No a rapporti contrattuali con la P.A. a fronte di una interdittiva prefettizia antimafia (Consiglio di Stato n. 1328/2016).

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Il Consiglio di Stato è adito per la riforma della sentenza resa dal G.A. di prime cure in materia di informativa antimafia interdittiva.

In particolare, una società espone innanzi all’adito Tar di aver appreso che il competente Prefetto aveva adottato nei suoi confronti una interdittiva antimafia e di esserne venuta a conoscenza dopo aver chiesto ad una società le ragioni della mancata conclusione di un subappalto, relativo ad un contratto pubblico.

Tale società aveva così informato essa ricorrente dell’impossibilità di concludere un qualsiasi accordo negoziale, poiché, a seguito di richiesta trasmessa alla Prefettura, questa aveva inviato certificato ostativo antimafia.

Con la sentenza appellata il G.A. ha ritenuto che gli elementi indiziari indicati nel provvedimento impugnato – mediante il richiamo delle relazioni della Guardia di Finanza, dei Carabinieri, della Questura e della D.I.A. – dimostrassero la sussistenza di cause interdittive.

Il primo Giudice ha osservato: <<L’attività istruttoria svolta in corso di giudizio, mediante l’acquisizione degli atti procedimento conclusosi con l’emanazione del provvedimento recante l’interdittiva antimafia qui impugnata, ha consentito di accertare l’esistenza di elementi plurimi e univoci nel senso dell’attualità, correlata al momento dell’emanazione dell’atto gravato, del pericolo di infiltrazione di tipo mafioso nella società ricorrente come delineato dalla giurisprudenza amministrativa consolidata.

Quest’ultima, anche di recente (Cons. Stato, sez. III, 23 febbraio 2015, n. 898; Cons. Stato, sez. III, 30 gennaio 2015 n. 455), ha ravvisato nella cd. interdittiva prefettizia antimafia, ora prevista dagli artt. 91 e ss., d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, una misura preventiva volta a colpire l’azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con la Pubblica amministrazione (…).

E’ stato ribadito, in particolare, che al provvedimento in parola vada riconosciuta la natura di tipica misura cautelare di polizia, preventiva ed interdittiva, che si aggiunge alle misure di prevenzione antimafia di natura giurisdizionale e che prescinde dall’accertamento in sede penale di uno o più reati connessi all’associazione di tipo mafioso (Consiglio di Stato, sez. III, 17 febbraio 2015 n. 808; Con. Stato, sez. III, 19 gennaio 2015, n. 115)>>.

Nell’appello, oltre ad invocare l’applicazione dei principi che regolano la materia, la società ricorrente svolge una complessiva contestazione degli elementi indicati nell’interdittiva, e valorizzati dalla sentenza di primo grado, per giungere alla conclusione che non esistevano, e non esistono, elementi concreti che nel loro complesso fondino la valutazione di serio pericolo di infiltrazione della criminalità organizzata nella società.

L’adito Collegio di Palazzo Spada, da parte sua, osserva come la controversia sottoposta al suo giudizio non investa i principi da applicare in tema di informativa antimafia interdittiva ai quali fa un preliminare richiamo.

Così, si precisa in sentenza, l’informativa antimafia interdittiva costituisce lo strumento di massima anticipazione della soglia di tutela di primari interessi pubblici, come risposta dello Stato al crimine organizzato, il che implica che non è necessario a giustificazione della sua adozione un grado di evidenza probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo mafioso, essendo al contrario sufficiente che, all’esito dell’istruttoria, emergano elementi indiziari i quali, complessivamente considerati, lascino presumere o inducano a ritenere «non improbabile», ovvero «più probabile che non» il rischio di coinvolgimento associativo con la criminalità organizzata da parte dell’impresa «attenzionata».

E cioè a dire, tale provvedimento prescinde dall’accertamento in sede penale di uno o più reati connessi all’associazione di tipo mafioso e non richiede neppure la prova di fatti di reato, dell’effettiva infiltrazione mafiosa nell’impresa e del reale condizionamento delle scelte dell’impresa da parte di associazioni o soggetti mafiosi; ai fini della sua adozione è, invece, sufficiente un compiuto quadro fattuale ed indiziario di un tentativo di infiltrazione avente lo scopo di condizionare le scelte dell’impresa, anche se tale scopo non si è in concreto realizzato.

Questa scelta è giudicata coerente con le caratteristiche fattuali e sociologiche del fenomeno mafioso, che non necessariamente si concreta in fatti univocamente illeciti, potendo fermarsi alla soglia dell’intimidazione, dell’influenza e del condizionamento latente di attività economiche formalmente lecite.

Ancora, previsa il Consiglio di Stato, come ai fini della adozione del provvedimento in esame, gli elementi rilevanti possono consistere (oltre che in provvedimenti del Giudice Penale), nel coinvolgimento in un’indagine penale, in collegamenti parentali, in cointeressenze societarie o frequentazioni con soggetti malavitosi, che, nel loro insieme, siano tali da fondare una valutazione sulla possibilità che l’attività dell’impresa sia in grado, anche in maniera indiretta, di agevolare le attività criminali o esserne in qualche modo condizionata.

Il tutto con la precisazione che, pur dovendosi comunque tenere conto delle peculiarità delle realtà locali, il mero rapporto di parentela con appartenenti alla criminalità organizzata non è tuttavia sufficiente, rilevando i riscontri sui collegamenti tra costoro e l’impresa esercitata dai loro congiunti.

Assumono invece rilevanza, oltre che i fatti recenti, anche i fatti più risalenti nel tempo, quando gli elementi raccolti dal Prefetto a tal fine siano sintomatici di un condizionamento attuale dell’attività dell’impresa.

Le valutazioni compiute al riguardo dal Prefetto, stante l’ampia discrezionalità di apprezzamento riservata alla P.A. a tutela delle condizioni di sicurezza ed ordine pubblico, sono suscettibili di sindacato in sede giurisdizionale nei soli limiti di evidenti vizi di eccesso di potere nei profili della manifesta illogicità e dell’erronea e travisata valutazione dei presupposti.

Venendo più da vicino ai motivi di doglianza riportati in appello il Consiglio di Stato precisa che se è pur vero che in ordine alla notizia di reato per trasferimento fraudolento di valuta, a carico del socio e amministratore della società appellante di altro socio, il competente Tribunale del Riesame ha accertato l’inesistenza di indizi di colpevolezza, tuttavia occorre anche considerare che tale pronuncia è successiva all’adozione dell’interdittiva, e può quindi assumere piena rilevanza ai fini dell’aggiornamento dell’informazione antimafia, ma non può di per sé inficiare la rilevanza indiziaria che il Prefetto aveva ritenuto di trarre dall’esistenza dell’indagine.

Circa le segnalazioni per truffa, gioco d’azzardo, traffico illecito di rifiuti e associazione per delinquere, l’appellante prospetta che si tratta di segnalazioni prive di seguito processuale, risalenti nel tempo e comunque relative a fattispecie estranee a quelle indizianti la contiguità con organizzazioni criminali tipizzate dall’art. 51, comma 3-bis, c.p.p., superata da ulteriori accertamenti giudiziari che hanno escluso la sussistenza del fatto.

Sul punto il Collegio giudicante osserva che, al momento dell’adozione dell’interdittiva, le segnalazioni non potevano considerarsi irrilevanti, pur se risalenti nel tempo ed ancora non seguite da iniziative giudiziarie evidenziando, peraltro, come gli ulteriori accertamenti giudiziari che le renderebbero altrimenti irrilevanti non siano stati precisati, né tantomeno documentati.

Non senza osservare come la citata disposizione codicistica menzioni anche il reato di cui all’art. 260 del d.lgs. n. 152/2006, vale a dire le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti.

 

Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics

Cassano Giuseppe

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