Prescrizione del diritto al rimborso dell’imposta di successione

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     Indice

  1. Il diritto 
  2. L’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione

1. Il diritto 

Il diritto al rimborso che trova fondamento nell’art. 40 D. Lgs 31 ottobre 1990 n. 346  – Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni – è soggetto soltanto al termine decennale di prescrizione ordinaria, con decorrenza dalla formazione del giudicato tributario. Un contribuente ha presentato ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che, nella contesa riguardante il diniego di rimborso dell’imposta di successione versata in qualità di coerede della defunta, ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto dalla medesima nei confronti dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con compensazione delle spese di giustizia. La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia ha disposto assoluzione dalla domanda, sulla base che il provvedimento emanato dal Garante del Contribuente sulla richiesta di restituzione dell’imposta di successione – a suo dire, oggetto dell’impugnazione proposta col ricorso originario – non fosse un atto impositivo né un atto giudiziario. L’Agenzia delle Entrate si era costituita mediante controricorso.


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2. L’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, Sezione Tributaria Civile, con la sentenza del 24 agosto 2022 n. 25212, ha rammentato che, in materia di imposta di successione, l’art. 40 c. 3 D. Lgs. 346/90 statuisce che le somme dovute per effetto delle decisioni di cui al comma 2 del medesimo articolo, – ovverosia “…L’imposta complementare, se il contribuente propone ricorso, deve essere pagata per un terzo entro il termine di cui all’art. 37, per due terzi dopo la decisione della commissione tributaria di primo grado e per il resto dopo la decisione della commissione tributaria di secondo grado, in ogni caso al netto delle somme già pagate; l’intendente di finanza, se ricorrono gravi motivi, può sospendere la riscossione fino alla decisione della commissione tributaria di primo grado…”) – devono essere saldate sulla base di quanto disposto dall’art. 37 D.Lgs. 346/90 rubricato – Pagamento dell’imposta –. Se l’imposta liquidata per effetto della decisione della commissione tributaria è inferiore a quella già pagata, la differenza deve essere rimborsata d’ufficio al contribuente entro novanta giorni dalla notificazione della decisione.

>>>Leggi la sentenza<<<

L’imposta indebitamente pagata o risultante pagata in più deve essere rimborsata, unitamente agli interessi, alle sopratasse e alle pene pecuniarie eventualmente pagate ai sensi dell’ art. 42 D.Lgs. 346/90 rubricato – Rimborso dell’imposta -. Quest’ultima norma, testualmente, dispone che: 1. Deve essere rimborsata, unitamente agli interessi, alle soprattasse e pene pecuniarie eventualmente pagati, l’imposta: a) pagata indebitamente o risultante pagata in più a norma dell’art. 40, commi da 1 a 3; b) relativa a beni e diritti riconosciuti appartenenti a terzi, con sentenza passata in giudicato, per causa anteriore all’apertura della successione a seguito di evizione o rivendicazione ovvero di nullità, annullamento, risoluzione, rescissione o revocazione dell’atto di acquisto; c) pagata in conseguenza di dichiarazione giudiziale di assenza o di morte presunta, quando lo scomparso fa ritorno o ne è  accertata l’esistenza; d) pagata da enti ai quali è stata negata l’autorizzazione ad accettare l’eredità o il legato, ovvero da eredi e legatari se l’ente ottiene tardivamente il riconoscimento legale; e) risultante pagata o pagata in più a seguito di sopravvenuto mutamento della devoluzione ereditaria; f) risultante pagata in più a seguito di accertamento, successivamente alla liquidazione, dell’esistenza di passività o della spettanza di riduzioni e detrazioni; g) risultante pagata in più a seguito di accertamento della parentela naturale successivamente alla liquidazione; h) risultante pagata in più a seguito della chiusura del fallimento del defunto dichiarato dopo la presentazione della dichiarazione della successione.

  1. Il rimborso, salvo il disposto dell’art. 40, commi 1 e 3, deve essere richiesto a pena di decadenza entro tre anni dal giorno del pagamento o, se posteriore, da quello in cui è sorto il diritto alla restituzione. La domanda deve essere presentata all’ufficio competente, che deve rilasciarne ricevuta, ovvero essere spedita mediante plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento.
  2. Dalla data di presentazione della domanda di rimborso decorrono gli interessi di mora di cui all’articolo 37, comma 2.
  3. Non si fa luogo al rimborso per gli importi, comprensivi di interessi e soprattasse, non superiori a lire ventimila; gli importi superiori sono rimborsati per l’intero ammontare.”

Pertanto, come espressamente enucleato dalla norma il rimborso deve essere richiesto a pena di decadenza entro tre anni dal giorno del pagamento o, se posteriore, da quello in cui è sorto il diritto alla restituzione.

Dal combinato disposto delle norme testé richiamate si ricava che l’art. 42 c. 2 D.Lgs. 346/90, pur disponendo che il rimborso deve essere richiesto a pena di decadenza entro tre anni dal giorno del pagamento o, se posteriore, da quello in cui è sorto il diritto alla restituzione, fa salvo il disposto dell’art. 40 c. 1 e  3 D.Lgs. 346/90, in relazione all’eccedenza corrisposta a titolo di imposta principale, per la quale è previsto il rimborso d’ufficio entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della decisione, ed all’eccedenza corrisposta a titolo di imposta complementare, per la quale è previsto il rimborso d’ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della decisione, esonerando in via eccezionale tali ipotesi dalla sanzione della decadenza triennale. Invero non si può ritenere che l’esigibilità del rimborso sia subordinata alla preventiva notificazione della decisione che accerta l’indebita riscossione dell’imposta, trattandosi di un adempimento destinato soltanto a segnare il dies a quo per la decorrenza del termine di restituzione nell’interesse dell’amministrazione finanziaria, ma non anche ad imporre un onere a carico del contribuente per azionare la pretesa creditoria. In materia di esecuzione dei rimborsi dovuti per effetto di sentenze nei giudizi tributari, l’Agenzia delle Entrate, con la Circ. AE 11 ottobre 2010 n. 49/E, ha statuito che, affinché si possa dare esecuzione ai provvedimenti giudiziari e, nello specifico, per procedere ai rimborsi di cui all’art. 68 c. 2 D.Lgs. 546/92, non occorre attendere la notifica della sentenza favorevole al contribuente né alcuna specifica richiesta o sollecito. Pertanto, gli organismi preposti alla gestione del contenzioso possono e debbono ristorare le somme erogate in eccesso subito dopo la comunicazione del dispositivo della sentenza ad  opera della Segreteria della Commissione tributaria, purché lo stesso comprenda tutti gli elementi necessari alla determinazione dell’importo da ristorare.

Sicché, il diritto al rimborso che sia fondato sul dettato normativo di cui art. 40 c. 3 D.Lgs. 346/90 sull’accertamento giudiziario dell’indebita riscossione di imposta è soggetto soltanto al termine decennale di prescrizione ordinaria, con decorrenza dalla formazione del giudicato tributario.

Ne consegue che, dopo la decisione della Corte, l’istanza proposta dal contribuente per chiedere il rimborso era tempestiva, essendo decorso molto meno di un decennio dalla irrevocabilità della decisione.

Nella specie, quindi, la sentenza impugnata non si è livellata a tali principi, avendo erroneamente ritenuto – a monte – che il provvedimento del Garante dei diritti del contribuente non è un atto impositivo – e come tale oggetto d’impugnazione giurisdizionale – e non è un atto giudiziario – e come tale oggetto di gravame/ricorso – .

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