Società sportive: modello organizzazione e gestione 231

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Analizzare le specificità del modello di organizzazione, gestione e controllo nelle società sportive con l’obiettivo di comprendere se il modello disciplinato dalla normativa sportiva ed in particolare dal nuovo Codice di Giustizia Sportiva e dallo Statuto della F.I.G.C. corrisponda ancora al modello disciplinato dal D. Lgs. n. 231/01.
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Indice

1. Il modello di organizzazione e gestione “sportivo” ed il modello ex D. Lgs.vo n. 231/01.


Le società che operano nel mondo del calcio rientrano nella definizione di “enti”, di cui all’art. 1 D. Lgs.vo n. 231/2001 e correttamente possono quindi incorrere in una responsabilità da reato, di cui allo stesso Decreto.
Il decreto 231, in tal senso prevede che, qualora vengano commessi nell’ambito di una società uno o più reati tra quelli richiamati nel MOG231, questa possa essere condannata, all’esito di un procedimento penale, a sanzioni pecuniarie ed interdittive, sempre che l’illecito sia commesso nell’interesse o a vantaggio della società e che questa non abbia adottato i necessari strumenti preventivi che lo stesso decreto prescrive.
Gli strumenti individuati dal Decreto sono fondamentalmente due: 1) la predisposizione di un adeguato ed effettivo modello di organizzazione, gestione e controllo, una sorta di “regolamento aziendale” nell’ambito del quale vengono individuate le possibili aree ed attività della società nel cui ambito potrebbero essere commessi i reati richiamati dal decreto medesimo e vengono esplicitati principi e procedure che gli addetti, censiti, formati e autorizzati, della società dovranno rispettare, tutto al fine di prevenire una responsabilità per la società; 2) l’istituzione all’interno della compagine sociale di un Organismo di Vigilanza, che ha il compito di vigilare sulla corretta attuazione del modello di organizzazione, gestione e controllo e di suggerire eventuali modifiche dello stesso, alla luce della sopravvenienza di nuove esigenze preventive.
Ecco dunque trasferita anche al mondo del calcio l’esigenza di operare nel settore con un modello organizzativo di prevenzione che seppur resta facoltativo nel richiamo normativo, la FIGC ha catechizzato con apposite circolari tutte le società sportive a dotarsi del modello 231, stabilendo anche termini ben precisi e mettendo a disposizione anche un modello tipo da seguire molto scarno e poco attendibile che non fa capire la reale importanza del documento. Il tutto oltre a richiamare l’attenzione verso le società neo promosse dalle serie inferiori a quelle superiori (la nuova dead line è prevista per il 30.11.2023) di adeguarsi alle nuove esigenze e realtà dei campionati e delle categorie, alla luce anche di impegni nazionali e internazionali delle società.
E’ evidente che il tutto è legato al rispetto delle norme sulla iscrizione ai campionati ma anche al rispetto delle NOIF sul tesseramento, sugli svincoli dei giovani calciatori nonché delle condizioni legali, economico-finanziarie, infrastrutturali e organizzative per l’ottenimento delle licenze per partecipare ai campionati.

2. Distanza normativa tra le previsioni contenute nel Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C.  e nel D. Lgs.vo n. 231/01 e i modelli adottati dalle società sportive rispetto alle società operanti in altri settori.


I reati per i quali una società, in particolare quelle calcistiche, potrebbe andare incontro ad una responsabilità ai sensi del D. Lgs.vo n. 231/2001 sono molteplici ed eterogenei. Tra di essi vi sono i reati contro la Pubblica Amministrazione, come la corruzione, e quelli societari, come il “falso in bilancio” e la corruzione tra privati. Anche i reati di lesioni o omicidio colposo, come conseguenza della violazione delle norme in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro di cui al D. Lgs.vo n. 81/2008, e quelli di riciclaggio e di impiego di lavoratori extracomunitari il cui soggiorno sia irregolare, fenomeno questo non affatto secondario nel calcio moderno dove già dai settori giovanili si ricercano talenti che vengono da oltre oceano o dal continente africano perché garantiscono piccoli esborsi iniziale e grandi plusvalenze dopo.
La distanza normativa tra le previsioni contenute nel Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C.  e nel D. Lgs.vo n. 231/01 ha reso necessario, al fine di incentivare l’adozione dei modelli nelle società calcistiche, una revisione del Codice avvenuta nel 2019 ma ciò non è bastato. Ciò anche e soprattutto alla luce della giurisprudenza sportiva che sul tema via via nel corso degli anni si è sempre espressa nel senso dell’impossibilità di estendere, nella vigenza di tali norme, le disposizioni di maggior favore contenute nel decreto ai casi di violazioni sportive, attraverso un’operazione analogica.
In particolare, si è sempre discusso della possibilità, nel caso in cui la società calcistica avesse effettivamente adottato ed implementato il modello organizzativo prima della commissione dell’illecito sportivo, di applicare analogicamente la disciplina contenuta nel D. Lgs.vo n. 231/01, in luogo della disciplina più restrittiva prevista dall’art. 13 del Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C.
La giurisprudenza sportiva, tuttavia, non ha mai aderito in tal senso rilevando che: “l’art. 7, comma 2, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 non può fungere da scriminante nella fattispecie, in quanto la sua applicazione andrebbe a delineare, in senso negativo, la responsabilità oggettiva del club secondo parametri che, oltre ad essere del tutto estranei rispetto a quelli dell’ordinamento sportivo, ne stravolgerebbero la ratio” (Lodo arbitrale dd. 10 aprile 2013, nel procedimento di arbitrato prot. 3120 del 19.11.2013 – 687, promosso dal Novara Calcio S.p.A. contro la F.I.G.C.)
Tale disciplina, anche e soprattutto sulla scorta di sollecitazioni degli esperti del settore, è stata di recente aggiornata ad opera del Codice di Giustizia Sportiva approvato dalla Giunta Nazionale del CONI con deliberazione dell’11 giugno 2019, n. 258, che ha innovato in maniera sostanziale l’assetto relativo all’efficacia dell’adozione del modello nei procedimenti sportivi.
Nello specifico, l’art. 7 ha introdotto una circostanza attenuante o una scriminante applicabili alla società la quale abbia efficacemente adottato il modello di organizzazione, gestione e controllo, così come definito dal comma quinto dell’art. 7 dello Statuto della F.I.G.C.
Secondo tale norma, il modello di organizzazione, gestione e controllo deve prevedere, tenuto conto della dimensione della società e del livello agonistico in cui si colloca: «a) misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività sportiva nel rispetto della legge e dell’ordinamento sportivo, nonché a rilevare tempestivamente situazioni di rischio; b) l’adozione di un codice etico, di specifiche procedure per le fasi decisionali sia di tipo amministrativo che di tipo tecnico-sportivo, nonché di adeguati meccanismi di controllo; c) l’adozione di un incisivo sistema disciplinare interno idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello; d) la nomina di un organismo di garanzia, composto di persone di massima indipendenza e professionalità e dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo, incaricato di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento».
Allo stesso modo confrontando i modelli di organizzazione e gestione delle principali società calcistiche professionistiche italiane, risulta evidente che il modello di organizzazione adottato è strutturalmente molto diverso dal modello disciplinato dal D. Lgs.vo n. 231/01. Si può primariamente prendere come riferimento il MOG della Lega Nazionale Professionisti Serie A, approvato dall’Assemblea della Lega Nazionale Professionisti di Serie A in data 20 aprile 2012 e aggiornato di recente. Nella descrizione dello scopo e dei principi di base, si chiarisce che esso è orientato a determinare, da un lato le «aree a rischio reato» e dall’altro le “aree di rischio […] illecito F.I.G.C.” Per raggiungere tale obiettivo, la metodologia utilizzata è stata l’identificazione, al contempo, dell’esistenza di attività a rischio di commissione “1) di uno dei reati che presuppongono la responsabilità dell’ente o 2) di un illecito F.I.G.C. e dei presidi e controlli ad essi riferiti.
Analogamente, tra le società sportive, spiccano le più blasonate (AC Milan. FC Internazionale e FC Juventus) che alla luce delle già citate modifiche del CGS della F.I.G.C., ha aggiornato il MOG inserendo tra le modifiche più rilevanti, per quanto d’interesse ai fini del presente contributo, la previsione che il modello venisse adeguato alle più recenti prescrizioni dell’ordinamento sportivo adoperandosi ad individuare nella c.d. fase di Risk Assessment le Aree a Rischio Reato relative agli illeciti sportivi, […] al fine di dettare a tutti i destinatari i principi e le norme di comportamento che devono essere seguite nelle aree che potrebbero essere potenzialmente impattate dalla commissione degli illeciti sportivi previsti dal CGS”.
Sono poi stati inseriti i singoli illeciti previsti dal CGS ed, in particolare, sono stati ritenuti rilevanti rispetto agli altri: a) doveri generali di comportamento e riservatezza, b) dichiarazioni lesive, c) divieto di scommesse e obbligo di denuncia, d) prevenzione di fatti violenti, e) fatti violenti dei sostenitori, f) comportamenti discriminatori, g) illecito sportivo e obbligo di denunzia, h) violazioni in materia gestionale ed economica, i) doveri e divieti in materia di tesseramenti, trasferimento, cessioni e controlli societari.


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3. Il modello 231 e una nuova calciopoli


È noto che a spingere il nostro calcio ad adeguarsi a questa normativa del 2001 non è stata la vigenza della stessa o la minaccia delle sanzioni che prevede, bensì quanto accaduto in seguito a “Calciopoli”. Con la L. n. 39/2019 è stata inserita nel D. Lgs.vo n. 231/01 una nuova categoria di reati all’art. 25 quaterdecies: quelli di frode in competizioni sportive o di scommessa e giochi d’azzardo a mezzo di apparecchi vietati, previsti dagli artt. 1 e 4 della L. 13 dicembre 1989 n. 401. È da considerarsi frode in competizioni sportive, o più semplicemente frode sportiva, la condotta di chi offra o prometta denaro o altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti ad una competizione sportiva organizzata dalle federazioni riconosciute dal CONI o da altri enti sportivi riconosciuti dallo Stato e dalle associazioni ad essi aderenti, al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione.
Adesso, a distanza di molti anni, il legislatore ha finalmente compreso (ma non del tutto) che questa fattispecie penalistica deve essere oggetto di prevenzione nel calcio ed ha “ordinato” che tutte le squadre professionistiche (dalla serie C alla serie A) provvedano a munirsi di un Modello 231 in grado di scongiurarne la commissione.
Le fattispecie sopra descritte sono state quindi inserite dal legislatore nella categoria dei reati presupposto per la responsabilità di cui all’art. D. Lgs. 231/2001, prevedendole all’art. 25 quaterdecies.
Viene così stabilito che, in caso di commissione dei reati sopra richiamati per interesse o vantaggio di un ente, come una società calcistica, quest’ultimo possa ricevere una sanzione pecuniaria fino a quasi 1 milione di Euro (774.500,00) ed una sanzione interdittiva non inferiore a 12 mesi.
È noto, soprattutto in ragione di quanto accaduto ai tempi di “Calciopoli”, che la giustizia penale in ambito sportivo vive in parallelo con quella sportiva, notoriamente più veloce e con regole processuali meno garantiste e più portate ad un accertamento sommario dei fatti.
L’aspetto più difficile da comprendere della giustizia sportiva nel confronto con il sistema penale è ovviamente il riconoscimento di una responsabilità oggettiva in capo alla società per la condotta illecita tenuta da un proprio esponente. Questo “dogma” della giustizia sportiva risulta totalmente in contrasto con il principio di attribuzione di responsabilità in ambito penale, ove una condanna può conseguire solo al riconoscimento di rimproverabilità del soggetto sottoposto a processo.
Ecco perché i Giudici sportivi tendono maggiormente a punire le società sportive con retrocessioni, penalità di punti in classifica piuttosto che con sanzioni economiche perché la retrocessione o lo svantaggio di punti nella competizione è il più grande deterrente per chi compete per vincere.

4. Riflessioni conclusive


La vigenza del Codice Penale, che stabilisce la minaccia di una pena anche detentiva, non ha portato e non porterà mai alla totale mancanza di reati neppure nel mondo del calcio.
E ciò perché serve una regolamentazione del sistema di giustizia sportiva, affinché questa divenga maggiormente vicina e coerente con l’ordinamento penale.
Ecco allora forse perché la riforma operata con l’introduzione dell’art. 25 quaterdecies D. Lgs.vo n. 231/2001 è stata condivisa e migliora il sistema anche perché accompagnata da alcune ulteriori novità previste all’interno del Codice di Giustizia Sportiva entrato in vigore nel 2019 ma da allora nulla è più cambiato restando indietro rispetto alle nuove esigenze che il mondo del calcio reclama.  
L’art. 7 del Codice ha disposto: “Al fine di escludere o attenuare la responsabilità della società di cui all’art. 6, così come anche prevista e richiamata nel Codice, il giudice valuta la adozione, l’idoneità, l’efficacia e l’effettivo funzionamento del modello di organizzazione, gestione e controllo di cui all’art. 7, comma 5 dello Statuto” ma è evidente che ormai ciò non basta e bisogna riscrivere le norme etiche, le norme comportamentali e soprattutto adeguarle alla sempre maggiore internazionalizzazione delle società, dei loro asset e metodi di proponimento dell’offerta commerciale perché una società di calcio ormai non è più solo l’evento partita ma tutta una serie di situazione che creano circolazione di moneta e persone.
Quindi come comportarsi? Attivando un modello nuovo, sinergico e moderno che abbia un approccio diverso rispetto alla commissione di illeciti sportivi con una organizzazione e gestione che presenti nuove e più calzanti peculiarità:
A titolo esemplificativo:
– misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività sportiva nel rispetto della legge e dell’ordinamento sportivo, nonché a rilevare tempestivamente situazioni di rischio;
– nell’adozione di un codice etico prevedere specifiche procedure per le fasi decisionali sia di tipo amministrativo che di tipo tecnico-sportivo;
– l’adozione di un incisivo sistema disciplinare interno idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello;
– attivare una intensa attività formativa del personale e dei dirigenti sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento perché ancora oggi il problema è la totale ignoranza dei dirigenti delle società sportive sulle norme penali e civilistiche poiché le scelte delle figure apicali viene ancora effettuata tenendo conto, a torto o ragione, sulle capacità sportive di trovare calciatori di qualità piuttosto di manager. Su questo il modello inglese o nord americano, in Italia, è ancora lontano;
Ovviamente deve essere ammodernato anche il Codice di Giustizia Sportiva che può ancor di più spingere le società a dotarsi di adeguati strumenti preventivi (non solo il MOG), per dimostrare che la società abbia “fatto tutto il possibile”, attraverso gli strumenti della compliance, per prevenire la commissione dell’illecito.
Ecco allora che, in caso di una nuova “Calciopoli”, soprattutto alla luce del fatto che la maggior parte del nostro calcio ha già adempiuto alle disposizioni del D. Lgs. 231/2001 e chi non lo ha fatto provvederà, potrebbero esserci esiti del tutto diversi.

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