Obbligatorietà della legge penale: gli attriti con i reati culturali

Redazione 29/10/18
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Il principio di obbligatorietà della legge penale trova il suo fondamento generale nell’art. 54, comma 1 della Costituzione, secondo cui “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi”, e nell’art. 73, comma 3 della Costituzione, che prevede l’entrata in vigore delle leggi nel quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le stesse stabiliscano un termine diverso. Ugualmente l’art. 10, comma 1, delle Disposizioni sulla legge in generale.

Si è stabilito che l’obbligatorietà delle fonti di diritto ha in sè la capacità di vincolare i soggetti dell’ordinamento giuridico, del quale le norme da esse prodotte entrano a fare parte.

Le norme giuridiche non sono volte a descrivere l’essere, ma piuttosto un dover essere: ciò che deve essere fatto (comandi) o non deve essere fatto (divieti). E’ nel rapporto tra la norma e la sua violazione che si inserisce il principio di obbligatorietà: la legge è obbligatoria per i suoi destinatari, dal momento che esiste una risposta da parte dell’ordinamento alla sua violazione.

Il principio di obbligatorietà, pur essendo in una qualche misura connesso a quello di territorialità, se ne differenzia sotto un fondamentale profilo, guardando al soggetto che commette il reato e non al luogo in cui il reato è commesso.
Ne discende che il principio di obbligatorietà di per sé postula che la legge penale non presenti limiti soggettivi di efficacia, dipendenti dalla nazionalità dell’autore del reato o da qualsiasi altra circostanza.

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Reati culturali

A seguito dell’immigrazione di massa, è importante chiarire l’esistente parificazione dello straniero al cittadino. Ciò a dire che lo che lo straniero non possa far valere l’eventuale diverso regime giuridico del fatto incriminato dalla legge italiana nell’ordinamento dello Stato cui appartiene. La questione si pone piuttosto di frequente per i reati che maggiormente risentono delle tradizioni storiche, culturali e religiose di una società o di un popolo. La giurisprudenza di legittimità nega qualsiasi rilevanza diretta a tale fenomeno (cfr. Cass. sent. nn. 22700/09, 48272/09 e 14960/15).

Nella specie, i giudici di legittimità chiariscono che l’inserimento dello straniero nel tessuto nazionale implica infatti l’inderogabile osservanza da parte di questi dei principi fondamentali del nostro ordinamento, tra i quali, certamente, è ricompreso anche il rispetto delle norme penali.

Pertanto, è stato escluso che lo straniero, imputato di un delitto contro la persona (nella specie: maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, violazione degli obblighi di assistenza familiare), possa invocare, anche solo in via putativa ex art 59 co 4 c.p., la scriminante dell’esercizio di un diritto correlata a facoltà asseritamente riconosciute dall’ordinamento dello Stato di provenienza, qualora tale diritto debba ritenersi in linea di principio escluso dall’ordinamento interno, in una prospettiva imperniata – in linea con l’art. 3 Cost. – sulla centralità della persona umana, quale principio in grado di armonizzare le condotte individuali rispondenti a culture diverse, e di consentire quindi l’instaurazione di una società civile multietnica.

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