Responsabilità dell’ente: le maglie del modello 231 secondo il Tribunale di Milano

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La II Sezione Penale del Tribunale di Milano, con la lunghissima e complessa sentenza del 22 aprile 2024, II sezione penale, ha affrontato tematiche di strettissima attualità nell’ambito delle false comunicazioni sociali e i relativi criteri di attribuzione della responsabilità alle soggettività convolte nella vicenda esaminata. Potrebbe interessarti anche: La responsabilità amministrativa degli enti

Indice

1. La responsabilità del collegio sindacale


La II Sezione Penale ha premesso che ai fini della decisione fosse dirimente richiamare le considerazioni già formulate con riferimento all’elemento soggettivo in capo agli amministratori privi di delega, facendo esplicito riferimento a un precedente di legittimità (Cassazione, n. 42568/2018), secondo il quale l’affermazione della responsabilità penale necessita la prova dell’effettiva conoscenza del falso o, quantomeno, di “segnali di allarme” dai quali poterne desumere con alto livello di confidenza la sussistenza. Più in dettaglio, nell’occasione richiamata, era stato chiarito che, ai fini della configurabilità del concorso dell’amministratore privo di delega per omesso impedimento dell’evento, fosse necessario che, nel quadro di una specifica contestualizzazione delle distrazioni in rapporto alle concrete modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione, l’emersione della prova, da un lato, dell’effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di “segnali di allarme” inequivocabili dai quali desumere l’accettazione del rischio, secondo i criteri propri del dolo eventuale, del verificarsi dell’evento illecito e, dall’altro, della volontà, nella forma del dolo indiretto, di non attivarsi per scongiurare detto evento.
La giurisprudenza afferma, al riguardo, la responsabilità, a titolo concorsuale, del componente del collegio sindacale “qualora sussistano puntuali elementi sintomatici, dotati del necessario spessore indiziario, in forza dei quali l’omissione del potere di controllo (…) e, pertanto, l’inadempimento dei poteri-doveri di vigilanza il cui esercizio sarebbe valso ad impedire le condotte degli amministratori esorbiti dalla dimensione meramente colposa per assurgere al rango di elemento dimostrativo di dolosa partecipazione, sia pure nella forma del dolo eventuale, per consapevole accettazione del rischio che l’omesso controllo avrebbe potuto consentire la commissione di illiceità da parte degli amministratori” (Cass. n. 19470/2016). In senso analogo (Cass. Pen., Sez. V, n. 14045/2016) “Il concorso dei componenti del collegio sindacale nei reati commessi dall’amministratore della società può realizzarsi anche attraverso un comportamento omissivo del controllo sindacale, poiché tale controllo non può e non deve esaurirsi in una mera verifica formale o in un riscontro contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori, ma deve ricomprendere il riscontro tra la realtà e la sua rappresentazione”, ovvero estendersi al contenuto sociale, a tutela non solo dell’interesse dei soci ma anche di quello dei creditori sociali in virtù del potere-dovere dei sindaci di chiedere agli amministratori notizie sull’andamento della società e delle sue operazioni gestorie, pur non potendo investire in forma diretta le scelte imprenditoriali”.
Nella specie posta sotto la lente del Tribunale meneghino, dall’analisi dei verbali richiamati nella medesima pronuncia, si evince che il Collegio non ha mai riscontrato segnali di allarme che potessero anche solo far sospettare l’esistenza delle frodi e delle manipolazioni contabili oggetto dell’impianto accusatorio. Più precisamente, nel corso del periodo considerato, il Collegio sindacale si è attenuto agli obblighi sullo stesso gravanti secondo il dettato normativo dell’art. 2403 c.c. in considerazione del fatto che nel corso delle riunioni in sede di consiglio di amministrazione, il collegio non ha mai avuto notizia, né il sospetto del compimento di operazioni imprudenti, azzardate o in conflitto di interessi; durante gli incontri di cui sono stati analizzati i relativi verbali, il collegio ha ricevuto informazioni periodiche sull’andamento della gestione, dalla quale non sono emersi segnali di particolare criticità e, anche laddove sono state evidenziate delle aree nelle quali erano stati individuati degli indici di sofferenza, quale quella del recupero dei crediti nello small e medium business, il collegio sindacale si è sempre attivato per ricevere costanti aggiornamenti sul punto, ricevendo, da parte degli amministratori, conferme in senso migliorativo di situazioni siffatte.
Inoltre, innanzi alle legittime richieste e alle osservazioni sulle lacune informative, per il Tribunale meneghino il collegio non ha mai ricevuto riposte puntuali e documentate, con la conseguenza che non solo il collegio sindacale non ha mai avuto percezione di significativi segnali d’allarme che giustificassero il suo intervento, bensì tale condotta, posta in essere dai vertici aziendali, ha rappresentato un evidente ostacolo all’attività di vigilanza del Collegio.
Pertanto, sempre secondo lo stesso Tribunale, l’assenza di significativi “segnali d’allarme”, insieme al riscontro di condotte fraudolente realizzata da alcuni vertici dell’azienda, consente al Collegio di ritenere che i sindaci debbano essere assolti dai restanti capi di imputazione perché il fatto non costituisce reato, per carenza dell’elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie incriminatrice.
La fattispecie di reato contestata presuppone il dolo, ovvero la prova da parte di tutti i professionisti che hanno fatto parte del team di revisione, della consapevolezza e volontà di emettere un giudizio falso ex art. 14 del decreto al fine di far conseguire agli organi amministrativi e di controllo della società sottoposta a revisione un ingiusto profitto.
Dall’analisi delle deposizioni testimoniali e delle produzioni documentali, il Collegio ha ritenuto, da un lato, che la condotta contestata sussista sul piano oggettivo, essendo emerso che il socio responsabile dell’attività di revisione ha falsamente attestato la corrispondenza del bilancio alle scritture contabili, rilasciando un giudizio positivo, privo di rilievi, su un bilancio inidoneo a rappresentare correttamente la situazione patrimoniale ed economica della società.
Al contempo difetta l’elemento soggettivo del reato, essendo stato il revisore fuorviato da false o carenti informazioni provenienti dai vertici della società, essendo, infatti, emerse: la complessità degli schemi di frode e la loro insidiosità, la loro scoperta a seguito di ammissioni fatte all’interno della società medesima e del conseguente avvio di una complessa attività di investigazione; l’alterazione dei dati che venivano forniti al revisore, diversi rispetto a quelli contenuti nei report interni; l’impossibilità per il revisore di intercettare le frodi malgrado le procedure introdotte.
Il Tribunale conclude che, rivestendo la fattispecie contestata un reato doloso ed essendo stata accertata la mancanza dell’elemento soggettivo, l’imputato deve essere assolto perché il fatto non costituisce reato, con conseguente venir meno di ogni responsabilità in capo alla società di revisione. Potrebbe interessarti anche: La responsabilità amministrativa degli enti

FORMATO CARTACEO

La responsabilità amministrativa degli enti

Il modello di organizzazione e gestione (o “modello ex D.Lgs. n. 231/2001”) adottato da persona giuridica, società od associazione privi di personalità giuridica, è volto a prevenire la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.Le imprese, gli enti e tutti i soggetti interessati possono tutelarsi, in via preventiva e strutturata, rispetto a tali responsabilità ed alle conseguenti pesanti sanzioni, non potendo essere ritenuti responsabili qualora, prima della commissione di un reato da parte di un soggetto ad essi funzionalmente collegato, abbiano adottato ed efficacemente attuato Modelli di organizzazione e gestione idonei ad evitarlo.Questo volume offre, attraverso appositi strumenti operativi, una panoramica completa ed un profilo dettagliato con casi pratici, aggiornato con la più recente giurisprudenza. La necessità di implementare un Modello Organizzativo ex D.Lgs. n. 231/2001, per gli effetti positivi che discendono dalla sua concreta adozione, potrebbe trasformarsi in una reale opportunità per costruire un efficace sistema di corporate governance, improntato alla cultura della legalità.Damiano Marinelli, avvocato cassazionista, arbitro e docente universitario. È Presidente dell’Associazione Legali Italiani (www.associazionelegaliitaliani.it) e consigliere nazionale dell’Unione Nazionale Consumatori. Specializzato in diritto civile e commerciale, è autore di numerose pubblicazioni, nonché relatore in convegni e seminari.Piercarlo Felice, laurea in giurisprudenza. Iscritto all’albo degli avvocati, consulente specializzato in Compliance Antiriciclaggio, D.Lgs. n. 231/2001, Trasparenza e Privacy, svolge attività di relatore e docente in convegni, seminari e corsi dedicati ai professionisti ed al sistema bancario, finanziario ed assicurativo, oltre ad aver svolto docenze per la Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze (Scuola di Formazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze) sul tema “Antiusura ed Antiriciclaggio”. Presta tutela ed assistenza legale connessa a violazioni della normativa Antiriciclaggio e normativa ex D.Lgs. n. 231/2001. È tra i Fondatori, nonché Consigliere, dell’Associazione Italiana Responsabili Antiriciclaggio (AIRA). Collabora con l’Università di Pisa come docente per il master post laurea in “Auditing e Controllo Interno”. Ha ricoperto l’incarico di Presidente dell’Organismo di Vigilanza ex D.Lgs. n. 231/2001 presso la Banca dei Due Mari di Calabria Credito Cooperativo in A.S.Vincenzo Apa, laureato in economia e commercio e, successivamente, in economia aziendale nel 2012. Commercialista e Revisore Contabile, dal 1998 ha intrapreso il lavoro in banca, occupandosi prevalentemente di finanziamenti speciali alle imprese, di pianificazione e controllo di gestione, di organizzazione e, nel 2014/2015, ha svolto l’incarico di Membro dell’Organismo di Vigilanza 231 presso la BCC dei Due Mari. È attualmente dipendente presso la BCC Mediocrati. Ha svolto diversi incarichi di docenza in corsi di formazione sull’autoimprenditorialità, relatore di seminari e workshop rivolti al mondo delle imprese.Giovanni Caruso, iscritto presso l’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Cosenza e nel registro dei tirocinanti dei Revisori Legali dei Conti. Laureato in Scienze dell’Amministrazione, in possesso di un Master in Diritto del Lavoro e Sindacale e diverse attestazioni in ambito Fiscale e Tributario, Privacy e Sicurezza sul Lavoro. Svolge l’attività di consulente aziendale in materia di Organizzazione, Gestione e Controllo, Sicurezza sui luoghi di lavoro, Finanza Aziendale e Privacy. Ha svolto incarichi di relatore in seminari e workshop rivolti a Professionisti ed Imprese.

Damiano Marinelli, Vincenzo Apa, Giovanni Caruso, Piercarlo Felice | Maggioli Editore 2019

2. La responsabilità degli enti


L’ultimo capo di imputazione ha visto coinvolta la società richiamando gli artt. 5 e 25 del d.lgs. n. 231/2001 in quanto, secondo l’impianto accusatorio, dal 2011 al 2016 aveva adottato un modello di organizzazione e gestione e controllo carente nella misura in cui lo stesso era privo di un’analisi del rischio-reato, nonché sprovvisto dei reali presidi di controllo interno idonei a prevenire la commissione dei delitti di false comunicazioni sociali di cui agli altri capi di imputazione.
Viene sottolineato che il d.lgs. n. 231/2001 ha assunto un particolare significato nel nostro ordinamento giuridico, non solo perché ha determinato il superamento del dogma societas delinquere non potest, bensì pure perché costituisce il terreno di elezione di quella categoria dogmatica già nota come colpa di organizzazione, che, nel contesto attenzionato, rimanda al fenomeno di una responsabilità collettiva dell’ente, intesa come un aggregato di individui che, proprio in quanto “organizzati”, esprimono un’autonoma “mente collettiva” e una “metacompetenza di gruppo” in grado di fronteggiare situazioni complesse, indomabili dal singolo e da una ‘pluralità disorganizzata’ di individui.
Le decisioni organizzative non possono essere descritte come un momento unico e ben individuabile, rappresentando, invece, un atto complesso, articolato all’ interno di un processo, che comprende:

  • l’individuazione del problema e la definizione degli obiettivi;
  • la diagnosi del problema alla luce delle condizioni ambientali (esterne) e d’ impresa (interne);
  • lo sviluppo di diverse possibili alternative di soluzione;
  • la valutazione di alternative;
  • la selezione dell’alternativa migliore;
  • l’attuazione della decisione e la verifica dei risultati.

L’opzione suggerita dal d.lgs. n. 231/2001 è di tipo funzionale, tale per cui chi è collocato al vertice della gerarchia è tenuto a garantire, anzitutto, che “il sistema funzioni”, vale a dire a creare le condizioni che assicurino l’osservanza dei modelli predisposti. I ruoli rivestiti dai singoli individui all’ interno della gerarchia aziendale andranno a definire l’oggetto della garanzia; per questa via la frammentazione delle posizioni di garanzia assume una dimensione qualitativa, il che significa che chi è collocato in posizione apicale assicurerà, prima di tutto, l’adozione di un modello organizzativo che consenta un’adeguata protezione ai beni giuridici tutelati dalle norme penali e, scendendo ai piani inferiori, la garanzia si concretizzerà in rapporto al tipo di funzione in concreto esercitata (es. di direzione, di controllo, di consulenza, e via dicendo). La distribuzione di una pluralità di garanti integra una condizione necessaria, ma non sufficiente, all’adempimento dell’obbligo di organizzazione: ci si limita, infatti, a collocare le pedine all’interno della società senza, però, individuare le regole di cui gli stessi garanti dovrebbero assicurare l’osservanza.
Viene, dunque, in rilievo la necessità di predisporre, all’ interno della societas, le risorse per forgiare i modelli di prevenzione del rischio-reato (compliance programs statunitensi), che costituiscono l’autentico supporto materiale del dovere organizzativo.

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3. Il Modello 231 “efficacemente” strutturato


Quindi il Tribunale esplicita ciò che dovrebbe rappresentare il contenuto di un Modello 231 efficacemente strutturato. Con riferimento alla colpa di organizzazione, il contenuto più significativo del Modello 231 è rappresentato dai protocolli di comportamento che integrano il secondo fondamentale contenuto del dovere di organizzazione che grava sugli enti, poiché hanno come obiettivo strategico quello della “cautela”, quindi l’apprestamento di misure atte a ridurre continuativamente e ragionevolmente il rischio-reato. Lo strumento finalizzato a conseguire tale obiettivo è la predisposizione di un processo, di un sistema operativo che deve essere caratterizzato da “cautele” puntuali, concrete e orientate sul rischio da contenere. Alla determinatezza, si deve affiancare anche l’efficace attuazione nel senso che lo strumento di prevenzione non deve risolversi in un mero supporto cartaceo che risulterebbe scarsamente efficace sul piano operativo.
Una volta definita l’orditura dei protocolli il loro contenuto richiede:

  • l’indicazione di un responsabile del processo a rischio-reato, la cui funzione cardine risulta quella di garantire che il sistema operativo sia adeguato ed efficace rispetto alla finalità che intende perseguire;
  • la regolamentazione del processo, ovvero l’individuazione dei soggetti che hanno il presidio di una specifica funzione, e ciò in osservanza del principio di segregazione delle funzioni;
  • la specificità e la dinamicità del protocollo, laddove il primo requisito evoca la sua aderenza sostanziale rispetto al rischio da contenere, mentre il secondo presupposto afferisce alla capacità del modello di adeguarsi ai mutamenti organizzativi che avvengono nella compagine sociale;
  • la garanzia di completezza dei flussi informativi, che rivestono un ruolo centrale sul versante dell’effettività della cautela e un efficace monitoraggio e controllo di linea, ovvero quelli esercitati dal personale e dal management esecutivo.

Nella fattispecie esaminata il consulente del PM non ha mosso rilievi né al contenuto del Codice di comportamento, né all’apparato sanzionatorio e disciplinare, considerandoli ambedue completi e adeguati. La principale carenza che ha ravvisato nel Modello consiste nella circostanza che esso conteneva solamente la parte generale, ove erano compiutamente descritti il quadro normativo, compresi cd. reati-presupposto, i principi ispiratori del Modello, le sue finalità ed i destinatari, i compiti, i requisiti e le modalità di funzionamento dell’Organismo di Vigilanza. Nella medesima parte generale erano richiamati il Codice di comportamento adottato dalla società, la struttura organizzativa e le procedure aziendali, come pure il sistema delle deleghe e procure e, infine, le caratteristiche della comunicazione, formazione, e informativa sul Modello e sul suo apparato sanzionatorio.
Il Tribunale non ha quindi ritenuto che nel Modello 231 del 2011 fossero del tutto assenti i protocolli di prevenzione del rischio-reato: infatti, se, da un lato, è vero che il Modello del 2011 non contempla in modo formale la parte speciale, dall’altro lato deve è stato evidenziato che la società ha adottato delle policies di gruppo, e più precisamente protocolli che contengono specifiche procedure di prevenzione del rischio-reato e che confluiranno nella parte speciale del Modello del 2016 ritenuto dal consulente della Procura assolutamente idoneo.
Per il consulente in parola si tratta di politiche aventi carattere generale preordinate a dare delle linee guida comportamentali in settori delicati nell’attività della società, vietando tassativamente la corruzione e la concussione e indicando, da un lato, le procedure da seguire, e, dall’altro, le modalità tramite cui i dipendenti potevano e dovevano denunciare eventuali situazioni dubbie. Trasversalmente strumentali alla corruzione e concussione sono da ritenersi anche le donazioni e le sponsorizzazioni, e inoltre le procedure volte a regolamentare le politiche di omaggi o ospitalità, oltre alle politiche di sviluppo del mercato, indicandosi modalità di comportamento auspicate, divieti ed eventuali canali di denuncia.
Dall’analisi degli allegati alla perizia del PM, si è constatato che significativi protocolli di prevenzione del rischio-reato, finalizzati a operare in alcuni settori nevralgici della politica aziendale, ovvero i settori interessati dalla circolazione di denaro, erano già stati elaborati e approvati nel 2013 e il relativo contenuto era stato puntualmente richiamato nel Modello del 2016.

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Avv. Biarella Laura

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