Locazione non abitativa: clausola che deroga i diritti in capo al conduttore

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«Secondo la giurisprudenza di legittimità dominante è escluso che l’autonomia contrattuale delle parti possa derogare le disposizioni di norme imperative come l’art. 79 della legge n. 392/1978 in sede di trattative negoziali, potendosi, invece, riespandersi dopo la conclusione del contratto. Infatti definire concordato un canone al punto che per diminuirlo occorre rinunciare ai diritti che il legislatore attribuisce appare intrinsecamente contraddittorio, per non dire un fragile espediente non corrispondente al vero. D’altra parte non appare condivisibile che il contratto di locazione si concluda per stadi separati, così da poter configurare come naturale una condotta – in realtà alquanto autolesionista – dell’aspirante conduttore che prima accetta un canone per lui eccessivo (che diverrebbe il canone “concordato”) e poi cerca di rimediare alla sua malleabilità negoziale “pagando” la correzione di quanto ha già concordato con la rinuncia, in un altro stadio di formazione del regolamento negoziale, a propri vantaggi legalmente previsti, poiché la determinazione del contenuto del regolamento negoziale non può che essere unitaria, dal momento che il sinallagma si concretizza nella globalità dell’accordo (cfr. articolo 1363 c.c.). La realtà è che l’articolo 79 costituisce effettivamente una sorta di intrusione, nel paradigma della locazione ad uso commerciale, del paradigma all’epoca della c.d. legge dell’equo canone imposto alla locazione ad uso abitativo, tipo contrattuale socialmente inteso come strumento assistenziale. Il legislatore del 1978 ha scelto di disciplinare entrambi i tipi di locazione in un unico testo normativo, e la tanto forte quanto pervadente percezione del conduttore come parte debole nella locazione abitativa – al punto che il legislatore ha ritenuto di dover determinare direttamente il canone, “ingabbiando” l’elemento fondamentale del sinallagma – ha contagiato anche la figura del conduttore nella locazione commerciale».

     Indice

  1. Fatto
  2. La decisione
  3. I motivi a fondamento del ricorso principale
  4. I motivi a fondamento del ricorso incidentale promosso da Caio
  5. I ragionamenti svolti dai giudici di merito
  6. Un precedente giurisprudenziale di fondamentale importanza a sostegno dell’orientamento maggioritario
  7. L’orientamento seguito dai giudici di merito
  8. Le conclusioni

1. Fatto

Tizio e Caio erano rispettivamente locatore e conduttore di un contratto di locazione ad uso non abitativo cessato in virtù della disdetta inviata dalla parte locatrice.

Il locatore chiedeva a Caio la riconsegna dell’immobile rifiutandosi di corrispondere l’indennità prevista dall’articolo 34, primo comma, della legge n. 392/1978.

A tale rifiuto il conduttore rispondeva permanendo nel possesso dell’immobile precedentemente locato; pertanto, il locatore si vedeva costretto a corrispondere l’indennità d’avviamento al fine di riottenere la disponibilità materiale del proprio bene.

Dopo aver conseguito nuovamente il possesso dell’immobile, Tizio provvedeva a locarlo a un nuovo conduttore che ivi intraprendeva un’attività commerciale affine a quella esercitata dal precedente locatario, ciò prima che fosse decorso un anno dalla cessazione dell’attività di quest’ultimo.

Il conduttore Caio ricorreva al Tribunale di Bologna affinchè venisse accertato il proprio diritto all’indennità d’avviamento previsto dall’articolo 34, secondo comma, della legge n. 392/1978 pari a 18 mensilità dell’ultimo canone di locazione corrisposto; chiedeva altresì che fosse accertato il diritto alla restituzione del deposito cauzionale precedentemente versato.

Il locatore Tizio si costituiva in giudizio, resistendo e chiedendo con un’apposita domanda riconvenzionale la non debenza dell’indennità d’avviamento e di condannare conseguentemente Caio alla restituzione dell’intero importo che il locatore era stato costretto a corrispondere ai fini del rilascio dell’immobile, nonché la condanna del conduttore al risarcimento dei danni per il ritardo nella riconsegna, da liquidarsi in separato giudizio.

Il giudice di primo grado rigettava la domanda del ricorrente Caio e condannava quest’ultimo a restituire interamente la somma che gli aveva corrisposto Tizio ai fini della riconsegna dell’immobile e a risarcire a quest’ultimo il danno per il ritardo nel rilascio, da liquidarsi in separato giudizio.

Caio appellava la sentenza del Tribunale felsineo, resisteva Tizio.

La Corte d’Appello di Bologna riformava solo parzialmente la sentenza di primo grado e condannava Tizio a corrispondere all’appellante l’indennità prevista dall’articolo 34, confermando per il resto la prima sentenza nella parte concernente il deposito cauzionale e il danno per il ritardo nel rilascio.

Tizio presentava ricorso per Cassazione sulla base di due motivi; Caio si difendeva con controricorso contenente anche un ricorso incidentale, anch’esso fondato su due motivi, al quale resisteva il ricorrente principale con controricorso.

2. La decisione

Il cuore pulsante della pronuncia in commento concerne la derogabilità o meno delle statuizioni dei primi due commi dell’articolo 34, e del disposto dell’articolo 79 della legge n. 392/1978, ovvero se il combinato disposto di tali norme sia in grado di determinare una compressione dell’autonomia contrattuale delle parti laddove queste ultime, in sede di trattative, abbiano derogato di comune accordo quanto sancito dalla legge.

Invero, nella vicenda in esame entrambi i ricorsi per Cassazione sono incentrati sul tema della rinuncia all’indennità disposta dalla parte conduttrice nel momento in cui aveva concluso il contratto locatizio, in virtù della clausola n. 5 dello stesso, contenente la seguente statuizione: «qualora al momento della cessazione del presente contratto – per qualunque causa ciò avvenga – la legge in vigore lo ritenesse valido, il conduttore rinuncia ora per allora a qualsiasi indennità, in quanto di ciò si è tenuto conto nella determinazione del canone di locazione».

Purtuttavia, nella controversia de quo la parte conduttrice aveva trattenuto la disponibilità dell’immobile anche dopo la naturale scadenza del contratto, sentendosi legittimata in virtù del disposto dell’articolo 34, terzo comma, legge n. 392/1978, ovvero fin tanto che il locatore non avesse corrisposto l’indennità di cui al primo comma di tale norma.

La suddetta indennità, infatti, veniva corrisposta da Tizio solo dopo qualche tempo e comunque quest’ultimo locava il medesimo immobile a un soggetto che ivi intraprendeva l’esercizio di un’attività commerciale affine a quella esercitata da Caio e ciò prima che fosse decorso un anno dalla cessazione del precedente esercizio.

3. I motivi a fondamento del ricorso principale

Il primo motivo del ricorso principale promosso da Tizio denunciava la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1362 c.c. per avere la corte territoriale interpretato la clausola n. 5 del contratto di locazione ad uso non abitativo contrariamente al suo significato letterale anche in ottica del successivo comportamento delle parti e della loro comune volontà, adducendo, tra l’altro, una motivazione illogica.

Invero, tale clausola prevedeva che per qualunque motivo il contratto fosse cessato, ma la legge in vigore lo avesse ritenuto valido, il conduttore si impegnava a rinunciare «ora per allora» qualsiasi indennità, poiché di ciò era già stato tenuto conto nella determinazione del canone di locazione. In sostanza entrambe le parti si erano accordate con reciproche concessioni, ma il giudice dell’appello aveva interpretato d’ufficio la clausola ritenendo che essa prevedesse la rinuncia del conduttore alla sola indennità prevista dal primo comma dell’articolo 34 della legge n. 392/1978, e non anche quella del successivo secondo comma.

Il secondo motivo denunciava la violazione dell’articolo 112 c.p.c., poiché, secondo il ricorrente, la corte territoriale, a fronte di una domanda di accertamento della validità di una clausola contrattuale, avrebbe fornito d’ufficio un’interpretazione di questa anche se ciò non rientrava tra i motivi di impugnazione.

In tale maniera, il giudice d’appello avrebbe ampliato il thema decidendum includendovi una questione che non era stata contestata dall’allora appellante e, pertanto, coperta da giudicato sostanziale interno.


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4. I motivi a fondamento del ricorso incidentale promosso da Caio

In relazione ai motivi a fondamento del gravame promosso dall’ex conduttore, i giudici di legittimità hanno rilevato come esso fosse solo formalmente composto solo da due motivi, ma che, in sostanza, questi ultimi fossero in tutto cinque.

Il primo di essi denunciava la nullità insanabile dell’articolo 5 del contratto di locazione in quanto avrebbe violato l’articolo 79 della legge n. 392/1978, il quale statuisce espressamente che «è nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge». Inoltre, il ricorrente incidentale ricordava come la giurisprudenza di legittimità avesse riconosciuto che tale norma è finalizzata a evitare l’elusione di norme imperative al momento della stipulazione aggravando la posizione del conduttore. Nel caso di specie, l’accordo di rinuncia all’indennità prevista dall’articolo 34 della citata legge sarebbe stato contestuale alla stipulazione del contratto e l’articolo n. 5 di quest’ultimo ne avrebbe costituito proprio una clausola, pertanto, da ciò sarebbe discesa la nullità della stessa per violazione dell’articolo 79.

Infatti, avrebbe errato la corte del capoluogo emiliano nel confermare la validità di detta clausola dichiarando che «in base alla giurisprudenza citata dal primo Giudice» la clausola non violerebbe l’articolo 79 poiché essa prevede «reciproche rinunce dei contraenti nel rapporto sinallagmatico tra loro».

Il secondo motivo del ricorso incidentale presentato da Caio denunciava violazione dell’articolo 115 c.p.c. unitamente alla mancanza di prova delle rinunce del conduttore; onere probatorio che incombeva proprio sul locatore e che da questi non sarebbe stato assolto.

Secondo Caio, la sentenza dovrebbe essere cassata in forza del principio per cui è onere del locatore dimostrare il vantaggio ottenuto dal conduttore a fronte delle rinunce di quest’ultimo ai suoi diritti in linea di principio non rinunciabili ai sensi dell’articolo 79, non essendo affatto sufficiente inserire nel contratto generiche affermazioni come quelle riportate nell’articolo n. 5 del medesimo.

Con il terzo motivo l’ex conduttore denunciava omesso esame di un fatto decisivo ovvero l’offerta reale che era stata rivolta da Tizio a favore di Caio, con l’intento di corrispondere l’indennità d’avviamento, così riconoscendo il diritto di quest’ultimo al percepimento della stessa, valendo l’offerta reale ai sensi dell’articolo 1208 c.c. come piena confessione del debito.

Il quarto motivo denunciava l’infondatezza della domanda risarcitoria per ritardo nella consegna del bene, in quanto quest’ultimo sarebbe stato riconsegnato contestualmente al pagamento della suddetta indennità da parte dell’ex locatore, mentre quest’ultimo si sarebbe reso protagonista di comportamenti illegittimi allorquando aveva tentato di riottenere la piena disponibilità del bene precedentemente locato senza adempiere l’obbligo di corresponsione dell’indennità prevista dall’articolo 34 della legge n.  392/1978.

Infine, con il quinto ed ultimo motivo, Caio invocava il diritto al risarcimento del danno per mancata prelazione riportandosi a una pronuncia della stessa Corte di Cassazione del 2003 per cui qualora non dovesse essere riconosciuto il diritto alle indennità ex lege previste in capo al ricorrente, allora dovrà essergli riconosciuto il diritto al risarcimento del danno per mancata prelazione, il quale dovrà essere quantificato in misura uguale all’indennità di avviamento o in misura superiore se dovesse essere adeguatamente provato[1].

5. I ragionamenti svolti dai giudici di merito

Dunque, è evidente come il nucleo delle impugnazioni consista nel tema della rinunciabilità o meno, nel momento in cui le parti concludono un contratto di locazione ad uso non abitativo, delle indennità che l’articolo 34 della legge n. 392/1978 riconosce in capo al conduttore.

I giudici del Supremo Collegio hanno intrapreso l’analisi della vicenda partendo dalla giurisprudenza di legittimità citata dal Tribunale felsineo a fondamento della propria decisione, ossia una pronuncia del 2015, alquanto isolata e, si anticipa fin da ora, giudicata dagli Ermellini come appartenente a un filone nettamente minoritario[2].

In particolare, in tale sentenza la Cassazione aveva ritenuto che l’articolo 79 della legge n. 392/1978 non imporrebbe alcun limite all’autonomia negoziale delle parti con riguardo alla previsione di un canone in misura inferiore a quella originariamente concordata a patto che trovi la propria ragion d’essere nella rinuncia, da parte del conduttore, ai diritti derivantigli dal contratto di locazione, compreso quello alla corresponsione dell’indennità d’avviamento commerciale.

In sostanza, il giudice di prime cure ha affermato che la norma in questione tollererebbe la suddetta rinuncia anche se effettuata al momento della conclusione del negozio, qualora questa abbia una incidenza sinallagmatica, ossia se il locatore conceda «un contrappeso favorevole al conduttore: nel caso di specie, sarebbe stata la quantificazione del canone inferiore al canone di mercato». Da tali considerazioni il Tribunale non avrebbe riconosciuto entrambe le indennità previste dall’articolo 34 e avrebbe condannato il conduttore alla restituzione di quanto aveva precedentemente ricevuto.

Invece, tornando al caso in esame, secondo gli Ermellini la Corte d’Appello di Bologna avrebbe optato per una “via di mezzo”, escludendo, in primo luogo, la nullità della clausola n. 5 del contratto di locazione invocata dall’appellante, poiché ritenuta da questa corte in violazione dell’articolo 79 della legge n. 392/1978, aderendo da questo punto di vista a quanto statuito dalla Cassazione nella pronuncia del 2015 citata dal Tribunale, mentre, in secundis, avrebbe interpretato la suddetta clausola come riguardante esclusivamente l’indennità di cui al primo comma dell’articolo 34, quindi come non incidente sull’indennità prevista dal secondo comma di tale norma e condannando, di conseguenza, l’appellato alla corresponsione proprio dell’indennità di cui all’articolo 34, secondo comma.

Da tale disamina delle decisioni pronunciate nei due precedenti gradi di giudizio la Suprema Corte è arrivata a individuare, per l’appunto, il nocciolo della questione: se la clausola n. 5 del contratto di locazione ad uso non abitativo fosse o meno nulla poiché in violazione dell’articolo 79 della legge n. 392/1978.

6. Un precedente giurisprudenziale di fondamentale importanza a sostegno dell’orientamento maggioritario

Ebbene, gli Ermellini hanno voluto fare chiarezza su una questione alquanto dibattuta nell’ambito del diritto locatizio e si sono soffermati su un precedente della stessa Corte di legittimità che nel 2019[3] si era imbattuta in un caso simile.

Nella motivazione di tale recente pronuncia i giudici del Supremo Collegio hanno affermato che la natura della norma in oggetto «è orientata a favore del conduttore» e nel disegnarne il suo contenuto il legislatore del ’78 aveva voluto imporre «un confine all’autonomia negoziale mediante l’articolo 79», in quanto il conduttore assume la qualifica di “parte debole” del contratto quasi in modo automatico e, tale interpretazione, secondo la Cassazione citata, avrebbe ormai assunto un irreversibile grado di inequivocabilità e stabilità. In sostanza, la Suprema Corte ha creato in misura nettamente dominante un orientamento per cui «la nullità inflitta dall’articolo 79 presidia norme imperative che hanno lo scopo “di impedire che il conduttore sia indotto ad accettare condizioni che ledano i suoi diritti pur di assicurarsi il godimento dell’immobile” mediante accordi che operano una elusione preventiva dei suddetti diritti concessi dalle norme imperative»[4].

In altri termini, la Cassazione nel 2019 ha affermato che di fatto è ammessa una riapertura ex post dell’autonomia negoziale, in quanto una volta cessato il rapporto locatizio l’articolo 79 non impedisce alle parti di stipulare una transazione sui rispettivi diritti inseriti nel sinallagma che ha governato il rapporto stesso, «in particolare, non impedisce al conduttore di rinunciare all’indennità da perdita d’avviamento». Infatti, l’articolo 79 della legge n. 392/1978 «è volto ad evitare la preventiva elusione dei diritti del locatario ma non esclude la possibilità di disporne una volta che essi siano sorti»[5].

7. L’orientamento seguito dai giudici di merito

Purtuttavia, proprio da questa giurisprudenza di legittimità dominante ha avuto origine un orientamento contrario e minoritario che col passare del tempo è rimasto debole.

Proprio a quest’ultimo filo interpretativo, il cui capostipite è una pronuncia della Cassazione del 1995[6], il Tribunale felsineo, prima, e la Corte d’Appello, dopo, si sono “aggrappati” per motivare le proprie decisioni. Invero, la sentenza della Corte di legittimità del 2015 che appartiene al filone minoritario di cui sopra e alla quale si sono ispirate le due corti di merito nel caso oggetto della sentenza in commento aveva espressamente statuito che per non rientrare nell’alveo della nullità ai sensi dell’articolo 79 citato, «la rinunzia preventiva da parte del conduttore ad uno dei diritti predetti deve trovare il suo corrispettivo sinallagmatico all’interno del contratto stesso di locazione».

In breve, nel caso in esame, per i giudici del Supremo Collegio il punto dolente dei ragionamenti effettuati dagli Ermellini in occasione delle pronunce che appartengono all’orientamento minoritario citato (e che hanno riguardato casi simili a quello de quo) consiste nel fatto che questi hanno considerato il contratto stipulato come un unicum e che in tale contratto il conduttore avrebbe rinunciato al diritto di prelazione e di riscatto, nonché al diritto all’indennità per la perdita di avviamento, essendo stata tale rinunzia compensata – all’atto della stipula del contratto – con una misura del canone inferiore a quella effettivamente concordata.

Invece, secondo i giudici della Corte di Cassazione in relazione al caso oggetto dell’ordinanza in commento «definire concordato un canone al punto che per diminuirlo occorre rinunciare ai diritti che il legislatore attribuisce appare intrinsicamente contraddittorio» poiché, in realtà, non sussiste un canone concordato che viene per così dire “scontato” con la rinuncia da parte del conduttore, mentre sussiste, questo per davvero, un canone preteso, ossia rigidamente proposto, «dal soggetto che tratta come futuro locatore e che questo soggetto si dichiari disponibile a diminuirlo qualora la potenziale controparte gli proponga a sua volta dei particolari vantaggi» che nel caso di specie consistono nel mancato inserimento nel negozio di «diritti stabiliti dal legislatore venendo impiegata l’autonomia negoziale (in questa sede però, secondo la giurisprudenza predominante, insussistente per la natura imperativa delle norme) per farne oggetto di asportazione del sinallagma tipico del contratto delineato dalla legge».

8. Le conclusioni

In sostanza, gli Ermellini hanno riconosciuto e confermato la sussistenza dell’autonomia contrattuale delle parti nel contratto di locazione ad uso commerciale, ma hanno escluso che tale negozio possa concludersi «per stadi separati», ossia che il conduttore prima accetti un canone per lui eccessivo e successivamente «cerca di rimediare alla sua malleabilità negoziale “pagando” la correzione di quanto ha già concordato» con la rinuncia, in un altro e separato stadio di formazione del regolamento negoziale, a propri vantaggi legalmente previsti. Infatti, tale ultima prospettazione non appare assolutamente condivisibile per gli Ermellini, poiché secondo quanto hanno affermato «la determinazione del contenuto del contratto non può che essere unitaria, dal momento che il sinallagma si concretizza nella globalità dell’accordo».

Secondo i giudici della Corte l’articolo 79 della legge del ’78 costituisce «una sorta di intrusione» nell’ambito della locazione ad uso commerciale; intrusione frutto dell’epoca della legge dell’equo canone inerente la locazione ad uso abitativo, dal momento che il legislatore di quel tempo scelse di disciplinare i due tipi di locazione in un unico testo normativo così finendo per “contagiare” anche la figura del conduttore di una locazione ad uso non abitativo considerato come parte debole al pari dell’omonimo nell’ambito delle locazioni ad uso abitativo[7].

Dunque, secondo i giudici del Supremo Collegio, allo stato attuale della normativa vigente il conduttore continua a rivestire il ruolo di parte debole del rapporto nel momento in cui conclude il contratto di locazione commerciale e deve, pertanto, posticipare il libero esercizio della sua autonomia negoziale ad un momento successivo, ovvero egli potrà legittimamente rinunciare all’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, «purchè ciò avvenga successivamente alla conclusione del contratto, quando può escludersi che il conduttore si trovi in quella posizione di debolezza»[8] alla cui tutela è preposto l’articolo 79 della legge n. 392/1978.

Pertanto, secondo gli Ermellini, un eventuale intervento finalizzato a riportare l’autonomia negoziale alla massima misura nell’ambito dei contratti di locazione ad uso commerciale non compete ad alcun giudice, bensì alla discrezionalità del legislatore ordinario che tenga conto della netta eliminazione della “parte debole” quantomeno in quest’ambito della materia locatizia.

In conclusione, sulla base delle considerazioni giuridiche e dei richiami giurisprudenziali di cui sopra, i giudici della Cassazione hanno rilevato la nullità della clausola contrattuale n. 5 del contratto di locazione ad uso non abitativo per violazione di norme imperative, (nel caso di specie violerebbe l’art. 79 della legge del ’78), pertanto, hanno ritenuto fondato il primo motivo del ricorso incidentale proposto da Caio con assorbimento di tutti gli altri motivi di detto ricorso e il primo motivo del ricorso principale. D’altro canto hanno ritenuto palesemente infondato il secondo motivo del ricorso principale, poichè la questione della nullità della clausola era stata proprio devoluta dall’appellante al giudice della corte territoriale e l’accertamento della stessa presupponeva l’interpretazione del suo contenuto, insindacabile in sede di legittimità. Dunque, il Supremo Collegio ha cassato la sentenza impugnata con rinvio alla corte del capoluogo emiliano in diversa sezione e composizione.

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Note

[1] Cass. civ., sez. III, sentenza 19 agosto 2003, n. 12098.

[2] Cass. civ., sez. III, sentenza 29 aprile 2015, n. 8705.

[3] Cass. civ., sez. III, sentenza 30 settembre 2019, n. 24221.

[4] Sempre Cass. n. 24221/2019.

[5] Così ha affermato Cass. civ., sez. III, sentenza 24 novembre 2007, n. 24458.

[6] Cass. civ., sez. III, sentenza 20 ottobre 1995, n. 10907, secondo la quale l’articolo 79 della legge n. 392/1978 garantirebbe «l’equilibrio sinallagmatico del contratto secondo la valutazione operata dal legislatore, non sono stati imposti limiti all’autonomia negoziale con riguardo alla previsione di un canone in misura inferiore a quella originariamente concordata, ove la stessa trovi la sua giustificazione nella rinuncia, da parte del conduttore, ai diritti derivantigli dal contratto di locazione».

[7] Nella sentenza in commento gli Ermellini hanno definito questo concetto come se «in termini economici la proprietà immobiliare sia ontologicamente superiore all’attività di impresa».

[8] Cass. civ., sez. III, sentenza 13 giugno 2018, n. 15373.

Sentenza collegata

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Dott. Francesco Luppino

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