Reato universale e principio di territorialità nel diritto penale

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Da qualche tempo è stata forgiata dal lessico politico l’espressione “reato universale“.
Dovrebbe trattarsi, ma qui occorre intelligenza esegetica al limite del paragnostico, di un’ipotesi particolare di giurisdizione universale. Prescindendo perciò dal valore attribuito a tale formula giuridica dal gusto tendenzialmente esotico, lo scopo dell’articolo è di far luce sui criteri normativi che reggono il rapporto tra applicabilità della legge penale e spazialità.

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Indice

1. Il principio di territorialità


Al fine di definire i limiti operativi della legge penale in funzione dello spazio, il legislatore si premura sin da subito di stabilire cosa debba intendersi per “territorio dello Stato“. All’art. 4 c.p., secondo comma, afferma infatti che “(…) Agli effetti della legge penale, è territorio dello Stato il territorio della Repubblica e ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello Stato. Le navi e gli aeromobili italiani sono considerati come territorio dello Stato (…)”. È bene precisare che l’accezione giuridica di territorio è comprensiva di mare costiero, sottosuolo e spazio aereo, in base a quanto sancito dai trattati internazionali stipulati dall’Italia.
Tale enunciato codicistico è funzionale al successivo art. 6 c.p., il quale usa la definizione territoriale data per affermare che:
Chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana.
Il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, quando l’azione o l’omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l’evento che è la conseguenza dell’azione od omissione“.
La norma rappresenta una classica declinazione dello ius puniendi: è interesse dello Stato sanzionare l’illecito penale commesso sul proprio territorio, indipendentemente dal vincolo giuridico sussistente tra il soggetto e il territorio statuale. Stante questa previsione legale, lo Stato si riserva la possibilità di punire cittadini, stranieri e apolidi secondo la legge da esso stesso creata. L’articolo in esame costituisce l’asse portante del cosiddetto principio di territorialità del diritto penale.
È opportuno a questo proposito non tralasciare l’indicazione penalistica descritta al secondo comma della disposizione in esame, la quale assume una rilevanza significativa in relazione al concorso di persone nel reato. Si distinguano per brevità due situazioni:
a)      l’azione/omissione è iniziata all’estero e proseguita in Italia (o l’inverso);
b)      l’azione/omissione si è svolta interamente all’estero e sul territorio italiano è stato perfezionato un qualsiasi atto necessario al prodursi dell’evento penalmente rilevante (o l’inverso).
L’ordinamento italiano ammette perciò la propria potestà penale anche qualora un soggetto abbia preso parte ad azioni/omissioni in territorio estero, purché rilevanti per la legge italiana.


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2. Deroghe al principio di territorialità


Per certi fatti di peculiare qualità, lo Stato italiano pretende di esercitare un intervento punitivo al di fuori del territorio italiano.
Gli artt. 7-10 c.p. contemplano numerose fattispecie delittuose commesse all’estero che l’Italia intende comunque perseguire, tra cui: delitti contro la personalità dello Stato, delitti di contraffazione e uso del sigillo di Stato, delitti di falsità in monete aventi corso legale, delitti contro pubblici ufficiali al servizio dello Stato, ecc (art. 7 c.p.); delitto politico (art. 8 c.p.); delitti comuni commessi dal cittadino italiano in territorio extra statale quando il reato è punito con l’ergastolo o con la pena non inferiore nel minimo a tre anni (art. 9 c.p.); delitti comuni compiuti dallo straniero in territorio estero ai danni dello Stato italiano o di un cittadino italiano, se puniti con l’ergastolo o con pena non inferiore nel minimo a un anno (art. 10 c.p.).
In queste due ultime ipotesi, per applicarsi la legge italiana, il soggetto deve trovarsi sul territorio italiano.

3. Conclusioni


Il principio di territorialità, elaborato nell’epoca di massima adesione all’idealtipo dello Stato-nazione, trova oggi, in una fase storica governata dalla globalizzazione dei rapporti interindividuali, molteplici difficoltà attuative. Si rifletta su fattispecie comuni quali la corruzione transfrontaliera, il terrorismo internazionale, i reati ambientali, i reati finanziari, i reati informatici.
Anche i tipici illeciti sanzionati dal diritto internazionale, dai crimini di guerra ai crimini contro l’umanità, non possono essere puniti con efficacia dall’azione del singolo Stato.
La condizione necessaria per una definizione normativa, e non retorica, di “reato universale” è allora la costruzione di fattispecie di reato interstatali ovvero, in senso lato, universali.
Dunque, prima di creare una nuova figura di reato a contenuto internazionale, sarebbe auspicabile predisporre un piano di politica del diritto utile a confezionare tale fattispecie per via pattizia.
Non seguire questo metodo comporta una pluralità di problemi.
In primo luogo viene tradita la volontà del legislatore, poiché il comportamento che si intende contrastare non può essere adeguatamente sanzionato.
In secondo luogo viene aumentata la cacofonia normativa che, in accordo con le stesse parole del Ministro della Giustizia Nordio lettore di Tacito, connotano la “corruptissima re publica“.
Infine perché il principio “aut dedere aut punire“, di derivazione groziana, non è considerato una fonte del diritto internazionale consuetudinario. Perciò, in assenza di una specifica convenzione internazionale, lo Stato estero potrebbe non concedere all’Italia l’estradizione del soggetto.

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Francesco Gandolfi

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