Ritardo sistematico dell’amministrazione nella gestione dei procedimenti

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La sentenza Tar Lombardia n. 2949/2023 pubblicato il 04/12/ dicembre 2023 affronta il tema del ritardo sistematico dell’amministrazione nella gestione dei procedimenti relativi alle domande di emersione dal lavoro irregolare (sensi dell’art. 103, D.L. n. 34/2020), esaminando un’azione collettiva. Nel caso di specie viene analizzata l’importanza del rispetto dei tempi procedurali stabiliti e sollevate questioni relative all’efficienza amministrativa e al buon andamento della pubblica amministrazione, con particolare riferimento alla gestione delle risorse e all’organizzazione interna delle amministrazioni coinvolte.

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TAR Lombardia – Sez. IV – Sent. n. 2949 del 04/12/2023

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Indice

1. Ritardo nella gestione dei procedimenti: il caso in questione

Il caso è stato presentato con ricorso di alcuni cittadini stranieri e associazioni e onlus, contro il Ministero dell’Interno e Prefettura di Milano-Ufficio Territoriale del Governo, nei confronti della Questura di Milano, e dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Milano, tutti rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato per accertare la lesione diretta, concreta e attuale dei diritti e degli interessi dei ricorrenti per mancata conclusione dei procedimenti amministrativi di emersione come disciplinata dall’art. 103, del D.L. n. 34/2020, convertito con modificazioni dalla L. n. 77/2020, nonché per la condanna delle amministrazioni resistenti al ripristino della funzione amministrativa attribuita, attraverso tutte le azioni ritenute anche medio tempore idonee a risolvere in modo sistematico e generale il disservizio prodotto.
La sentenza oggetto di disamina ripercorre motivazioni e opposizioni ormai classiche della difesa della pubblica amministrazione sul tema del ritardo e dell’inadempimento. È rilevante quindi – nele parole del TAR – ripercorrere i fondamenti delle repliche motivazionali del Giudice Amministrativo, che possono considerarsi un compendio complessivo in materia.

2. La posizione dei ricorrenti

I ricorrenti lamentano che, dopo oltre due anni dalla presentazione della domanda e pur essendo ormai ampiamente spirato il termine di 180 giorni individuato dalla giurisprudenza per la conclusione del procedimento, la Prefettura di Milano avrebbe definito solo una minima percentuale delle istanze presentate, mentre ancora un rilevante numero di pratiche risulterebbe inevaso. In particolare, secondo quanto risulta dai dati forniti dalla predetta Amministrazione a seguito dell’accesso agli atti effettuato da alcuni degli odierni ricorrenti, fino a maggio 2022 erano state conclusivamente definite solo 6.381 istanze.
Sostengono quindi che sarebbero ravvisabili tutte le condizioni richieste dalla legge per la presentazione dell’azione di cui al D.Lgs. n. 198/2009. Nel merito sussisterebbe il grave inadempimento dell’amministrazione, atteso che:
– sulla base dei dati forniti dal Ministero dell’Interno, fino a marzo 2022 sono state finalizzate positivamente soltanto poco più del 50% delle pratiche ; anche a livello locale, i dati comunicati dalla Prefettura di Milano renderebbero manifesto il grave ritardo con cui le istanze di emersione sono trattate dai competenti uffici;
– tale inadempimento impedirebbe ai cittadini stranieri in possesso della sola ricevuta della domanda di regolarizzazione di stipulare un altro contratto di lavoro, aprire un conto corrente, effettuare l’iscrizione anagrafica, lasciare il territorio italiano per far visita alle proprie famiglie. Inoltre, la trattazione delle singole pratiche sarebbe spesso aggravata, in termini di adempimenti e di differimento della conclusione, dalle vicende modificative dei rapporti di lavoro instaurati, nonché da adempimenti istruttori non necessari richiesti dall’amministrazione procedente.
Quanto alla disponibilità di risorse, l’art. 103, comma 25 e s.s. del D.L. n. 34/2020 avrebbe previsto significativi stanziamenti per fare fronte alla sanatoria, per cui, qualsiasi fosse il provvedimento adottato da questo Tribunale, sarebbe comunque sempre garantito il rispetto delle risorse strumentali, finanziarie e umane concretamente a disposizione.
Alla mancata conclusione dei procedimenti si accompagnerebbe, inoltre, anche l’inerzia dell’Amministrazione relativamente agli obblighi di trasparenza, avendo esse omesso di riscontrare la richiesta di pubblicare sui rispettivi siti lo stato di avanzamento delle pratiche.
Nel merito insistono affinché, accertata la lesione diretta, concreta ed attuale derivante dalla violazione dei termini del procedimento, le amministrazioni resistenti vengano condannate al ripristino immediato della funzione amministrativa, concludendo nel più breve tempo possibile tutti i procedimenti di emersione allo stato pendenti.
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Il volume raccoglie 62 pronunce che rappresentano significativamente i principi fondamentali, gli istituti e le regole del diritto amministrativo sostanziale e processuale; fornendo – anzitutto agli studenti – uno strumento che consente di cogliere la sostanza di quanto nei manuali viene descritto in termini generali e, in definitiva, i modi concreti in cui il diritto amministrativo opera e interviene sulle situazioni reali. La suddivisione degli argomenti ricalca, in via di massima, lo schema seguito nelle trattazioni manualistiche. Per ogni argomento si esaminano una o due decisioni, rese in sede giurisdizionale o anche consultiva. La struttura di ciascun contributo è così articolata: il quadro generale; la vicenda; la sentenza o il parere; il commento; la bibliografia di riferimento. Nei contributi in cui vengono esaminate due decisioni, lo schema “la vicenda – la sentenza (o il parere) – il commento” si ripete per entrambe. IL QUADRO GENERALE tende precisamente a collocare la singola pronuncia nel contesto dei principi e delle regole che la riguardano, anche con rinvio ad essenziali riferimenti di dottrina. Segue, quindi, LA VICENDA, vale a dire la descrizione dei fatti da cui trae origine la controversia. I fatti sono talora noti, riferendosi a vicende importanti, oggetto di attenzione da parte dei media; in altri casi, sono invece eventi di minore importanza, capitati a cittadini comuni in circostanze ordinarie. Si tratta, comunque, di casi che si presentano particolarmente idonei ad evidenziare profili rilevanti del diritto amministrativo. Nella parte concernente LA SENTENZA o IL PARERE, poi, viene riportato un estratto della pronuncia del giudice (Consiglio di Stato, T.A.R., Cassazione, Corte costituzionale) che risolve la questione. Infine, IL COMMENTO tende a fornire qualche elemento per collocare la pronuncia nel contesto più generale della giurisprudenza, segnalando se l’orientamento adottato si presenti, rispetto ai precedenti, pacifico o quanto meno prevalente, o se sia all’opposto minoritario o, ancora, se si tratti di un caso privo di precedenti. Al termine di ogni contributo, nella BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO è fornito un elenco essenziale delle opere bibliografiche richiamate nel testo, secondo il modello di citazione “all’americana”. Marzia De Donno Ricercatrice TD B di Diritto amministrativo, Università degli studi di Ferrara. Gianluca Gardini Professore ordinario di Diritto amministrativo, Università degli studi di Ferrara. Marco Magri Professore ordinario di Diritto amministrativo, Università degli studi di Ferrara.

A cura di Marzia De Donno, Gianluca Gardini e Marco Magri | Maggioli Editore 2022

3. La competenza territoriale

Secondo l’Amministrazione resistente, la competenza a conoscere della presente controversia sarebbe del TAR Lazio in base al principio stabilito dall’art. 13 commi 1 e 3 c.p.a., poiché tanto la situazione denunciata quanto i rimedi ipotizzati (le c.d. azioni intermedie) si riferirebbero alla situazione nazionale, incluso anche il trasferimento di risorse umane, destinato a incidere sulla distribuzione del personale dell’amministrazione sull’intero territorio nazionale.
L’eccezione non può essere condivisa.
Ritiene il Collegio che, nella fattispecie, trovi applicazione la regola stabilita all’art. 13, comma 1, secondo periodo, c.p.a., secondo cui “il Tribunale amministrativo regionale è comunque inderogabilmente competente sulle controversie riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti di pubbliche amministrazioni i cui effetti diretti sono limitati all’ambito territoriale della regione in cui il tribunale ha sede”. Le argomentazioni e le domande dei ricorrenti, infatti, sono volte a denunciare il grave ritardo occorso nella definizione delle pratiche di emersione presso la Prefettura di Milano e in relazione all’ambito territoriale su cui la stessa esercita la propria funzione, tenuto conto dei dati relativi all’esame delle istanze di emersione in carico presso la predetta amministrazione. Non vi sono dunque ragioni per ritenere che il giudizio debba essere incardinato presso il TAR del Lazio.

4. Omogeneità degli interessi dei ricorrenti

La difesa eccepisce, inoltre, l’inammissibilità del ricorso per mancanza di omogeneità tra gli interessi e le posizioni azionate in giudizio, poiché i ricorrenti persone fisiche e le associazioni agirebbero a tutela di situazioni giuridiche tra loro eterogenee.
L’eccezione è infondata.
L’esercizio dell’azione pubblica di classe prescinde, in ragione della natura che le è propria, dalle limitazioni che caratterizzano la proposizione dell’impugnazione in forma collettiva e dalla necessità di una rigorosa omogeneità tra le posizioni azionate in giudizio. Infatti, mentre in quest’ultimo caso i ricorrenti, pur agendo attraverso un unico atto, mantengono ciascuno un proprio interesse individuale all’accoglimento della domanda, nella presente vicenda la legittimazione ad agire con un unico mezzo di impugnazione è riconosciuta ex lege ai “titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori” (cfr. art.1, comma 1). In sostanza, l’interesse che muove il singolo – sia esso lavoratore o datore di lavoro – è solo apparentemente individuale, poiché “si confonde e si estende nell’interesse di altri soggetti in quanto a loro comune, dal momento che tutti si trovano, nei confronti dell’amministrazione di riferimento, nelle medesime condizioni di doglianza pretensiva”. Del resto, la domanda giudiziale del singolo ricorrente “non è tesa a ottenere la tempestiva conclusione del procedimento che lo riguarda, bensì è volta ad ottenere che d’ora in poi quell’amministrazione ponga fine al comportamento costantemente violativo delle regole imposte dall’ordinamento sul rispetto dei termini procedimentali” (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. II quater, 26.02.2014, n. 2257).
È quindi coerente con tale prospettiva la possibilità che l’azione sia esercitata contestualmente, nel medesimo gravame, non solo da ricorrenti singoli, ma anche da associazioni o comitati che agiscano “a tutela degli interessi dei propri associati, appartenenti alla pluralità di utenti e consumatori di cui al comma 1” (cfr. art.1, comma 4), laddove tutti fondino la domanda giudiziale sul medesimo presupposto legittimante tra quelli indicati dall’art. 1 del D. Lgs. n. 198/2009, nello specifico la costante violazione dei termini per la durata del procedimento volto ad ottenere l’emersione dei lavoratori stranieri irregolari. Come evidenziato dalla giurisprudenza, infatti, la class action pubblica è un rimedio che consente di tutelare la posizione di privati e associazioni “che lamentino la costante violazione da parte di una amministrazione pubblica degli obblighi normativamente imposti in tema di rispetto dei tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi, indipendentemente dalla circostanza che detti termini siano funzionali all’adozione di provvedimenti destinati ad un soggetto o ad una ristretta cerchia di destinatari ovvero abbiano come fine ultimo l’adozione di atti di atti amministrativi generali obbligatori non aventi contenuto normativo” (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. II quater, 26.02.2014, n. 2257).

5. La legittimazione attiva in capo alle associazioni

L’Avvocatura Distrettuale dello Stato contesta, sotto altro profilo, l’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione attiva in capo alle associazioni che l’hanno proposto e relativamente alle loro posizioni. In particolare, poiché l’art. 1, comma 4 del D.Lgs. n. 198/2009 stabilisce che associazioni e comitati possono proporre ricorso “a tutela degli interessi dei propri associati”, le stesse avrebbero dovuto provare – e così non avrebbero fatto – che almeno taluni dei propri associati appartengono alla “pluralità di utenti e consumatori” portatori di interessi specifici attinenti ai procedimenti di cui si discute; in sostanza, secondo la difesa erariale, sarebbe stato necessario dimostrare che tra gli associati delle ricorrenti associazioni vi fossero soggetti coinvolti nella procedura di emersione ai sensi dell’art. 103 del D.L. n. 34/2020 quali datori di lavoro o lavoratori, la cui domanda non sia stata definita alla data di proposizione del ricorso.
L’eccezione è infondata.
La legittimazione ad esercitare l’azione collettiva per l’efficienza delle pubbliche amministrazioni attribuita alle associazioni o comitati non richiede che questi ultimi agiscano per il riconoscimento di diritti o di interessi di singoli associati puntualmente individuati, né che debba essere dimostrata in giudizio l’appartenenza alla compagine associativa di soggetti, nominativamente identificati, direttamente lesi dal ritardo dell’amministrazione nell’esame delle pratiche di emersione dal lavoro irregolare. La legittimazione, infatti, deve essere apprezzata in ragione delle finalità “superindividuali” perseguite dai soggetti collettivi, così come traspaiono dai relativi statuti, e va verificata in concreto al fine di accertare se l’ente ricorrente sia statutariamente deputato alla tutela dello specifico interesse ‘omogeneo per una pluralità di utenti e consumatori’ che si assume leso. In sostanza, le associazioni sono legittimate a proporre il ricorso per l’efficienza solo quando “dimostrano di rappresentare adeguatamente tale interesse, così che quest’ultimo, da diffuso che era, si soggettivizza in capo all’associazione, trasformandosi in interesse collettivo” (cfr. Cons. di Stato, Sez. V, 22.05.2023, n.5031). Nel caso concreto, dalla lettura degli statuti delle ricorrenti risulta che le stesse tutelano (cfr. docc. 9-13 produzione dei ricorrenti), con varia ampiezza e diverse modalità, diritti e interessi dei cittadini stranieri presenti sul territorio italiano, fornendo supporto agli stessi ai fini di una migliore integrazione sul territorio, anche attraverso l’ottenimento del titolo di soggiorno, incluso quello conseguente alla domanda di emersione.

6. L’omissione della specificazione delle misure che l’amministrazione dovrebbe adottare per superare le dedotte insufficienze

L’Avvocatura dello Stato eccepisce che i ricorrenti avrebbero esercitato un’azione in realtà riconducibile all’ambito applicativo del ricorso avverso l’inerzia dell’amministrazione disciplinato dall’art. 31 c.p.a. e, comunque, avrebbero omesso di specificare le misure che l’amministrazione stessa dovrebbe adottare per superare le dedotte inefficienze.
Anche tale contestazione non può essere condivisa.
Il ricorso ex art. 31 e 117 c.p.a. non può sovrapporsi, quanto a presupposti, ratio e finalità di tutela, all’azione collettiva pubblica esperita ai sensi dell’art. 1, comma 1 del D.Lgs. n. 198/2009. La differenza tra i due rimedi giudiziari è determinata dalla specificità del petitum, ossia dall’oggetto della domanda rivolta al giudice, pur muovendo dal comune presupposto della violazione, da parte dell’amministrazione competente, del termine fissato per l’adozione del provvedimento finale.
La c.d. class action, al contrario, non è tesa ad ottenere la tempestiva conclusione di un singolo procedimento individuale, ma è finalizzata all’eliminazione del comportamento dell’amministrazione costantemente violativo delle regole imposte dall’ordinamento sul rispetto dei termini procedimentali.
Risulta irrilevante ai fini dell’ammissibilità dell’azione la mancata puntuale specificazione, da parte dei ricorrenti, delle misure ritenute idonee a superare le lamentate disfunzioni nell’esame delle pratiche di emersione dal lavoro irregolare. Anzi, una simile richiesta risulterebbe inammissibile, poiché non solo esulerebbe dall’ambito di applicazione della class action pubblica, ma rappresenterebbe, altresì, un’indebita ingerenza nelle prerogative dell’amministrazione. Peraltro, l’assetto delineato dal D.Lgs. n. 198/2009 “sembra comunque precludere al giudice la condanna dell’amministrazione ad un facere specifico, tranne nel caso in cui si tratti della adozione dell’atto generale da emanarsi obbligatoriamente, e anche in questo caso senza poter entrare nel merito del contenuto dell’atto adottando” (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. II quater, 6.09.2013, n. 8154).

7. La tesi del “procedimento senza limiti di tempo”

La difesa contesta, poi, che le carenze e inefficienze denunciate dai ricorrenti non sarebbero riconducibili alle fattispecie individuate dall’art. 1 del D.Lgs. n. 198/2009 e delimitanti il perimetro applicativo della class action pubblica, poiché, nello specifico, l’art. 103 del D.L. n. 34/2020 non stabilirebbe alcun termine per la definizione dei procedimenti di emersione; anzi, il legislatore neppure avrebbe previsto la possibilità che le procedure di emersione fossero completate prima del 2021, poiché i commi 23 e 25 della medesima disposizione disponevano per gli anni 2020 e 2021 una serie di misure dirette a fronteggiare le eccezionali esigenze determinate dalla gestione delle predette domande.
Secondo il TAR, nonostante alcune incertezze relative alla determinazione della durata massima del procedimento, alimentate dalla mancata espressa indicazione di un termine entro il quale riscontrare le istanze pervenute, è stato ormai definitivamente chiarito, a seguito della sentenza del Consiglio di Stato n. 3578/2022, che tale termine deve individuarsi in 180 giorni decorrenti dalla presentazione delle singole domande. In particolare, è stato in detta sede evidenziato che “pur in assenza di una puntuale indicazione normativa, sia possibile rinvenire nelle maglie della normativa un implicito termine residuale applicabile ai procedimenti in oggetto e che detto termine possa ricavarsi in via interpretativa proprio dalle disposizioni di legge innanzi richiamate. Le stesse, infatti, nel fissare come ordinariamente superabile, nella materia degli stranieri, il limite temporale dei 180 giorni, lasciano intendere che è proprio questo il parametro ordinario di durata al quale rapportare il loro svolgimento. Se il punto di “tolleranza” si situa intorno alla soglia “critica” dei 180 giorni, è ragionevole fissare su tale standard il limite di durata “ordinario”, oltre il quale può ravvisarsi il superamento del termine da parte dell’amministrazione”.
L’individuazione di un termine particolarmente ampio per la definizione dei procedimenti in materia di emersione da lavoro irregolare, poi, è stata ritenuta “proporzionata all’elevatissimo numero di istanze” presentate ai sensi dell’art. 103 del D.L. n. 34/2020, “oltre che alla pluralità di accertamenti e di incombenti procedurali che ne devono precedere la definizione” (Cons. di Stato, Sez. III, 9.05.2022, n. 3578), per cui il maggiore lasso di tempo riconosciuto dall’ordinamento per il perfezionamento delle domande attinenti alla materia in questione tiene conto delle peculiarità procedimentali sottese alla definizione delle stesse.
Alla data di pubblicazione della citata sentenza, pertanto, è stato definitivamente acclarato non solo che il termine massimo per la conclusione del procedimento di emersione dal lavoro irregolare era pari a 180 giorni in luogo degli ordinari 30, ma anche che quest’ultimo era ormai ampiamente spirato, mettendo chiaramente in luce la sussistenza di una situazione di grave e generalizzato ritardo. Contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa, la circostanza che il termine massimo di durata dei procedimenti di emersione non fosse esplicitamente previsto dall’art. 103 del D.L. n. 34/2020 non vale a rendere inammissibile l’azione proposta dagli odierni ricorrenti, poiché la fonte normativa di riferimento, cui ricondurre la prevista durata del procedimento, è l’art. 2, comma 4, della L. n. 241/1990.
Non può del resto predicarsi, all’interno dell’ordinamento, l’esistenza di un’attività amministrativa doverosa – perché in riscontro a istanza di parte – che possa essere esercitata secondo tempi totalmente rimessi all’arbitrio dell’autorità procedente, così sottraendosi al rispetto del chiaro dettato dell’art. 2 della L. n. 241/1990 e dell’obbligo di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso.
Un tale esercizio del potere amministrativo si porrebbe in contrasto con il principio costituzionale di buon andamento, inficiando la correttezza dei rapporti cittadino – amministrazione e discriminando i destinatari della procedura di emersione dal lavoro irregolare, che non sarebbero posti nella condizione di conoscere la durata del procedimento ad essi relativo, rispetto alla generalità degli altri soggetti che si rivolgono all’autorità pubblica.

8. Il sopravvenuto difetto di interesse

La difesa eccepisce l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse in relazione a talune posizioni individuali, poiché, dopo la proposizione dell’impugnativa e nelle more della sua definizione, i ricorrenti avrebbero ricevuto la convocazione per la sottoscrizione del contratto di soggiorno e così conseguito il bene della vita cui gli stessi ambivano.
Anche in questo caso l’eccezione non può essere condivisa.
L’interesse fatto valere dai ricorrenti non è finalizzato a ottenere la sollecita definizione dei singoli procedimenti di emersione che li riguardano; ove così fosse infatti, il ricorso andrebbe dichiarato inammissibile quanto alle posizioni individuali, che dovrebbero trovare tutela attraverso il rimedio di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a. L’obiettivo del gravame è quello di conseguire una decisione del giudice amministrativo idonea a porre fine alla costante pratica di violazione del rispetto dei termini procedimentali previsti per la conclusione dei procedimenti di emersione dal lavoro irregolare ai sensi del citato art. 103 del D.L. n. 34/2020. Pertanto, è necessario e sufficiente ai fini di cui si discute che i ricorrenti persone fisiche fossero, al momento della proposizione del ricorso, negativamente incisi dalla sistematica violazione dei termini di conclusione della procedura, che denunciano attraverso la presente impugnativa e di cui chiedono la cessazione.

9. Il rimedio ex art. 1, comma 1, D.lgs. n. 198/2009

Con il ricorso in esame è azionato il rimedio introdotto dal D.Lgs. n. 198/2009 per l’efficienza delle amministrazioni, a mezzo del quale viene denunciato il sistematico ritardo nella definizione delle domande di emersione dal lavoro irregolare di cui alla suddetta sanatoria. L’articolo 1, comma 1 stabilisce che “al fine di ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio, i titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori possono agire in giudizio, con le modalità stabilite nel presente decreto, nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei concessionari di servizi pubblici, se derivi una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi, dalla violazione di termini (…)”.
Il comma 1 bis prosegue precisando che “nel giudizio di sussistenza della lesione di cui al comma 1 il giudice tiene conto delle risorse strumentali, finanziarie, e umane concretamente a disposizione delle parti intimate”.
Oggettivo e ormai acclarato, a seguito della sentenza 3578/2022, il ritardo dell’Amministrazione nell’esame delle istanze in questione.
Tale ritardo può certamente essere definito grave in relazione al lungo tempo trascorso non solo dalla data di presentazione della domanda di emersione, ma anche dalla stessa scadenza del termine finale, individuato in 180 giorni, previsto per la conclusione delle pratiche. Peraltro la particolare lunghezza del termine di definizione del procedimento di emersione è stata espressamente ritenuta dal Consiglio di Stato proporzionata alla notevole mole di lavoro determinata dal rilevante numero di istanze presentate e giustificata nella prospettiva di un punto di equilibrio tra le esigenze del sistema organizzativo e la necessaria previsione, nel quadro dell’attuazione del principio di buon andamento dell’amministrazione, di un termine finale entro cui il soggetto pubblico è tenuto a provvedere sulle domande del privato.
Il ritardo della Prefettura di Milano nella definizione dei provvedimenti di emersione presenta, inoltre, i caratteri della sistematicità, in quanto riferito non a singoli casi potenzialmente giustificabili e risolvibili nell’ottica di un intervento individualizzato, ma alla maggior parte delle domande azionate nella provincia di competenza.

10. Le azioni intraprese dalla Prefettura di Milano

Le misure rappresentate dalla Prefettura di Milano non elidono il dato dell’oggettiva inefficienza dell’amministrazione nell’attuazione, sul piano esecutivo e gestorio, della decisione legislativa di procedere ad una sanatoria straordinaria delle posizioni lavorative irregolari esistente sul territorio nazionale. Anzi, l’adozione delle iniziative richiamate conferma la consapevolezza della necessità di adottare misure organizzative anch’esse eccezionali e idonee a fronteggiare l’elevato numero di istanze, certamente prevedibile alla luce dei dati relativi alle analoghe regolarizzazioni effettuate in passato, dimostrando ulteriormente che le amministrazioni intimate non hanno operato in maniera efficiente.
Le decisioni di autorganizzazione interna adottate dalla stessa e dal Ministero dell’Interno per lo snellimento delle procedure e il superamento dello stallo spesso creato dall’attesa dei pareri di altre amministrazioni, costituiscono misure di efficienza adottabili sin ab origine o quantomeno dopo l’indicazione del termine di 180 giorni per la conclusione del procedimento e, comunque, certamente prima della presentazione dell’odierno ricorso, con cui sono state stigmatizzate le disfunzioni e le lungaggini della procedura di emersione. Il sistematico ritardo nella disamina e trattazione delle domande di emersione non è giustificabile in ragione dei vincoli di spesa gravanti sull’amministrazione e delle risorse finanziarie a disposizione.
Il Legislatore ha individuato la provvista finanziaria necessaria e la circostanza che tali somme siano stanziate a livello nazionale è irrilevante poiché l’efficienza della risposta amministrativa si apprezza anche sul piano del riparto e della razionalizzazione degli stanziamenti. La circostanza che domande di emersione si siano concentrate in misura rilevante nelle città maggiori non può valere a giustificare il sistematico ritardo con cui le stesse sono esaminate, trattandosi di fenomeno prevedibile – e dunque da considerare anche ai fini della dotazione di risorse – alla luce dell’esperienza delle pregresse sanatorie e della rilevanza della sede sul piano occupazionale.

Michele Di Salvo

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