Sull’ammissibilità del reclamo al Collegio ex art. 591 ter ultima parte c.p.c. come richiesta di un intervento correttivo o integrativo del G.E. volto al miglior svolgimento dalla procedura esecutiva affidata al professionista

Scarica PDF Stampa
a cura Avv. Sabbatina MOGAVERO, Avvocato iscritto presso il Foro di Milano

Avv. Andrea SORRENTI, Avvocato iscritto presso il Foro di Torino

Tribunale di Torino – Sezione Feriale Civile – ordinanza collegiale del 14-08-2019

Sulla vicenda

Nell’ambito del processo di esecuzione di cui si tratta nel presente articolo, dall’analisi dell’avviso di vendita ex art. 591 bis c.p.c. predisposto dal Professionista delegato dal G.E. emergeva che, sulla base di una semplice proposta di progetto divisionale ipotizzata dal C.T.U. (non definitiva ma volta a sollecitare un giudizio di divisione e/o il più opportuno frazionamento), il Professionista delegato avesse diviso, in maniera arbitraria, la proprietà esecutata in n. 6 Lotti e che il Lotto 1, il Lotto 2, il Lotto 3 e il Lotto 6 comprendessero parzialmente le stesse particelle.

Da ciò derivava – ad avviso della difesa dell’esecutato – l’illegittimità ed erroneità della divisione effettuata dal Delegato con l’avviso di vendita e la presenza nello stesso di gravi irregolarità, generanti estrema confusione nell’individuazione precisa dei beni oggetto di vendita dei singoli lotti e arrecanti grave pregiudizio sia per la fruttuosità della vendita all’asta sia per la soddisfazione delle ragioni debitorie dell’esecutato.

Visto l’approssimarsi del termine per l’esperimento del primo tentativo di vendita, l’esecutato si costituiva chiedendo, per le ragioni sovra esposte, la sospensione delle operazioni di vendita delegate, anche eventualmente ex officio, e la dichiarazione di nullità e/o annullabilità e/o illegittimità dell’avviso di vendita.

Il G.E. emetteva Ordinanza dove, chiesti i pareri al delegato e al CTU, rigettava la domanda formulata senza motivare l’omessa fissazione dell’udienza nel contraddittorio tra le parti.

L’esecutato, ritenendo lesi i propri diritti di difesa, preso atto dell’evidente mancata corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, chiedeva ex art. 177 c.p.c. revocarsi e/o modificarsi dell’ordinanza predetta e instava affinché l’Ill.mo.mo Giudice adito revocasse e/o modificasse l’ordinanza predetta, chiedendo all’uopo gli opportuni chiarimenti al CTU circa la corretta interpretazione del contenuto della relazione dallo stesso e, per l’effetto, sospendesse la vendita fissata fissando udienza garantendo l’opportuno contraddittorio tra le parti.

All’esito dell’udienza, il Giudicante, nel dichiarare “inammissibile l’istanza argomentando che il decreto” […] “non fosse modificabile né revocabile ex art. 177 comma 3 n. 3) c.p.c. in quanto soggetto allo speciale mezzo di reclamo costituito dal reclamo al collegio previsto dall’art. 591 ter ultima parte c.p.c.”, con distinta ordinanza emessa nella medesima data adottava ulteriori provvedimenti mandando al professionista delegato di indicare su quale mappale graverebbe la servitù di passaggio a favore del lotto 4, di accorpare i lotti 1, 2, 3 e 6 in caso di mancata aggiudicazione nel primo tentativo di vendita e di omettere la pubblicità sul sito “entietribunali.it”.

Il debitore esecutato, dunque, instauravaprocedimento di reclamo al collegio avverso quest’ultima ordinanza censurando le determinazioni in ordine alle modalità di vendita dei lotti, deducendo l’esistenza di errori e omissioni nell’individuazione dei beni, lamentando l’inosservanza delle previsioni normative che definiscono il contenuto dell’ordinanza di autorizzazione alla vendita, sostenendo che il G.E. avrebbe stabilito di omettere la pubblicazione dell’avviso di vendita e asserendo che il G.E. avrebbe illegittimamente modificato le condizioni di vendita”.

In base a queste premesse, il debitore esecutato aveva dunque chiesto al G.E. di revocare o modificare l’ordinanza reclamata, di predisporre una nuova ordinanza di vendita che garantisse il conseguimento del maggior profitto dall’alienazione dei beni, di dichiarare nulla o annullabile la vendita di cui all’ordinanza reclamata, di rideterminare i prezzi dei singoli lotti, di dichiarare la nullità della prima ordinanza di vendita.

Il reclamo al collegio veniva proposto in modo generico “ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c. e qualificato – per il contenuto – come reclamo ex art. 591 ter ultima parte c.p.c. (che pure richiama, peraltro, l’art. 669 terdecies c.p.c. a seguito del DL n. 83/2015), trattandosi di gravame volto a sollecitare il controllo del Collegio sullo svolgimento della procedura esecutiva delegata al professionista, trovava il proprio presupposto dell’azione nell’ “interesse del debitore esecutato al conseguimento del massimo ricavo dalla vendita forzata ne determina l’interesse ad agire per i medesimi principi enucleati dalla giurisprudenza in tema di opposizioni ex art. 617 c.p.c., interesse ad agire la cui sussistenza non è stata peraltro contestata dalle controparti”.

Avverso tale reclamo, le controparti si opponevano negando, per contro, la sussistenza dei requisiti in presenza dei quali l’art. 591 ter c.p.c. consente il reclamo al collegio.

Leggi anche:”Impugnabilità dell’estratto di ruolo”

L’iter argomentativo e decisione

Nel decidere sulla predetta questione preliminare, il Tribunale di Torino, in composizione Collegiale, con l’ordinanza del 14-08-2019, prendeva le mosse da una recentissima giurisprudenza di legittimità (Cass. 12238/19) osservando che, con tale pronuncia, i Supremi Giudici di Piazza Cavour avessero già avuto modo di chiarire che, nel procedere all’esegesi della norma e all’analisi della sua ratio, sono reclamabili, ai sensi dell’art. 591 ter c.p.c., “i provvedimenti adottati dal professionista delegato, i quali possono essere reclamati con ricorso al giudice dell’esecuzione; i decreti emessi dal giudice dell’esecuzione su istanza del professionista delegato il quale abbia incontrato difficoltà nello svolgimento delle operazioni delegategli, i quali possono essere anch’essi reclamati con ricorso al giudice dell’esecuzione; le ordinanze emesse dal giudice dell’esecuzione in esito ai predetti ricorsi che possono essere reclamate dinanzi al tribunale in composizione collegiale nelle forme previste dall’art. 669 terdecies c.p.c.”.

Ciò posto, occorrendo nel caso di specie, stabilire se nella fattispecie in esame ricorressero i presupposti della terza delle predette ipotesi, il Collegio osservava che, come implicitamente rilevato dalla Suprema Corte (Cass. 12238/19), “la formulazione dell’art. 591 ter c.p.c. è impropria nella parte in cui prevede che le parti e gli interessati possano proporre “reclamo” al G.E. avverso i provvedimenti adottati dal professionista delegato, dovendosi intendere la nozione di reclamo non in senso proprio, bensì in senso lato quale come richiesta di un intervento correttivo o integrativo del G.E. volto al miglior svolgimento dalla procedura esecutiva affidata al professionista”.

Il Collegio proseguiva evidenziando che la natura del subprocedimento incidentale ex art. 591 c.p.c. fosse stata chiarita dalla medesima pronuncia di legittimità suddetta (Cass. 12238/19), laddove affermava che il suo scopo fosse quello di “evitare incagli pratici o vincere le perplessità del professionista delegato” e che “la procedura ivi prevista ha un perimetro applicativo limitato ai dubbi sollevati, alle incertezze incontrate od agli errori commessi dal professionista delegato. Essa serve, dunque, a dirigere le operazioni delegate, e qualsiasi attività endoprocessuale di impulso, coordinamento o controllo sugli atti delle parti o dell’ausiliario da parte del giudice è, per definizione, insuscettibile di passare ingiudicato“.

A detta dei predetti Giudici di Torino, infatti, “l’esegesi della Suprema Corte conduce, in primo luogo, ad escludere che l’intera procedura ex art. 591 ter c.p.c. possa trovare applicazione solamente nell’ipotesi in cui il professionista si rivolga al G.E., essendo ammissibile anche nell’ipotesi in cui, come nella fattispecie in esame, sia una parte a “reclamare con ricorso” al G.E. gli atti adottati dal professionista” e che “i principi enunciati portano ad affermare, in secondo luogo, che qualsiasi richiesta di parte di un intervento correttivo del G.E. sugli atti del professionista delegato sia qualificabile come “reclamo” al G.E nell’ampia accezione sopra indicata e che l’ordinanza emessa dal G.E. a fronte dell’istanza della parte sia reclamabile al collegio nelle forme di cui all’art. 669 terdecies c.p.c.”.

Fatte le predette premesse, il Collegio, ritenendo ammissibile il reclamo, analizzava nel merito il contenuto sostanziale dell’istanza ex art. 177 c.p.c., riqualificata come reclamo al G.E., da cui traevano origine le due ordinanze reclamate nelle forme di cui all’art. 669 terdecies c.p.c..

Volume consigliato

L’istruttoria nel processo sommario

L’opera in questione mira ad approfondire il nuovo rito sommario di cognizione alla luce delle recenti modifiche normative. Il rito sommario di cognizione introdotto nel 2009 al fine di velocizzare i tempi processuali e permettere di ottenere decisioni più velocemente rispetto alle controversie instaurate secondo il rito ordinario, è diventato negli anni uno strumento fondamentale nel panorama giudiziario.Dal 2011 costituisce uno dei tre riti alternativi in cui possono essere incardinate le controversie civili: è possibile parlare di un rito sommario di cognizione facoltativo e di un rito sommario di cognizione obbligatorio.Si tratta pur sempre di un procedimento a cognizione piena, ma ad istruttoria semplificata: ed è proprio la fase istruttoria a destare non poche perplessità. Si è discusso a lungo sia sulla natura del procedimento sommario di cognizione sia sul significato da attribuire alla locuzione istruttoria (non) sommaria.Dubbi sono emersi sulle modalità di espletamento della fase istruttoria e sulle prove che possono essere utilizzate. La scelta del rito sommario di cognizione era inizialmente rimessa esclusivamente nelle mani dell’attore, l’unico a poter scegliere di iniziare una controversia secondo il predetto rito, mentre al giudice era concesso di disporre la conversione del rito in rito ordinario oppure di concludere il giudizio con un’ordinanza impugnabile con l’appello e suscettibile di divenire, in mancanza, cosa giudicata ex art. 2909 c.c.Nel 2014 con l’introduzione dell’art. 183-bis c.p.c. viene introdotta l’ipotesi inversa, ovvero si consente al giudice di disporre il passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione, eliminando quella situazione a senso unico presente nel passato.Al volume è collegata una pagina web con significative risorse integrative.Su https://www.maggiolieditore.it/approfondimenti è infatti possibile accedere al formulario, in formato editabile e stampabile.Sara Caprio, avvocato e dottore di ricerca in Diritto Processuale Civile, diploma di specializzazione in Professioni Legali presso l’Università di Napoli Federico II, cultore delle materia in Diritto Processuale Civile presso la medesima Università.Barbara Tabasco, avvocato e dottore di ricerca in Diritto Processuale Civile, professore a contratto presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, cultore delle materia in Diritto Processuale Civile presso l’Università di Napoli Federico II.

Sara Caprio – Barbara Tabasco | 2019 Maggioli Editore

25.00 €  23.75 €

Sentenza collegata

73194-1.pdf 8.37MB

Iscriviti alla newsletter per poter scaricare gli allegati

Grazie per esserti iscritto alla newsletter. Ora puoi scaricare il tuo contenuto.

Sabatina Mogavero

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento