Riforma Cartabia: modifiche all’art. 131-bis cod. pen.

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La riforma Cartabia è intervenuta anche sull’art. 131-bis del cod. pen. che, come è noto, prevede, quale causa di non punibilità, la particolare tenuità del fatto.
Orbene, scopo del presente scritto è quello di vedere in che modo la suddetta riforma ha operato in relazione a questa disposizione legislativa.

Indice

1. Le modifiche apportate al primo comma


L’art. 1, co. 1, lett. c), n. 1, d.lgs., 10/10/2022, n. 150 è intervenuto sul primo comma dell’art. 131-bis cod. pen. nei seguenti termini: “le parole: «massimo a cinque anni» sono sostituite dalle seguenti «minimo a due anni» e dopo le parole: «primo comma,» sono inserite le seguenti «anche in considerazione della condotta susseguente al reato,”.
La prima innovazione, che ha interessato codesto precetto normativo, quindi, riguarda la soglia edittale in relazione alla quale può essere riconosciuta siffatta causa di non punibilità.
In particolare, se prima la particolare tenuità del fatto poteva essere concessa solo in relazione ai reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ciò è invece adesso possibile per i reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni.
Ebbene, questa “modifica legislativa, intervenendo sul presupposto quoad poenam di applicabilità dell’esimente, prospetta un significativo ampliamento del raggio di azione dell’art. 131-bis cod. pen., indipendentemente dall’entità del massimo edittale della pena detentiva, introducendo un nuovo e diverso criterio di riferimento, basato unicamente sul minimo di pena, che meglio riflette il possibile minore disvalore delle fattispecie delittuose nella loro modalità di realizzazione concreta” (Ufficio del Massimario della Corte Suprema di Cassazione, rel. n. 2/2023 del 5 gennaio del 2023, p. 250), trattandosi, “in questi e in altri casi, di reati oggetto di procedimenti penali con elevata incidenza statistica nei ruoli d’udienza, che spesso hanno ad oggetto fatti di particolare tenuità e per i quali – non essendo possibile finora disporre nel corso delle indagini l’archiviazione per particolare tenuità del fatto, ovvero il proscioglimento in primo grado – possono addirittura essere celebrati tre gradi di giudizio, impegnando complessivamente nove giudici (uno in primo grado, tre in appello e cinque in cassazione)” (Ufficio del Massimario della Corte Suprema di Cassazione, op. cit., p. 251).
Si tratta dunque di una scelta legislativa che sembra essere ispirata dall’obiettivo di meglio parametrare la tipologia di reati, riconducibili tra quelli per cui è applicabile tale causa di non punibilità, in riferimento a un quantum sanzionatorio (ritenuto) modesto in relazione, non più al massimo edittale, ma al minimo edittale, preveduto per ciascuna fattispecie criminosa.
Pur tuttavia, come rilevato in sede scientifica, “nonostante il mutamento del parametro oggettivo, rimangono escluse dall’alveo operativo della causa di non punibilità alcune fattispecie di reato (…) rispetto alle quali continua  a registrarsi una discrepanza tra severità del trattamento sanzionatorio, anche in riferimento al minimo edittale, ed eventuale scarsa offensività delle concrete manifestazioni del reato” (E. ANDOLINA, La rimodulazione dell’esimente della particolare tenuità del fatto tra contrapposte istanze di politica criminale, in Arc. Nuova proc. pen., 8/2022, p. 573).
Ciò posto, un’altra novità, che interesse sempre il primo comma dell’art. 131-bis del cod. pen., riguarda il riferimento alla condotta susseguente al reato come parametro da doversi considerare per stabilire se l’offesa sia di particolare tenuità.
Difatti, dal momento che l’art. 1, co. 1, lett. c), n. 1, d.lgs., 10/10/2022, n. 150 prevede anche che “dopo le parole: «primo comma,» sono inserite le seguenti «anche in considerazione della condotta susseguente al reato,”, va da sé che il primo comma dell’art. 131 bis del cod. pen., anche alla luce della modifica già analizzata in precedenza, stabilisce ora quanto sussegue: “Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”.
Orbene, per effetto di questo innesto legislativo, si è superato quell’orientamento della giurisprudenza secondo cui, “ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, non rileva il comportamento tenuto dall’agente “post delictum”, atteso che la norma di cui all’art. 131-bis c.p. correla l’esiguità del disvalore ad una valutazione congiunta delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile, dell’entità del danno o del pericolo, da apprezzare in relazione ai soli profili di cui all’art. 133, co. 1 c.p., e non invece con riguardo a quelli, indicativi di capacità a delinquere, di cui al secondo comma, includenti la condotta susseguente al reato” (Cass. Sez. V, 2 dicembre 2019, n. 660, rv. 278555-01).
Oltre a ciò, va fatto altresì presente che, dandosi rilievo, con formula generale, alla “condotta susseguente al reato”, senza specificare tipologie di condotte riconducibili a quella formula (es., restituzioni, risarcimento del danno, condotte riparatorie, accesso a programmi di giustizia riparativa, ecc.), si “è così inteso non limitare la discrezionalità del giudice che, nel valorizzare le condotte post delictum, potrà d’altra parte fare affidamento su una locuzione elastica – “condotta susseguente al reato” – ben nota alla prassi giurisprudenziale, figurando tra i criteri di commisurazione della pena di cui all’art. 133, co. 2, n. 3 c.p.” (così: la relazione illustrativa) fermo restando che la “condotta susseguente al reato acquista rilievo, nella disciplina dell’art. 131 bis c.p., non come autonomo (autosufficiente) indice-requisito di tenuità dell’offesa, bensì come ulteriore criterio, accanto a quelli di cui all’art. 133, co. 1 c.p. (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo e ogni altra modalità dell’azione; gravità del danno o del pericolo; intensità del dolo o della colpa), da impiegare, nell’ambito di un complessivo giudizio, per valutare le modalità della condotta (contemporanea al reato) e l’esiguità del danno o del pericolo” (così: la relazione illustrativa).
Ciò, dunque, “significa che condotte post delictum non potranno di per sé sole rendere l’offesa di particolare tenuità – dando luogo a una esiguità sopravvenuta di un’offesa in precedenza non tenue – ma potranno essere valorizzate nel complessivo giudizio di tenuità dell’offesa, che, dovendo tener conto delle modalità della condotta (contemporanea al reato), ha come necessario e fondamentale termine di relazione il momento della commissione del fatto: la condotta contemporanea al reato e il danno o il pericolo con essa posto in essere” (Ufficio del Massimario della Corte Suprema di Cassazione, op. cit., p. 253).
Inoltre, secondo taluni studiosi, “la congiunzione “anche” – che introduce il nuovo inciso immediatamente successivo al rinvio all’art. 133 comma 1 c.p. – nel sottolineare la rilevanza dell’eventuale condotta post factum (solo) come ulteriore (e non autonomo) criterio valutativo della modalità del reato e dell’esiguità del danno o del pericolo, che non si sostituisce ma si aggiunge ai preesistenti indici (…)” (E. ANDOLINA, op. cit., 8/2022, p. 573), il che trova conferma nell’interpretazione fornita anche nella relazione illustrativa (nei termini appena esposti), “finisca, però, per circoscrivere la valorizzazione, da parte del giudice, al mero fine di confermare la particolare tenuità di un’offesa che già appaia tale; così da depotenziare l’effetto espansivo della portata applicativa dell’esimente ricondotto dal legislatore al nuovo criterio valutativo”:
Orbene, si tratta di una considerazione pienamente condivisibile ma l’auspicio è quello che venga fornita in sede giudiziale una chiave di lettura ermeneutica che travalica il dato letterale della norma al fine di non vanificare l’importanza che questo inserimento normativo potrebbe avere ai fini del riconoscimento della particolare tenuità del fatto.

2. La modifica apportata al comma secondo


L’art. 1, co. 1, lett. c), n. 2, d.lgs., 10/10/2022, n. 150, a sua volta, dispone che “al secondo comma, il secondo periodo è soppresso” e dunque non è più vigente quel precetto normativo che disponeva quanto segue: “L’offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, ovvero nei casi di cui agli articoli 336, 337 e 341-bis, quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni”.
Ebbene, la ragione di tale soppressione deriva dal fatto che il comma secondo, come era precedentemente formulato, “riferendosi in modo generico a determinate modalità della condotta e, in modo specifico, ad alcune figure di reato, delimita l’applicazione della causa di non punibilità elencando una serie di ipotesi in cui, nella valutazione del legislatore, “l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità”” (così: la relazione illustrativa).
Al comma secondo attualmente in vigore, quindi, sono rimaste unicamente “le ipotesi di carattere generale di esclusione dell’applicabilità dell’esimente (ossia riferite a qualsiasi reato commesso in determinate condizioni)” (Ufficio del Massimario della Corte Suprema di Cassazione, op. cit., p. 254).


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3. Il “nuovo” comma terzo


L’art. 1, co. 1, lett. c), n. 3, d.lgs., 10/10/2022, n. 150, infine, statuisce che “dopo il secondo comma è inserito il seguente: «L’offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede:
1) per delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive; 2) per i delitti previsti dagli articoli 336, 337 e 341-bis, quando il fatto è commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni, nonché per il delitto previsto dall’articolo 343; 3) per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 391-bis, 423, 423-bis, 558-bis, 582, nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, 583, secondo comma, 583-bis, 593-ter, 600-bis, 600-ter, primo comma, 609-bis, 609-quater, 609-quinquies, 609-undecies, 612- bis, 612-ter, 613-bis, 628, terzo comma, 629, 644, 648-bis, 648-ter; 4) per i delitti, consumati o tentati, previsti dall’articolo 19, quinto comma, della legge 22 maggio 1978, n. 194, dall’articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, salvo che per i delitti di cui al comma 5 del medesimo articolo, e dagli articoli 184 e 185 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.»;”.
Ebbene, per effetto di questo innesto legislativo, sono stati inseriti in tale comma non solo “specifici reati che già il comma secondo escludeva dal beneficio” (Ufficio del Massimario della Corte Suprema di Cassazione, op. cit., p. 254), ma anche “aggiungendo nei nuovi nn. 3) e 4) altri reati esclusi dalla causa di non punibilità, pur avendo un minimo edittale – nella forma consumata, tentata o circostanziata (ad effetto speciale o con pena di specie diversa) – pari o inferiore a due anni” (Ufficio del Massimario della Corte Suprema di Cassazione, op. cit., p. 254).
Si tratta per l’appunto dei reati appena menzionati la cui esclusione, dal novero di quelli per cui può operare siffatta causa di non punibilità, è stata fortemente stigmatizzata da quella dottrina secondo la quale tali preclusioni oggettive sono in contrasto “sia con il principio costituzionale di eguaglianza sia con i principi di proporzionalità e di extrema ratio che informano l’esimente di cui all’art. 131 bis c.p., quale meccanismo dinamico che esclude l’opportunità di punire una condotta, tipica e offensiva, all’esito di un giudizio – ex post – ad ampio spettro di tutte le peculiarità in cui la condotta stessa venga in concreto ad estrinsercarsi” (E. ANDOLINA, op. cit., 8/2022, p. 574).
Inoltre, in “coerenza con i suesposti interventi “eccettuativi” operati in seno al novello comma terzo dell’art. 131-bis, i successivi artt. 76, comma 1, lett. a) e b), e 77 del d.lgs. n. 150 escludono l’applicabilità della speciale causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto anche in relazione ai reati militari di rivolta (art. 174, comma 1, cod. pen. mil. pace) e di peculato militare (art. 215 cod. pen. mil. pace) nonché al reato di collusione del militare della Guardia di finanza (art. 3 legge 9 dicembre 1941, n. 1383)” (Ufficio del Massimario della Corte Suprema di Cassazione, op. cit., p. 257).
Il legislatore delegato, quindi, “in questo caso, non è intervenuto direttamente sul codice penale, bensì sulle disposizioni interessate prevedendo, in calce alle stesse, l’espressa esclusione di applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen.” (Ufficio del Massimario della Corte Suprema di Cassazione, op. cit., p. 257).

4. Diritto intertemporale


In materia di diritto intertemporale, va infine osservato come la Cassazione abbia recentemente postulato che la “disposizione dettata dall’art. 131-bis c.p. nella nuova versione prevista dal d.lg. 10 ottobre 2022, n. 150, art. 1, comma 1, lett. c), che ha sostituto le parole “massimo a cinque anni” con le parole “minimo a due anni” e ha inserito, dopo le parole “comma 1” quelle “anche in considerazione della condotta susseguente”, ed entrata in vigore il 30 dicembre 2022, giusta la previsione del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, art. 6, nel testo convertito dalla l. 30 dicembre 2022, n. 199, in assenza di una disposizione transitoria, si applica anche a fatti di reato commessi in epoca anteriore alla data di entrata in vigore” (Cass. pen., sez. VI, 27/01/2023, n. 7573).
 
 
Fatte queste considerazioni, non resta che vedere come questa disposizione legislativa, così riformulata, verrà interpretata in sede giudiziale.

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