Processi organizzativi modello 231: necessità di riforma

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Le novità introdotte dalla riforma sul codice degli appalti, la riforma Cartabia sul sistema giustizia e le nuove opportunità dettate dal Piano Nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) impongono la ridefinizione, in chiave più favorevole al principio di prevenzione, dei processi organizzativi del modello 231.
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Indice

1. La gestione del modello D.Lgs. 231/2001


Le leggi vanno piano mentre le imprese corrono.
In questa frase è racchiusa l’esigenza di modernità e innovazione nella norma che più di tante altre dovrebbe rappresentare lo strumento più importante per evitare la confusione societaria, facendo diventare sempre più gli imprenditori “garanti in casa propria”, giusto per coniare un termine caro anche alla giurisprudenza che ormai a più riprese chiede un’inversione di tendenza.
Seppur non obbligatoria in realtà il Piano di controllo e gestione aziendale proposto dal D.Lgs. 231/2001, lo è nella concretezza dei fatti però per assurgere alla sua reale funzione di abbassare il rischio di contaminazione sotto la soglia di “accettabilità” bisogna urgentemente riformarlo. Mai come in questo caso iniziano a pesare 22 anni di silenzio normativo davanti alle riforme di altri settori strettamente connessi al mondo impresa.

2. Le criticità applicative nel 2023. La visione statica della prevenzione.


La disciplina della responsabilità amministrativa delle imprese, correlata al decreto legislativo 231/2001 ha sicuramente dato un nuovo impulso alla moderna concezione della prevenzione, associando il concetto di “cultura del controllo interno” a quella di “cultura della legalità” e lo ha fatto attraverso l’aspettativa di un esonero da responsabilità per efficienza organizzativa. Tale disciplina ha dispiegato i suoi effetti stimolando l’adozione di modelli organizzativi sempre più integrati con il più ampio assetto organizzativo e di gestione dei rischi dell’impresa.
Tuttavia la disciplina specifica, gli strumenti di premialità, il regime sanzionatorio e la non obbligatorietà hanno invece mostrato molti limiti del sistema 231, che bisogna necessariamente superare per restituire quella centralità alla funzione della prevenzione ad essa sottesa”.
Viene facile evidenziare come le cause principali per cui il meccanismo di gestione e attuazione connesso al modello organizzativo non ha funzionato sono molteplici:

  • 1) i modelli 231 redatti dalle imprese hanno acquisito via via un approccio sempre più generico e formalistico, con imprenditori che hanno adottato il modello mediante il sistema “copia e incolla” solo per garantirsi l’impunità o sperare di garantirsi l’impunità aziendale e personale e ciò facilmente evincibile, ad esempio, dalla estensione del catalogo dei reati, non sempre strettamente legata al tipo di azienda che ha adottato il modello, con ciò rendendo il documento non più attuabile, non rivolto alle concrete finalità e privo degli elementi essenziali di un’attività preventiva, idonea a superare il vaglio dell’autorità giudiziaria e strettamente legata alla realtà aziendale specifica;
  • 2) l’assenza della cultura della formazione e della gestione dei flussi informativi, l’assenza di figure specifiche in azienda preposte alla cura, aggiornamento e concreta attuazione del piano di gestione, poiché non specificatamente normate, hanno portato inevitabilmente alla insignificanza del ruolo del MOG e dunque l’impresa ì, in modo artefatto, crede di essere apposto ma in realtà non lo è e fino a quanto non accade l’episodio infiltrativo, criminoso o comunque delittuoso, non se ne accorgerà mai e poi sarà tardi poiché la giurisprudenza del C.d.S. sul punto è molto rigoroso poiché esige una pedanteria nel sistema dei controlli che purtroppo non c’è.
  • 3) L’impreparazione delle Prefetture verso l’innovativo sistema di contradditorio nei casi di “agevolazione occasionale”;
  • 4) La valutazione ancora troppo rigida del giudice che pochissime volte si è soffermata sullo specifico vizio nell’organizzazione, piuttosto ha reso una valutazione generale del modello che ha condotto ad affermare la responsabilità dell’impresa per il solo fatto che il reato è stato commesso mal interpretando lo spirito della norma;
  • 5) la mancata valorizzazione dei presidi di gestione e controllo del rischio esistenti nelle imprese di grandi dimensioni (Enterprise Risk Management, procedure e controlli societari, sistemi di compliance integrata)”

Bisogna dunque uscire in fretta da questa confusione del concetto di prevenzione.

3. Interdittiva antimafia e Mod 231. Prevenire è meglio di curare evitando i provvedimenti interdittivi a cascata.


Il D. Lgs.vo n. 159/2011 al libro II Nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia” disciplina la documentazione antimafia. Tale documentazione è costituita, come enuncia l’art. 84 (Definizioni), da due tipologie di documenti: a) la comunicazione antimafia; b) l’informazione antimafia.
Per comunicazione antimafia si intende l’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, sospensione o divieto conseguenti all’applicazione di misure di prevenzione in ambito di licenze, autorizzazioni e concessioni pubbliche. Diversamente, nell’ambito dell’informazione antimafia, rientrano non solo gli elementi di cui alla comunicazione antimafia ma anche l’attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o delle imprese interessate.
Ma la chiave di volta del sistema è la disciplina del novellato disposto di cui all’art.. 49 d.l. 152/2021, che ha introdotto nel tessuto del codice antimafia l’art. 94-bis, rubricato «misure amministrative di prevenzione collaborativa applicabili in caso di agevolazione occasionale», misura tipica del sistema di prevenzione che consentirebbe ala Prefettura, all’esito di un periodo di screening e verifica adottare provvedimenti liberatori e re-iscrizioni nella White list evitando anche la nomina del controllore giudiziario.
Ma il problema è dietro l’angolo.
Le Prefetture sono ancora ancorate a logiche incriminatrici, seguendo schemi di controllo obsoleti e macchinosi dove le informative dei presidi di PS inviano note riportanti, anche in questo caso con il sistema del “copia e incolla” fatti vecchi e poco aggiornati condizionando il dirigente prefettizio di turno che deve decidere se “liberare” o meno l’impresa costringendo dunque a rivolgersi al Giudice Amministrativo.
Esiste, quindi, la norma ma viene mal applicata poiché il D. Lgs.vo n. 321/2001 non è adeguato al nuovo sistema di prevenzione e la regola del sospetto continua a prevalere.
Ma vi è di più!
Perché al fine di rendere concretamente efficace la misura interdittiva, gli accertatori prefettizi spesso estendono la propria valutazione anche ai partners commerciali dell’azienda rispetto alla quale l’indagine ha avuto origine e dunque a fronte di tale estensione soggettiva dell’ambito di valutazione della vicenda attenzionata, ne deriva un’applicazione della medesima misura interdittiva antimafia anche nei confronti del soggetto esaminato conseguentemente a quello da cui la disamina ha avuto inizio. Laddove infatti poi anche il giudice dovesse ravvisare la presenza di tentativi di infiltrazione mafiosa anche nel soggetto giuridico analizzato in conseguenza di quello da cui la verifica è iniziata, lo stesso potrà prevedere una misura interdittiva anche nei confronti di quest’ultimo. Tale modus operandi ha creato il fenomeno di interdittiva antimafia a cascata quasi a voler sottolineare, anche nel nome dell’istituto in questione, il percorso logico seguito con il quale, partendo dalla verifica nei confronti di un ente, arriva a prevedere una misura interdittiva nei confronti di un altro soggetto giuridico in conseguenza del nesso intercorrente con la prima società.
Anche sotto questo profilo una novella del D. Lgs.vo n. 231/2001 è auspicabile.

4. Riflessioni conclusive


Le leggi vanno piano mentre le imprese corrono. È così!
Il Modello 231 ha la sua ragione di esistere e merita di essere valorizzato e implementato come istituto di autocontrollo interno, pedante, costante, meticoloso e trasparente per combattere la leggerezza di tanti imprenditori che pensano all’euro facile a discapito della sicurezza, della qualità e della legalità.
Ma per farlo ci vuole una nuova rivoluzione culturale che deve partire dal legislatore e poi deve essere trasmessa all’imprenditore per seguire il tema della prevenzione come volano del tema dello sviluppo.
Il legislatore non può fare riforme a comparti stagno come la riforma della giustizia legata semplicemente alla necessità di non perdere i soldi del PNRR senza pensare a tutto ciò che ne consegue negli altri istituti e aspetti della vita sociale del Paese.
Le riforme strutturali impongono aggiornamenti a 360 gradi e el caso del MOG 231 deve impedire che questo piano non sia un corpo estraneo nell’azienda ma ne diventi il motore centrale e pulsante. 
La riforma del D. Lgs.vo n. 231/2001 deve passare necessariamente da questi punti cardini:
–        Passare da un modello generalista a regole cautelari puntuali per specifiche aree di rischio, sulla base delle prassi migliori in uso nelle imprese;
–        Obbligare le imprese a formare tutto il personale al momento dell’assunzione sulle specificità del sistema;
–        Creare un sistema normativo di raccordo tra le norme che disciplinano il trattamenti dei dati sensibili, le norme sull’antiriciclaggio con il modello 231;
–        Introduzione nei piani di studio superiori e universitari di specifici corsi;
–        Affidare a professionisti competenti, formati, ben retribuiti e con specifica abilitazione la realizzazione dei MOG;
–        Prevedere la colpa di organizzazione come elemento costitutivo dell’illecito;
–        Dettare tempi perentori per la Prefettura di adozione dei provvedimenti pro o contro le imprese;
–        Equiparare al modello organizzativo 231 i presidi organizzativi, i sistemi di controllo interno e gestione dei rischi d’impresa
–        Rafforzare indipendenza e professionalità dell’organismo di vigilanza;
–        Prevedere un sistema di premialità fiscale per chi adotta con successo il MOG 231;
–        Valorizzare le buone condotte all’interno del processo, al fine di mitigare gli effetti della sanzione e impedire l’applicazione delle misure cautelari, a fronte di una collaborazione trasparente con l’autorità giudiziaria e di riorganizzazioni virtuose.
Così facendo nel medio termine si ridurrà la sacca dei reati, migliorerà la qualità del lavoro ma soprattutto avremo imprese sempre più sane e produttive.

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Avv. Frank Mario Santacroce

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