Responsabilità enti e prescrizione: i chiarimenti della Cassazione

Ribaditi i principi ermeneutici in tema di responsabilità dell’ente in caso di prescrizione del reato presupposto ed in ambito di gruppi di imprese.

Allegati

A cura di Clara Di Liberto, Socia AODV231, e Andrea Milani, Vice Presidente AODV231
La Cassazione Penale (Sez. VI n° 14343/2025) ribadisce i principi ermeneutici in tema di responsabilità dell’ente in caso di prescrizione del reato presupposto ed in ambito di gruppi di imprese.

Corte di Cassazione -sez. VI pen.- sentenza n. 14343 del 2025

1744721562_cass-14343-25-anonimizzata.pdf 325 KB

Iscriviti alla newsletter per poter scaricare gli allegati

Grazie per esserti iscritto alla newsletter. Ora puoi scaricare il tuo contenuto.

Indice

1. La sentenza


Con la sentenza in commento (Cassazione penale sez. VI, 26/02/2025 n. 14343), la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulle conseguenze, in termini di responsabilità amministrativa della persona giuridica, della declaratoria di estinzione del reato presupposto per intervenuta prescrizione.
La pronuncia risulta interessante anche in riferimento ad un ulteriore profilo.
Nel caso di specie, infatti, l’illecito dipendente da reato oggetto di incolpazione sarebbe stato commesso da una società facente parte di un raggruppamento temporaneo di imprese. Tale circostanza ha dato agio alla Corte di pronunciarsi nuovamente sul tema della responsabilità 231 nei gruppi di imprese, ricordando principi ermeneutici ormai consolidati. Per approfondire il tema, consigliamo il volume: La responsabilità amministrativa degli enti – Aggiornato ai nuovi reati fiscali

FORMATO CARTACEO

La responsabilità amministrativa degli enti

Il modello di organizzazione e gestione (o “modello ex D.Lgs. n. 231/2001”) adottato da persona giuridica, società od associazione privi di personalità giuridica, è volto a prevenire la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.Le imprese, gli enti e tutti i soggetti interessati possono tutelarsi, in via preventiva e strutturata, rispetto a tali responsabilità ed alle conseguenti pesanti sanzioni, non potendo essere ritenuti responsabili qualora, prima della commissione di un reato da parte di un soggetto ad essi funzionalmente collegato, abbiano adottato ed efficacemente attuato Modelli di organizzazione e gestione idonei ad evitarlo.Questo volume offre, attraverso appositi strumenti operativi, una panoramica completa ed un profilo dettagliato con casi pratici, aggiornato con la più recente giurisprudenza. La necessità di implementare un Modello Organizzativo ex D.Lgs. n. 231/2001, per gli effetti positivi che discendono dalla sua concreta adozione, potrebbe trasformarsi in una reale opportunità per costruire un efficace sistema di corporate governance, improntato alla cultura della legalità.Damiano Marinelli, avvocato cassazionista, arbitro e docente universitario. È Presidente dell’Associazione Legali Italiani (www.associazionelegaliitaliani.it) e consigliere nazionale dell’Unione Nazionale Consumatori. Specializzato in diritto civile e commerciale, è autore di numerose pubblicazioni, nonché relatore in convegni e seminari.Piercarlo Felice, laurea in giurisprudenza. Iscritto all’albo degli avvocati, consulente specializzato in Compliance Antiriciclaggio, D.Lgs. n. 231/2001, Trasparenza e Privacy, svolge attività di relatore e docente in convegni, seminari e corsi dedicati ai professionisti ed al sistema bancario, finanziario ed assicurativo, oltre ad aver svolto docenze per la Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze (Scuola di Formazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze) sul tema “Antiusura ed Antiriciclaggio”. Presta tutela ed assistenza legale connessa a violazioni della normativa Antiriciclaggio e normativa ex D.Lgs. n. 231/2001. È tra i Fondatori, nonché Consigliere, dell’Associazione Italiana Responsabili Antiriciclaggio (AIRA). Collabora con l’Università di Pisa come docente per il master post laurea in “Auditing e Controllo Interno”. Ha ricoperto l’incarico di Presidente dell’Organismo di Vigilanza ex D.Lgs. n. 231/2001 presso la Banca dei Due Mari di Calabria Credito Cooperativo in A.S.Vincenzo Apa, laureato in economia e commercio e, successivamente, in economia aziendale nel 2012. Commercialista e Revisore Contabile, dal 1998 ha intrapreso il lavoro in banca, occupandosi prevalentemente di finanziamenti speciali alle imprese, di pianificazione e controllo di gestione, di organizzazione e, nel 2014/2015, ha svolto l’incarico di Membro dell’Organismo di Vigilanza 231 presso la BCC dei Due Mari. È attualmente dipendente presso la BCC Mediocrati. Ha svolto diversi incarichi di docenza in corsi di formazione sull’autoimprenditorialità, relatore di seminari e workshop rivolti al mondo delle imprese.Giovanni Caruso, iscritto presso l’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Cosenza e nel registro dei tirocinanti dei Revisori Legali dei Conti. Laureato in Scienze dell’Amministrazione, in possesso di un Master in Diritto del Lavoro e Sindacale e diverse attestazioni in ambito Fiscale e Tributario, Privacy e Sicurezza sul Lavoro. Svolge l’attività di consulente aziendale in materia di Organizzazione, Gestione e Controllo, Sicurezza sui luoghi di lavoro, Finanza Aziendale e Privacy. Ha svolto incarichi di relatore in seminari e workshop rivolti a Professionisti ed Imprese.

 

Damiano Marinelli, Vincenzo Apa, Giovanni Caruso, Piercarlo Felice | Maggioli Editore 2019

2. La vicenda processuale


Con la sentenza del 22 marzo 2024 (motivazione depositata il 19 luglio 2024), la Corte di Appello di Bari confermava la declaratoria, resa dal Giudice di primo grado, di estinzione del reato per intervenuta prescrizione nei confronti dell’imputato (per il reato di cui agli artt. 356, co. 1 e 2, c.p. in relazione all’art. 355, co. 2, n. 1, c.p. e 640 cpv n. 1 c.p. per la fornitura, in violazione al capitolato di appalto, di materiale inadeguato e di qualità inferiore a quanto pattuito per la realizzazione di un nuovo porto commerciale) e la pronuncia di condanna, emessa a carico della Società incolpata, per l’illecito amministrativo ex d.lgs. 231/2001 (delitto presupposto quello di cui all’art. 640 c.p.).

3. Il ricorso per cassazione


Ricorrevano per cassazione tanto la persona fisica imputata quanto l’ente incolpato.
Con il ricorso dell’imputato, veniva eccepita la mancata adozione di una pronuncia di proscioglimento nel merito ai sensi dell’art. 129 c.p.p. a fronte dell’evidente estraneità dell’imputato, rispetto ai fatti contestati, emergente dalla documentazione versata in atti.
Con il ricorso per cassazione proposto dall’Ente, veniva eccepito il vizio di motivazione consistito nella omessa valutazione della documentazione in atti, idonea a comprovare l’estraneità ai fatti da parte della Società ricorrente e, dunque, l’assenza dei presupposti soggettivi per configurare la responsabilità dell’ente.
In particolare, la Società rilevava come la stessa avesse, unitamente ad altre due società, costituito un’associazione temporanea di imprese (A.T.I.) al fine di partecipare alla gara d’appalto, per poi risultarne aggiudicataria. Rilevava ancora la persona giuridica ricorrente come le società coinvolte avessero costituito una società consortile cui affidare l’esecuzione delle opere oggetto dell’appalto. Ebbene, tale società consortile era composta da autonomi organi rappresentativi, cui erano estranei tanto la società incolpata quanto il suo direttore tecnico (persona fisica imputata del reato presupposto). Di conseguenza – sosteneva la società ricorrente – sarebbero mancati i presupposti soggettivi per ritenere integrata la responsabilità dell’ente.

Potrebbero interessarti anche:

4. Le statuizioni della Suprema Corte: la responsabilità dell’ente e la prescrizione


Il ricorso proposto dall’imputato veniva ritenuto infondato, non essendo possibile apprezzare, “con una mera attività di constatazione, l’evidenza della prova dell’innocenza dell’imputato idonea ad escludere l’esistenza del fatto, la sua commissione da parte di lui, ovvero la sua rilevanza penale”.
Diversamente, il Supremo Consesso riteneva fondato il ricorso proposto dalla Società. La Corte, in particolare, riteneva censurabile la motivazione resa dai Giudici d’Appello in ordine alla responsabilità dell’Ente sotto un duplice profilo.

4.1. La responsabilità dell’ente in caso di prescrizione del reato presupposto
I Giudici del gravame, a fronte delle censure formulate dall’Ente con i motivi di appello, si erano limitati ad osservare come non vi fossero “dubbi sulla sussistenza delle condotte integranti il reato di truffa aggravata”, ritenendo altresì che “la circostanza che il reato presupposto … sia prescritto non rileva sicché va confermata la sanzione pecuniaria irrogata dal primo Giudice”.
Tale motivazione, secondo il Supremo consesso, non era idonea a fondare la responsabilità della Società.
È vero che l’intervenuta prescrizione del reato non produce effetto nei confronti dell’Ente incolpato, in quanto l’art. 22 D.Lgs. 231/2001[1] prevede che, una volta esercitata l’azione penale, il termine di prescrizione dell’illecito amministrativo rimane sospeso fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento nei confronti della persona giuridica.
Tuttavia – ha ricordato il Supremo Consesso – la declaratoria di prescrizione del reato presupposto non esonera il Giudice dall’onere di accertare autonomamente la responsabilità amministrativa dell’Ente.
Se da un lato, l’art. 8 D.Lgs. 231/2001[2] non richiede, ai fini dell’affermazione della responsabilità della Società, il definitivo e completo accertamento della colpevolezza dell’imputato, ma una verifica incidentale circa la sussistenza del fatto di reato, dall’altro lato, è sempre richiesta la prova dei presupposti oggettivi e soggettivi previsti dal D.Lgs. 231/2001 per ritenere integrata la responsabilità dell’ente.
In altri termini, l’autonomia della responsabilità amministrativa rispetto alla responsabilità penale della persona fisica implica che, in caso di intervenuta prescrizione del reato presupposto, non sia necessario il definitivo e completo accertamento della colpevolezza della persona fisica. Nondimeno è sempre richiesta la prova positiva, oltre ogni ragionevole dubbio, della responsabilità della persona giuridica. Con ciò intendendosi una prova che rispetti i criteri di cui all’art. 533 c.p.p., norma applicabile al procedimento de societate in forza dell’estensione delle regole processual-penalistiche operata agli artt. 34 e 35 del D.Lgs. 231/2001.
Nella sentenza in esame la Corte di Cassazione, ribadendo siffatti principi ermeneutici[3], concludeva affermando che la mancata adozione di una pronuncia di proscioglimento nel merito, ai sensi dell’art. 129, co. 2, c.p.p. (necessitante, come noto, l’evidenza ictu oculi della non colpevolezza dell’imputato) non vale ex se a fondare la responsabilità dell’ente, dal momento che la mancanza di evidente insussistenza del reato (presupposto), non può equivalere alla presenza al di là del ragionevole dubbio della sua sussistenza.
 
4.2. La responsabilità amministrativa nei gruppi di imprese
La motivazione resa dai Giudici d’Appello, inoltre, veniva censurata dalla Suprema Corte sotto un diverso ed ulteriore profilo.
Nel caso oggetto della pronuncia l’Ente incolpato faceva parte di un raggruppamento temporaneo di imprese, nel cui ambito sarebbe stato commesso l’illecito dipendente da reato. A tale riguardo, il Giudici d’Appello – confermando le argomentazioni già espresse dal Giudice primae curae – si sono limitati ad affermare che “il reato di truffa aggravato è stato commesso nel precipuo interesse della predetta società visto che la finalità di chi ha commesso il reato di cui al capo I era quello di conseguire un ingiusto profitto patrimoniale”.
Ad avviso della Corte di Cassazione, tale motivazione non fa buon governo dei principi ermeneutici consolidati in materia di responsabilità degli enti nei gruppi di impresa.
Come noto, il D.Lgs. 231/2001 non prende in considerazione il fenomeno, pur giuridicamente ed economicamente rilevante, del gruppo societario, prevedendo esclusivamente un criterio di imputazione della responsabilità congegnato sul singolo ente e non sul gruppo (latu sensu inteso).
Nel silenzio del legislatore, a colmare i dubbi insorti in argomento[4], è intervenuta la Giurisprudenza di legittimità con principi che possono dirsi ormai consolidati[5]. In particolare, è stato affermato che, ai fini della comune imputazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato, qualora il reato presupposto sia stato commesso nell’interesse o a vantaggio di una società inserita in un contesto di gruppo o di una aggregazione di imprese, la responsabilità può estendersi alle società collegate solo laddove si provi lo specifico interesse o vantaggio delle varie società eventualmente incolpate; dunque non sussiste alcuna presunzione di coincidenza dell’interesse di gruppo con quello delle singole entità che ne fanno parte.
Inoltre, la Corte non mancava di ricordare come occorra altresì la necessaria qualificazione soggettiva in capo alla persona (o alle persone) fisica che ha commesso il reato, che deve (o devono) avere un legame funzionale con i singoli enti eventualmente incolpati.
Alla luce di tali (consolidati principi), il Supremo Consesso riteneva la motivazione offerta dalla Corte Barese non inidonea a motivare l’effettiva esistenza dei requisiti dell’interesse o del vantaggio in capo alla società ricorrente.

5. Riflessioni conclusive


La sentenza in commento, anzitutto, fornisce l’occasione per ricordare i principi ermeneutici che ormai possono darsi per acquisiti, in materia di gruppi di imprese, ricordando l’impossibilità di ricorrere a qualsivoglia automatismo possa celarsi dietro il concetto – spesso ambiguo e foriero di dubbi – di interesse “di gruppo” e ribadendo la necessità di un nesso soggettivo funzionale tra le persone fisiche e giuridiche coinvolte.
L’arresto della Suprema Corte offre poi l’opportunità di (tornare a) riflettere su uno dei temi più controversi della disciplina dettata dal D.Lgs. 231/2001, vale a dire il regime di prescrizione dell’illecito amministrativo.
Come noto, il regime della prescrizione delineato dal Decreto differisce sensibilmente dalle regole dettate per il processo penale a carico della persona fisica.
Le ragioni di tale differenziazione si spiegano, originariamente, nell’intentio legis della legge delega n. 300/2000 che – richiamandosi alla disciplina prevista in materia di sanzioni amministrative (art. 28 l. 689/1981) e alla disciplina della prescrizione civilistica (art. 2943 e ss.) – intendeva perseguire una esigenza di celerità, scongiurando il rischio di eccessive dilatazioni del procedimento a carico dell’ente.
Tuttavia, tale originaria intentio legis sembrerebbe frustrata dalla previsione contenuta nel quarto ed ultimo comma dell’art. 22 D.Lgs. 231/2001.
Tale comma prevede infatti che, a seguito di contestazione da parte del Pubblico Ministero dell’illecito amministrativo, l’effetto interruttivo sul termine di prescrizione sia permanente, con la conseguenza che la prescrizione rimane sospesa fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio.
La norma sembra dunque raggiungere l’obiettivo contrario a quello perseguito in origine, dal momento che, una volta contestato, l’illecito 231 diviene di fatto imprescrittibile.
Tale previsione è stata ritenuta “non delle più felici” già nella Relazione illustrativa al D.Lgs. 231/2001, nella quale si ammetteva che “il rinvio ad una regolamentazione di stampo civilistico rischia di dilatare eccessivamente il tempo di prescrizione dell’illecito amministrativo dell’ente, potendo persino favorire deprecabili prassi dilatorie, specie nei casi in cui si proceda separatamente nei confronti dell’ente” e si riteneva, tuttavia, “non possibile effettuare interventi di ortodossia, che rischierebbero fatalmente di esporsi alla censura di essere in contrasto con la volontà del legislatore delegante[6].
La manifesta peculiarità del regime introdotto dal D.Lgs. 231/2001 in materia di prescrizione dell’illecito amministrativo derivante da reato è stata al centro di numerose riflessioni critiche da parte della Dottrina[7], che ne ha evidenziato sospetti profili di compatibilità con i principi costituzionali.
In particolare, la disciplina sembrerebbe contrastare con: (i) i principi di uguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., per la notevole (e non giustificata) differenziazione di trattamento prevista tra l’autore materiale del reato presupposto e l’ente incolpato dell’illecito, nonostante l’estensione delle regole processual-penalistiche al processo de societate di cui all’art. 35 d.lgs. 231/2001. Infatti, mentre per la persona fisica è previsto che lo Stato rinunci alla propria pretesa punitiva nel caso in cui sia decorso un certo lasso di tempo, così non è per il processo de societate, che proseguirà – a prescindere dal tempo decorso – fino alla sentenza definitiva; (ii) l’art. 24 Cost., essendo il diritto di difesa dell’ente potenzialmente pregiudicato dalla mancata previsione della facoltà di rinuncia alla prescrizione da parte della persona giuridica; (iii) il principio di ragionevole durata del processo, sancito, a livello costituzionale, all’art. 111 Cost. e, a livello sovranazionale, all’art. 6 CEDU; (iv) l’art. 41 Cost., per gli evidenti limiti al libero esercizio dell’attività di impresa derivanti dalla imprescrittibilità – di fatto – dell’illecito amministrativo a carico della società. Evidenti, infatti, le conseguenze non solo sul patrimonio dell’ente (che si vedrebbe costretto ad appostare a bilancio una riserva pari almeno al valore della sanzione astrattamente comminabile) ma anche (e soprattutto) sull’immagine dello stesso e sui suoi rapporti commerciali con altre imprese.
Tali dubbi di compatibilità con i sopra ricordati principi costituzionali, finora, sono stati superati dalla Giurisprudenza[8], che ha ritenuto infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento all’art. 22 D.Lgs. 231/2001, principalmente in ragione della diversa natura dell’illecito amministrativo rispetto al reato e della funzione del complessivo sistema di responsabilità della persona giuridica, volto ad evitare che l’iniziativa economica privata, anziché favorire l’attività sociale, rappresenti l’occasione per agevolare la commissione di reati. Tali differenze giustificherebbero le deroghe al regime prescrizionale previsto per le persone fisiche.
Al di là di questo tema (in ordine al quale non può che auspicarsi un intervento legislativo riformistico), la pronuncia in esame ribadisce come, in presenza di una causa di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, la ritenuta impossibilità di una pronuncia di proscioglimento della persona fisica ai sensi dell’art. 129 c.p.p., non comporti automaticamente il ritenere provato il reato presupposto e – conseguentemente (e congiuntamente rispetto agli altri criteri di incolpazione dell’ente) – l’illecito amministrativo della persona giuridica: è sempre e comunque necessario un autonomo percorso motivazionale supportante l’esistenza, al di là del ragionevole dubbio, del reato presupposto stesso e degli altri elementi costitutivi della responsabilità amministrativa.

Vuoi ricevere aggiornamenti costanti?


Salva questa pagina nella tua Area riservata di Diritto.it e riceverai le notifiche per tutte le pubblicazioni in materia. Inoltre, con le nostre Newsletter riceverai settimanalmente tutte le novità normative e giurisprudenziali!
Iscriviti!

Iscriviti alla newsletter

Si è verificato un errore durante la tua richiesta.

Scegli quale newsletter vuoi ricevere

Autorizzo l’invio di comunicazioni a scopo commerciale e di marketing nei limiti indicati nell’informativa.

Presto il consenso all’uso dei miei dati per ricevere proposte in linea con i miei interessi.

Cliccando su “Iscriviti” dichiari di aver letto e accettato la privacy policy.

Iscriviti

Iscrizione completata

Grazie per esserti iscritto alla newsletter.

Seguici sui social


Note


[1] Così sancisce l’art. 22 D. Lgs. 231/2001:
1. Le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato.
2. Interrompono la prescrizione la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e la contestazione dell’illecito amministrativo a norma dell’articolo 59.
3. Per effetto della interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione.
4. Se l’interruzione è avvenuta mediante la contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio.”.
[2] Come noto, l’art. 8 D.Lgs. 231/2001 sancisce il principio della autonomia della responsabilità dell’ente. Come chiarito dallo stesso Legislatore nella Relazione allo schema di decreto legislativo recante la Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, “quello dell’ente [è] un titolo autonomo di responsabilità, anche se presuppone comunque la commissione di un reato”.
[3] In questo senso, si era espressa già Cass. Pen., Sez. IV, 23/05/2018, n. 38363, richiamata nella sentenza in commento.
[4] Si ricordano alcuni tra i molteplici quesiti, teorici e pratici, posti dalla prassi in relazione alla responsabilità 231 nei gruppi di Società: ci si è interrogati, ad esempio, sulla opportunità di predisporre un Modello di Organizzazione e Gestione di Gruppo, sulla necessità che ogni entità del Gruppo individui e nomini un proprio Organismo di Vigilanza, sui rapporti tra OoddVvv delle singole società del Gruppo, sulla responsabilità della Società capogruppo in caso di illecito 231 commesso nell’interesse e a vantaggio della Controllata, sugli obblighi della holding in relazione all’applicazione, da parte delle controllate, della disciplina prevista dal D.Lgs. 231/2001, ecc.  
[5] In particolare, la sentenza in commento si richiama a Cass. Pen., Sez. II, n. 52316 del 27/09/2016.
[6] Relazione ministeriale al D. Lgs n. 231/2001, paragrafo 10 “La prescrizione”.
[7] Per una disamina delle osservazioni critiche provenienti dalla Dottrina, cfr. La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, Commentario diretto da M. Levis e A. Perini, Zanichelli, 2018, pp. 424 e ss.
[8] Cfr., ad esempio, Cass. Pen., Sez. IV, 4/5/2018, n. 31641.

Andrea Milani

Clara Di Liberto

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento