva semplice, trattandosi di un profilo di rigidità che, considerate le varie ed occasionali ragioni per le quali può accadere che detto accertamento non abbia avuto luogo – dalla mancata contestazione della recidiva nel procedimento precedente ad una diversa valutazione sulla significatività del delitto giudicato in quella sede, oppure alla mera omissione motivazionale sul punto – manifesta ancor più vividamente la sua incoerenza con l’intento di concretezza e sostanzialità del giudizio sulla recidiva, posta alla base della tesi in discussione.
Ebbene, a prescindere da questa difficoltà argomentativa, per la Corte di legittimità, risulta però decisivo un ulteriore ordine di considerazioni.
Difatti – una volta premesso che, per superare un dato letterale della pregnanza di quello in precedenza esposto, occorrerebbe che la soluzione proposta, nel senso della necessità di un precedente riconoscimento della recidiva semplice perché si possa procedere all’accertamento della recidiva reiterata, costituisca l’unico percorso procedurale che consenta una piena e compiuta verifica sulla sussistenza del presupposto sostanziale della recidiva anche rispetto alla significatività dell’ulteriore delitto, in termini di accresciuta attitudine a delinquere, ai fini della configurabilità dell’ipotesi della fattispecie reiterata, e preso atto che le Sezioni Unite, nella sentenza n. 35738/2010, abbiano evidenziato che il giudizio sulla recidiva, pur essendo incentrato sulla rilevanza dell’ultimo delitto commesso rispetto alla valutazione dell’accresciuta attitudine a delinquere, deve avere ad oggetto la totalità dei reati compresi nella sequenza recidivante, nel loro apporto all’incremento dell’attitudine suindicata – era postulato che il riferimento a questo principio mostra come sia assolutamente possibile e praticabile una valutazione della maggiore attitudine a delinquere, rispetto alla ravvisabilità dell’ipotesi della recidiva reiterata, anche in assenza di una precedente valutazione in tal senso relativamente alla fattispecie intermedia della recidiva semplice, dato che, se l’oggetto del giudizio sulla recidiva reiterata, come sulla recidiva in generale, deve comprendere il contributo specifico di tutti i reati della serie esaminata alla formazione ed al consolidamento della risoluzione e della disposizione criminale del reo, lo stesso assorbe necessariamente quella che sarebbe stata la valutazione sul passaggio della recidiva semplice, in quanto riguardante anche la significatività propria del delitto che avrebbe determinato la configurabilità di tale ipotesi.
Nella situazione in esame, in altre parole, tale valutazione non rimane omessa, ma può e deve essere effettuata, sia pure retrospettivamente, nell’ambito di quella attinente alla fattispecie della recidiva reiterata.
In sostanza, per il Supremo Consesso, la doverosa considerazione della nuova fisionomia dell’istituto della recidiva non conduce inevitabilmente alla necessità che la recidiva reiterata sia valutata e ritenuta solo in presenza di un precedente riconoscimento della recidiva semplice, potendo le relative esigenze essere realizzate nell’ambito del giudizio complessivo ai fini dell’applicazione della recidiva reiterata.
Di conseguenza, ad avviso degli Ermellini, non vi è ragione per superare un dato letterale e sistematico chiaramente orientato nell’escludere che il previo accertamento della recidiva semplice sia condizione per valutare l’applicabilità della recidiva reiterata.
Ciò posto, i giudici di piazza Cavour ritenevano di dovere giungere alla conclusione secondo la quale
la recidiva reiterata può essere accertata, ritenuta ed applicata nei confronti di un soggetto recidivo, da considerarsi tale in quanto già condannato due volte per delitti non colposi, anche se tale condizione di recidivanza non sia stata ritenuta nel precedente giudizio, in conformità con l’indirizzo fin qui seguito dalla giurisprudenza di legittimità.
Detto questo, l’importanza dell’evoluzione che ha portato ad una diversa configurazione della recidiva e dei suoi aspetti applicativi, pur se non tale da creare il potenziale contrasto denunciato con l’ordinanza di rimessione, non deve essere trascurata.
Lo spazio nel quale questa realtà può trovare adeguata considerazione, per la Corte di legittimità, non e’, tuttavia, quello di un irrigidimento formalistico nella successione delle affermazioni giurisprudenziali delle varie ipotesi di recidiva, ma, piuttosto, quello della motivazione sull’applicazione della recidiva reiterata, segnatamente nel caso in cui non vi sia stato un precedente accertamento della recidiva semplice.
La rilevanza dell’aspetto motivazionale della recidiva, nella nuova definizione assunta dall’istituto, è stata in effetti da tempo segnalata dalle Sezioni Unite, nel rilevare che la facoltatività dell’applicazione della stessa impone al giudice, sia nel caso in cui disponga tale applicazione che nel caso contrario, uno specifico dovere di motivazione in proposito (Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011).
Ciò posto, tornando sulla questione, le Sezioni Unite hanno ribadito e dettagliato il principio, osservando che il superamento della concezione della recidiva come status soggettivo determinato dai soli precedenti penali non rende più ammissibile una motivazione affidata a formule di stile; è di contro doverosa un’argomentazione che, precisando gli elementi fattuali presi in considerazione e i criteri utilizzati per valutarli, dia conto della maggiore rimproverabilità del reo per non essersi fatto distogliere dalla risoluzione criminosa per effetto delle precedenti condanne (Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018).
Gli elementi fattuali e i criteri di valutazione, a cui la motivazione deve fare riferimento, sono pertanto evidentemente quelli già indicati dalle stesse Sezioni Unite nella sentenza 35738/2010, ossia: la tipologia e l’offensività dei reati, la loro omogeneità e collocazione temporale, la devianza della quale sono complessivamente significativi e l’occasionalità o meno dell’ultimo delitto, oltre ad eventuali, ulteriori, dati emergenti dalla fattispecie concreta.
Ad ogni modo, con riguardo alla recidiva reiterata, il principio si traduce nella necessità che i fatti oggetto delle pregresse condanne ed il nuovo delitto siano esaminati nelle loro connotazioni sintomatiche di un progressivo rafforzamento della determinazione criminosa e dell’attitudine a delinquere del reo, fermo restando che, nel caso in cui difetti, per qualsiasi ragione, un precedente riconoscimento giudiziale della recidiva semplice, questa impostazione motivazionale consente di conciliare adeguatamente tale evenienza con il rispetto delle esigenze di verifica del presupposto sostanziale della recidiva in tutti i passaggi del percorso criminale del reo poichè la valutazione, fra gli altri, del reato oggetto della seconda condanna precedente, nel suo apporto al consolidamento dell’attitudine a delinquere, è in grado di motivare l’esistenza di una base recidivante che sostiene l’aumento corrispondente alla recidiva reiterata, in presenza di un nuovo delitto stimato come fattore indicativo di ulteriore rafforzamento della predetta attitudine.
Le Sezioni unite, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, formulavano il seguente principio di diritto: “Ai fini del riconoscimento della recidiva reiterata è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice”.

4. Conclusioni


La decisione in esame desta un certo interesse atteso che, con essa, le Sezioni unite hanno dato risposta al seguente quesito: “Se, ai fini dell’applicazione della recidiva reiterata, sia necessaria una precedente dichiarazione di recidiva semplice contenuta in una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero sia sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più condanne definitive per reati che manifestino una sua maggiore pericolosità sociale”.
Difatti, le Sezioni unite hanno propeso per la seconda soluzione, asserendo che, ai fini del riconoscimento della recidiva reiterata, è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice.
Dunque, per riconoscere la recidiva reiterata, non occorre che l’imputato sia stato dichiarato in precedenza recidivo semplice, purché, al momento in cui ha commesso il reato, costui abbia già riportare sentenze definitivi in merito a reati commessi nel passato, da cui inferire una maggiore pericolosità sociale.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, pertanto, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il versante giurisprudenziale, non può che esser che positivo.

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FORMATO CARTACEO

Procedimento ed esecuzione penale dopo la Riforma Cartabia

Aggiornato al D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (Riforma Cartabia) e alla L. 30 dicembre 2022, n. 199, di conv. con mod. del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162 (Decreto Nordio), il presente volume è un’analisi operativa degli istituti del nostro sistema sanzionatorio penale, condotta seguendo l’iter delle diverse fasi processuali. Anche attraverso numerosi schemi e tabelle e puntuali rassegne giurisprudenziali poste in coda a ciascun capitolo, gli istituti e i relativi modi di operare trovano nel volume un’organica sistemazione al fine di assicurare al professionista un sussidio di immediata utilità per approntare la migliore strategia processuale possibile nel caso di specie. Numerosi sono stati gli interventi normativi degli ultimi anni orientati nel senso della differenziazione della pena detentiva: le successive modifiche del codice penale, del codice di procedura penale e dell’ordinamento penitenziario, la depenalizzazione di alcuni reati; l’introduzione dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto; la previsione della sospensione del processo con messa alla prova operata; le stratificate modifiche dell’ordinamento penitenziario. Con attenzione alla novità, normativa e giurisprudenziale, e semplicità espositiva, i principali argomenti trattati sono: la prescrizione; l’improcedibilità; la messa alla prova; la sospensione del procedimento per speciale tenuità del fatto; l’estinzione del reato per condotte riparatorie; il patteggiamento e il giudizio abbreviato; la commisurazione della pena (discrezionalità, circostanze del reato, circostanze attenuanti generiche, recidiva, reato continuato); le pene detentive brevi (sanzioni sostitutive e doppi benefici di legge); le misure alternative, i reati ostativi e le preclusioni; le misure di sicurezza e le misure di prevenzione. Cristina MarzagalliMagistrato attualmente in servizio presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea come Esperto Nazionale Distaccato. Ha maturato una competenza specifica nell’ambito del diritto penale e dell’esecuzione penale rivestendo i ruoli di GIP, giudice del dibattimento, magistrato di sorveglianza, componente della Corte d’Assise e del Tribunale del Riesame reale. E’ stata formatore della Scuola Superiore della Magistratura per il distretto di Milano.

Cristina Marzagalli | Maggioli Editore 2023

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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