Parti prematuri, la Consulta conferisce maggiore elasticità ai congedi obbligatori

Redazione 10/05/11
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La Corte costituzionale, con sentenza del 4 aprile 2011 n. 116, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 16, lettera c), del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nella parte in cui non consente, nell’ipotesi di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata, che la madre lavoratrice possa fruire, a sua richiesta e compatibilmente con le sue condizioni di salute attestate da documentazione medica, del congedo obbligatorio che le spetta, o di parte di esso, a far tempo dalla data d’ingresso del bambino nella casa familiare.

Va premesso che, secondo l’orientamento già espresso a più riprese dalla Consulta (sentt. 270/1999, 332/1988) la ratio sottesa al congedo obbligatorio, oggi disposto dall’art. 16 D.Lgs. 151/2001, è quella di tutelare la salute della donna nel periodo immediatamente susseguente al parto, per consentirle di recuperare le energie necessarie a riprendere il lavoro. La norma, tuttavia, considera e protegge anche il rapporto che in tale periodo si instaura tra madre e figlio, e ciò non soltanto per quanto attiene ai bisogni più propriamente biologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale e affettivo collegate allo sviluppo della personalità del bambino.

Dalla lettura del citato art. 16, il principio secondo cui il congedo obbligatorio post partum decorre comunque dalla data di questo è rimasto immutato, anche in relazione ai casi, come la fattispecie all’esame della Corte, nei quali il parto non è soltanto precoce rispetto alla data prevista, ma avviene con notevole anticipo (cosiddetto parto prematuro), tanto da richiedere un immediato ricovero del neonato presso una struttura ospedaliera pubblica o privata, dove deve restare per periodi anche molto lunghi. In siffatte ipotesi – come la Corte ha già avuto occasione di rilevare (sentenza n. 270 del 1999) – la madre, una volta dimessa e pur in congedo obbligatorio, non può svolgere alcuna attività per assistere il figlio ricoverato. Nel frattempo, tuttavia, il periodo di astensione obbligatoria decorre, obbligando la madre a riprendere l’attività lavorativa quando il figlio deve essere assistito a casa. In simili casi, com’è evidente, il fine di proteggere il rapporto, che dovrebbe instaurarsi tra madre e figlio nel periodo immediatamente successivo alla nascita, rimane di fatto eluso.

 

Di Lilla Laperuta

Redazione

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