Quando ricorre la desistenza dal delitto di cui all’art. 56, terzo comma, c.p.?

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La Suprema Corte, con una recente sentenza, ha sancito quali sono gli elementi affinché sussista la desistenza dal delitto prevista dall’art. 56 c.p.

Per approfondimenti si consiglia: La riforma Cartabia del sistema sanzionatorio penale

Indice

Corte di Cassazione – Sez. II Pen. – Sent. n. 33537 del 1 agosto 2023

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1. La questione

La Corte di appello di Torino, in seguito ad un annullamento con rinvio disposto dalla Corte di Cassazione, rideterminava la pena inflitta all’imputato dal G.i.p. del Tribunale di Alessandria che, a sua volta, lo aveva condannato per il reato di tentativo di peculato.
Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’accusato che, tra i motivi ivi enunciati, deduceva la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta l’illogicità della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento della causa di non punibilità della desistenza volontaria di cui all’art. 56, terzo comma, cod. pen..

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2. La soluzione adottata dalla Cassazione

La Suprema Corte riteneva il motivo suesposto infondato.
In particolare, gli Ermellini – dopo avere fatto presente che la Corte di Cassazione, con la sentenza di annullamento, aveva rimesso al giudice del rinvio il compito di verificare l’eventuale configurabilità della causa di non punibilità della desistenza, ai sensi dell’art. 56, comma terzo, cod. pen., considerando che, secondo un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, perché sia integrata la desistenza dal delitto di cui all’art. 56, terzo comma, cod. pen., la decisione di interrompere l’azione criminosa deve essere il frutto di una scelta volontaria dell’agente, non riconducibile ad una causa indipendente dalla sua volontà o necessitata da fattori esterni (Sez. 3, n. 17158 del 28/11/2018) dato che la volontarietà non deve essere intesa come spontaneità, per cui la scelta di non proseguire nell’azione criminosa deve essere non necessitata, ma operata in una situazione di libertà interiore, indipendente da circostanze esterne che rendono troppo rischioso il proseguimento dell’azione criminosa (Sez. 4, n. 12240 del 13/02/2018; Sez. 2, n. 7036 del 29/01/2014; Sez. 2, n. 18385 del 05/04/2013) o, comunque, estremamente improbabile il successo della stessa (Sez. 3, n. 41096 del 30/01/2018; Sez. 3, n. 51420 del 18/09/2014; Sez. 4, n. 32145 del 24/06/2012) – ritenevano come la Corte territoriale si fosse conformata a siffatti principi di diritto e, in tal senso, aveva valorizzato le dichiarazioni dello stesso imputato, nella parte in cui aveva riferito di avere ritirato l’annuncio di vendita perché non gli erano pervenute offerte di acquisto, rilevandosi al contempo come, allo stesso modo, sempre la Corte di merito si fosse parimenti attenuta al principio di diritto pure richiamato nella sentenza rescindente secondo cui -per aversi desistenza- la mancata prosecuzione dell’iniziativa delittuosa non deve essere provocata da circostanze esterne, nel cui alveo può essere ricondotto anche l’estrema improbabilità del successo dell’azione criminosa ovvero -come nel caso di specie- il suo insuccesso.

3. Conclusioni

Fermo restando che, come è noto, l’art. 56, co. 3, cod. pen. dispone che, se “il colpevole volontariamente desiste dall’azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per sé un reato diverso”, la decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito come deve essere intesa siffatta desistenza.
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che, perché sia integrata la desistenza dal delitto di cui all’art. 56, terzo comma, cod. pen., la decisione di interrompere l’azione criminosa deve essere il frutto di una scelta volontaria dell’agente, non riconducibile ad una causa indipendente dalla sua volontà o necessitata da fattori esterni dato che la volontarietà non deve essere intesa come spontaneità, per cui la scelta di non proseguire nell’azione criminosa deve essere non necessitata, ma operata in una situazione di libertà interiore, indipendente da circostanze esterne che rendono troppo rischioso il proseguimento dell’azione criminosa o, comunque, estremamente improbabile il successo della stessa.
Tale provvedimento, quindi, ben può essere preso nella dovuta considerazione al fine di appurare se sia applicabile, o meno, questa norma codicistica.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere che positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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