Pagamento debito tributario può essere condotta susseguente al reato

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In materia di omesso versamento di IVA, il pagamento del debito tributario può rappresentare una condotta susseguente al reato per il riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p.
(Riferimenti normativi: Cod. pen., art. 131-bis; D.lgs, 10/03/2000, n. 74, art. 10-ter)
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Corte di Cassazione -sez. III pen.- sentenza n. 28031 del 24 maggio 2023

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Indice

1. La questione


La Corte di Appello di Messina, in parziale riforma di una sentenza emessa dal Tribunale della medesima città, riconosceva agli imputati il beneficio della non menzione, revocando la disposta confisca, confermando nel resto l’appellata sentenza che li aveva riconosciuti colpevoli del reato omesso versamento IVA.
Ciò posto, avverso la sentenza emessa dai giudici di seconde cure, i predetti imputati proponevano ricorso per Cassazione tramite il comune difensore di fiducia, deducendo, tra i motivi ivi addotti, vizio di violazione di legge in relazione all’art. 131-bis, c.p., e correlato vizio motivazionale.
In sintesi, premesso che dalle emergenze processuali risultava l’assoluta impossibilità dei ricorrenti di adempiere al debito tributario ed il loro pronto attivarsi al fine di reperire le risorse necessarie al fine di adempiere al debito tributario, i ricorrenti osservavano come loro stessi avessero chiesto ed ottenuto dall’Erario la rateizzazione, con conseguente pagamento integrale del debito d’imposta, e ciò che aveva giustificato la revoca della confisca.
Quanto sopra, per la difesa, conduceva a ritenere dimostrata la particolare tenuità dell’offesa e il comportamento dei ricorrenti non abituale atteso che, diversamente ragionando, la sentenza sul punto non avrebbe fornito alcuna motivazione e, in quanto tale, sarebbe stata censurabile.


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2. La soluzione adottata dalla Cassazione


La Suprema Corte riteneva il motivo summenzionato fondato.
In particolare, gli Ermellini facevano presente come la Corte di Appello avesse motivato sulla doglianza valorizzando la particolare entità della somma dovuta a titolo di IVA non versata, superiore quasi al triplo della soglia di punibilità (ciò che avrebbe escluso, di per sé, la particolare tenuità del fatto, anche secondo la prospettazione del P.G.: v., tra le tante, Sez. 3, n. 16599 del 3/06/2020).
Pur tuttavia, sempre ad avviso del Supremo Consesso, doveva comunque valutarsi l’incidenza sulla vicenda processuale in esame della novella del 2022 che ha, con indubbi effetti sul piano sostanziale, determinato la modifica della disciplina della speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p. stante il fatto di come fosse incontestata la circostanza che gli imputati avevano successivamente regolarizzato la propria posizione nei confronti dell’Erario, provvedendo all’integrale pagamento rateale del debito tributario.
Orbene, sul punto, per la Cassazione, rilevava la circostanza come fosse stata medio tempore modificata la previsione dell’art. 131-bis, comma 1, c.p. per effetto della riforma “Cartabia” (D.Lgs. n. 150 del 2022) mediante il riferimento alla condotta susseguente al reato come parametro da doversi considerare per stabilire se l’offesa sia di particolare tenuità, deducendosi al contempo come la stessa Sezione terza si sia già pronunciata sulla questione, affermando il principio secondo cui, da un lato, ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, acquista rilievo, per effetto della novellazione dell’art. 131-bis c.p. ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. c), n. 1, D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 150, anche la condotta dell’imputato successiva alla commissione del reato, che, tuttavia, non potrà, di per sé sola, rendere di particolare tenuità un’offesa che tale non era al momento del fatto, potendo essere valorizzata solo nell’ambito del giudizio complessivo sull’entità dell’offesa recata, da effettuarsi alla stregua dei parametri di cui all’art. 133, comma 1, c.p. (Sez. 3, n. 18029 del 2/05/2023), e, dall’altro, che il giudizio sulla tenuità dell’offesa dev’essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133, comma 1, c.p., non essendo tuttavia necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6, n. 55107 del 10/12/2018).
Ciò posto, nella vicenda in esame, per gli Ermellini, assumeva particolare rilevanza la considerazione, ai fini della valutazione della gravità dell’offesa, anche della condotta susseguente al reato, elemento che la giurisprudenza della medesima Cassazione, con riferimento alla previgente formulazione della norma, escludeva dal novero degli elementi da apprezzare proprio perché non espressamente previsto, e dovendosi perciò valutare la misura dell’offesa nel momento di consumazione del reato (cfr., ad esempio, Sez. 5, n. 660 del 02/12/2019), rilevandosi al contempo che, per effetto dell’indicata modifica, invece, la condotta post factum è uno – ma non certamente l’unico, né il principale – degli elementi che il giudice è chiamato ad apprezzare ai fini del giudizio avente ad oggetto l’offesa, tenuto conto altresì del fatto che, come si desume dalla Relazione illustrativa all’indicato D.Lgs. n. 150 del 2022, il Legislatore delegato ha volutamente utilizzato un’espressione ampia e scarsamente selettiva – quale, appunto, “condotta susseguente al reato” – allo scopo di “non limitare la discrezionalità del giudice che, nel valorizzare le condotte post delictum, potrà (..) fare affidamento su una locuzione elastica ben nota alla prassi giurisprudenziale, figurando tra i criteri di commisurazione della pena di cui all’art. 133, comma 2, n. 3 c.p.”.
Orbene, da quanto appena esposto se ne faceva discendere che il giudice potrà perciò valutare una vasta gamma di condotte definite solo dal punto di vista cronologico-temporale, dovendo essere “susseguenti” al reato, ed evidentemente in grado di incidere sulla misura dell’offesa, e ciò vale non solo nel caso in cui le condotte susseguenti riducano il grado dell’offesa – quali le restituzioni, il risarcimento del danno, le condotte riparatorie, le condotte di ripristino dello stato dei luoghi, l’accesso a programmi di giustizia riparativa, o, come nel caso in esame, l’intervenuto adempimento dell’obbligo tributario mediante l’integrale pagamento del debito erariale secondo il piano di rateizzazione concordato con il Fisco – ma anche, e specularmente, quando delle condotte aggravino la lesione – inizialmente “tenue” – del bene protetto.
Chiarito ciò, era, infine, precisato, come pure emerge dalla Relazione illustrativa (p. 346), che la condotta susseguente al reato acquista rilievo, nella disciplina dell’art. 131-bis c.p., non come esclusivo e autosufficiente indice-requisito di tenuità dell’offesa, bensì come ulteriore criterio, accanto a tutti quelli contemplati dall’art. 133, comma 1, c.p. (ossia la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell’azione; la gravità del danno o del pericolo; l’intensità del dolo o della colpa): elementi tutti che, nell’ambito di un giudizio complessivo e unitario, il giudice è chiamato a valutare per apprezzare il grado dell’offesa, e ciò comporta che le condotte post delictum non potranno di per sé sole rendere di particolare tenuità un’offesa che tale non era al momento della commissione del fatto – dando così luogo a una sorte di esiguità sopravvenuta di un’offesa in precedenza non tenue – ma, come detto, potranno essere valorizzate nel complessivo giudizio sulla misura dell’offesa, giudizio in cui rimane centrale, come primo termine di relazione, il momento della commissione del fatto, e, quindi, la valutazione del danno o del pericolo verificatisi in conseguenza della condotta.
Ebbene, nel caso di specie, per i giudici di piazza Cavour, era indubbio come la condotta “susseguente” al reato (che, ove intervenuta “prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado”, avrebbe certamente consentito l’applicabilità dell’altra speciale causa di non punibilità prevista dall’art. 13, comma 1, D.Lgs. n. 74 del 2000), avesse sostanzialmente neutralizzato la gravità dell’offesa, originariamente consistente (notevole essendo indubbiamente l’importo il cui versamento era stato omesso, pari a poco meno di 710.000 Euro), provocata all’Erario, avendo i ricorrenti dimostrato con il proprio comportamento la volontà di assolvere il debito tributario, provvedendo tempestivamente ad onorare il piano rateale concordato con il Fisco, tanto da determinare l’adozione in appello del provvedimento di revoca della disposta confisca in primo grado.
Nella specie, dalla motivazione dei giudici di appello, tuttavia, emergeva come il successivo versamento rateale del debito tributario non fosse stato valutato in termini di condotta “susseguente” al reato nei termini richiesti dalla nuova previsione (e non poteva, del resto, esserlo, non essendo a tale data ancora entrata in vigore la novella dell’art. 131-bis, c.p.), essendosi limitata la Corte territoriale ad esprimere una semplice valutazione in termini recessivi di tale condotta, a fronte del danno erariale cagionato sia in assoluto sia in rapporto alla soglia di punibilità, in considerazione del notevole importo il cui versamento era stato omesso mentre, per la Corte di legittimità, la necessità, invece, di dover apprezzare tale condotta alla luce della nuova previsione (che esplica indubbi effetti sostanziali, incidendo sulla punibilità del fatto, ed è quindi soggetta alla regola iuris dettata dall’art. 2, comma 4, c.p.), avrebbe pertanto imposto l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice d’appello per una rinnovata valutazione del fatto.
Ciò posto, era, tuttavia, rilevato come, nel caso in esame, assumesse valenza assorbente la circostanza che il termine di prescrizione del reato era maturato in data antecedente alla pronuncia della sentenza d’appello.
Tal che se ne faceva discendere l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il reato era estinto per prescrizione.

3. Conclusioni


La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito che, in materia di omesso versamento di IVA, il pagamento del debito tributario può rappresentare una condotta susseguente al reato per il riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p..
Difatti, per effetto della riforma Cartabia, che ha annoverato anche la condotta susseguente al reato tra gli elementi da doversi prendere in considerazione per riconoscere la particolare tenuità del fatto, gli Ermellini, nella pronuncia qui in esame, affermano che pure l’intervenuto adempimento dell’obbligo tributario, mediante l’integrale pagamento del debito erariale secondo il piano di rateizzazione concordato con il Fisco, anche se ciò sia avvenuto, a differenza di quanto richiesto dall’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000 per la causa di non punibilità ivi prevista, dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento, può essere presa in considerazione ai fini del giudizio de quo.
Ebbene, tale approccio ermeneutico, ad avviso di chi scrive, non è condivisibile.
Difatti, il consentire applicabile la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. in presenza dell’integrale pagamento del debito tributario dopo che sia decorso questo frangente procedurale, vanifica di fatto l’applicabilità dell’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000 che, invece, come appena visto, richiede codesto pagamento prima dell’apertura del dibattimento.
In effetti, chiunque potrebbe tranquillamente decidere di pagare “quanto vuole” nel corso del processo penale, con ciò rendendo, si ripete, di fatto non applicabile, o perlomeno difficilmente configurabile, il precetto normativo da ultimo citato che, viceversa, come appena visto, richiede che il pagamento avvenga entro un definito parametro temporale.
Sarebbe quindi opportuno che sulla questione del rapporto tra l’art. 131-bis c.p. e l’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000 (con particolar riguardo al fatto se vi possa essere un rapporto di specialità tra di loro), intervenga la Cassazione per fare maggiore chiarezza (a differenza di quanto avvenuto nel caso di specie).
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, dunque, per le considerazioni sin qui esposte, non è positivo.

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Al volume è associata un’area online in cui verranno caricati i contenuti aggiuntivi legati alle eventuali novità e modifiche che interesseranno la riforma con l’entrata in vigore.Aggiornato ai decreti attuativi della Riforma Cartabia, pubblicati in Gazzetta Ufficiale il 17 ottobre 2022, la presente opera procede ad una disamina della novella, articolo per articolo.Il Legislatore delegato è intervenuto in modo organico sulla disciplina processualpenalistica e quella penalistica, apportando considerevoli modificazioni nell’ottica di garantire un processo penale più efficace ed efficiente, anche attraverso meccanismi deflattivi e la digitalizzazione del sistema, oltre che ad essere rivolte al potenziamento delle garanzie difensive e della tutela della vittima del reato.La riforma prevede poi l’introduzione della giustizia riparativa, istituto in larga parte del tutto innovativo rispetto a quanto previsto in precedenza dall’ordinamento.Antonio Di Tullio D’ElisiisAvvocato iscritto presso il Foro di Larino (CB). Referente di Diritto e procedura penale della rivista telematica http://diritto.it. Membro del comitato scientifico della Camera penale di Larino. Collaboratore stabile dell’Osservatorio antimafia del Molise “Antonino Caponnetto”. Membro del Comitato Scientifico di Ratio Legis, Rivista giuridica telematica.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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