Nessuna violazione della legge processuale se la sentenza non viene tradotta

Redazione 20/06/14
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Lucia Nacciarone

In virtù della irretroattività delle norme processuali il D.Lgs. n. 34/2014 non si applica agli atti e alle attività poste in essere prima della sua entrata in vigore. Pertanto, non v’è obbligo alcuno di tradurre la sentenza nella lingua parlata dall’imputato per i procedimenti penali pendenti all’epoca in cui è diventata operativa la norma approvata per adeguarsi agli standard europei nel diritto di difesa.

Prima della novella, continuano i giudici di Cassazione (sentenza n. 26415 del 18 giugno 2014), non esisteva alcun obbligo di traduzione delle sentenze, quindi il ricorso dell’imputato straniero, che lamenta la violazione della legge processuale (in quanto la sentenza di primo grado, il decreto di citazione in appello, la sentenza di secondo grado e il relativo estratto contumaciale non sono state tradotte), viene respinto.

In seguito all’entrata in vigore (in aprile) della nuova disciplina, continuano i giudici, l’imputato che non conosce l’italiano ha diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete per poter comprendere l’accusa formulata contro di lui, nonché di partecipare al compimento degli atti per le udienze che lo vedono coinvolto.

La disciplina odierna prevede l’obbligo di tradurre una serie di atti fra i quali l’avviso di garanzia, l’informazione sul diritto di difesa, l’avviso di conclusione delle indagini, i provvedimenti che dispongono misure cautelari personali; oltre a ciò, l’imputato può chiedere al giudice di disporre la traduzione di altri atti ritenuti essenziali per consentire all’imputato di conoscere le accuse a suo carico. Ma tale nuovo impianto normativo non può essere applicato ai procedimenti in corso prima dell’aprile 2014, e l’imputato che non ha chiesto la traduzione non può dolersi per l’attuazione di un adempimento cui ha mostrato di non avere interesse.  

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