Liquidazione delle spese compensate degli avvocati pubblici

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Avvocati pubblici e diritto alla liquidazione delle spese compensate: l’accertamento della parte variabile retributiva tra esatta quantificazione e difetto di allegazione.

Indice

1. Massime

Nel processo del lavoro il difetto di allegazione di cui è affetto il ricorso, in relazione all’esatta individuazione del diritto di credito azionato, impedisce al giudicante qualsivoglia indagine in ordine agli elementi posti alla base della pretesa fatta valere in giudizio, anche in relazione alla correttezza e alla legittimità dei crediti.
Se il difetto di allegazione riguarda elementi funzionali all’identificazione del thema probandum il Giudice non può supplirvi attraverso l’esame della documentazione versata in atti. Il potere del giudicante in ordine alla interpretazione della domanda,in modo funzionale all’identificazione del suo oggetto, è inesercitabile nel caso in cui si versi in ipotesi di incompletezza degli elementi di cui all’art. 414 c.p.c., non potendosi estendere il potere di interpretazione della domanda agli atti allegati al ricorso e solo genericamente richiamati. Pertanto, alle prove precostituite allegate nell’atto introduttivo e a quelle costituende di cui si domanda l’ammissione deve essere riconosciuta una valenza limitata ad attestare la sola veridicità degli assunti riportati nel ricorso, al fine di mostrarne la fondatezza.

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2. La sentenza

…Omissis…
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato, secondo le motivazioni di seguito illustrate, nel rispetto degli obblighi di concisione e di sintesi imposti dagli artt. 132 c.p.c e 118 disp. att. c.p.c., assorbenti rispetto ad ogni altra questione tra le parti.
È opinione del giudicante che la parte ricorrente non abbia adeguatamente adempiuto all’onere allegatorio, prima ancora che probatorio, posto a suo carico.
Invero, noti i principi che governano il riparto dell’onere probatorio in subiecta materia, nel caso in esame le deduzioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio risultano fortemente deficitarie quanto alla prospettazione degli elementi di fatto indispensabili per la esatta individuazione dei diritti di credito azionati.
I ricorrenti, in qualità di appartenenti al personale togato dell’amministrazione convenuta, ormai in quiescenza, instano per il riconoscimento del loro diritto (e la condanna generica della Amministrazione) al pagamento dei compensi professionali (da liquidarsi in separato giudizio) maturati per effetto dei giudizi conclusisi con sentenza favorevole all’ente depositata prima del 25 giugno 2014 cioè prima del D.L. 90/2014 (recante riforma della materia degli onorari dell’Avvocatura dello Stato e delle Avvocature degli Enti Pubblici) e passata in giudicato, in relazione alle ipotesi di integrale compensazione delle spese di lite, compensi che asseriscono dovuti senza applicazione dei limiti, quello retributivo individuale e quello finanziario relativo allo stanziamento del fondo pari a quello del 2013, introdotti solo a partire dall’entrata in vigore del menzionato D.L. n. 90/2014; altresì, dei compensi maturati in relazione all’attività svolta fino alla collocazione in quiescenza, ex art. 7 del Regolamento della Città Metropolitana di Napoli approvato con delibera sindacale n. 77 del 5.5.2017, con conseguente ricostruzione previdenziale e del trattamento pensionistico.  A ben vedere, alcuna indicazione è contenuta in ricorso in ordine alla esatta individuazione dei procedimenti giudiziali ovvero delle sentenze cui si riferiscono gli invocati compensi, genericamente individuati con riferimento a quelli maturati “a seguito di sentenza favorevole all’ente depositata prima del 25 giugno 2014 e passata in giudicato, con la quale siano state integralmente compensate le spese di lite” ovvero a quelli conseguenti “alla attività svolta fino al collocamento in quiescenza” (evento questo neppure individuato temporalmente); né alcuna descrizione o semplice indicazione è offerta in ordine alla attività professionale effettivamente svolta, ovvero all’epoca, ai contenuti e alla provenienza della stessa (Quale attività? Quando si è svolta? Chi l’ha svolta?).
Nei termini sopra illustrati, la prospettazione offerta dalla parte attrice con l’atto introduttivo, del tutto generica e a tratti confusionaria (in alcuni passaggi del ricorso il riferimento è agli “ulteriori compensi dovuti” cfr. pag. 4 punto 9; in più punti, è richiamato il criterio sancito dalla nota protocollo n. 127211 del 19.11.2020, quale accordo condiviso contenente previsione di divisione dei compensi in parti uguali tra tutti gli aventi diritto) non consente neppure di comprendere se i ricorrenti abbiano inteso far valere il loro diritto al pagamento dei corrispettivi di cui si discute per l’intero, in quanto compensi maturati per effetto della attività personalmente svolta in qualità di avvocati dell’Ente e mai erogati; oppure se la pretesa azionata riguardi solo una supposta differenza di compenso, da calcolarsi rispetto a quanto già ricevuto per l’attività in questione (circostanza tuttavia non dedotta in ricorso), per effetto della applicazione della normativa richiamata; ancora diversamente, se attenga ad una quota di compensi variabile da distribuirsi tra tutto il personale appartenente all’Area della Avvocatura costituita dell’ente.
Tali difetti di allegazione sono ridondati nella inutilità delle richieste istruttorie formulate dalla parte attorea, non essendovi istanze di confronto volte a lumeggiare gli aspetti fattuali della res controversa utili (recte indispensabili) alla decisione, così rimanendo impedito al giudicante qualsivoglia indagine in ordine agli elementi di fatto posti a fondamento della pretesa azionata quindi in relazione alla correttezza e legittimità dei crediti reclamati.
Né a tali difetti di allegazione, coinvolgenti elementi funzionali alla identificazione del thema probandum, poteva supplire il giudicante attraverso l’esame della documentazione versata in atti.
Invero, nel rito del lavoro, “il potere del giudice di interpretare la domanda, funzionale all’identificazione dell’oggetto della stessa in caso di incompletezza degli elementi indicati dall’art. 414 cod. proc. civ., non si estende agli atti allegati dalla parte al ricorso e, in questo, solo genericamente richiamati (Cass. sez. lav., 29
ottobre 2013 n. 24346). Ciò in quanto alle prove precostituite allegate e quelle
costituende di cui si richiede l’ammissione “deve assegnarsi solo la funzione probaria di attestare la veridicità degli assunti riportati nell’atto introduttivo della lite e di mostrarne la fondatezza”.
Di contro, va considerato che, con la documentazione allegata alla memoria difensiva, la Città Metropolitana di Napoli ha offerto prova in ordine alla asserita puntuale liquidazione di tutti gli importi dovuti in relazione a sentenze vittoriose con compensazione delle spese, anche per il periodo anteriore al D.L. 90/2014, secondo la misura indicata nelle parcelle depositate dagli Avvocati dell’ente. Tanto emerge in particolare dai/dalle: -Determine nn. 8959 del 29/12/2014, 9484 del 15/11/2013, 8368 del 10/09/2012, 8825 del 25/08/2011, 13755 del 30/12/2011 (con relativi impegni di spesa, indicazione del capitolo di bilancio e mastro contabile, cfr. All.1,3,5,7,9 prod. res.in atti);-Mandati di pagamento n. 321 del 26.1.2015, n. 13240 del 11.12.2013, n. 13575 del 25.9.2012, n. 167 del 24.1.2012 (allegati in calce alle anzidette determine); -Statini paga degli Avv.ti (omissis) del gennaio 2015, relativi esclusivamente al rimborso delle spese ex art. 37 CCNL per sentenze
vittoriose con compensazione, a fronte del mandato di pagamento n. 167/2015 emesso sulla base dell’impegno di spesa di cui alla Determina n. 8959 del 29.12.2014, il quale a sua volta (cfr. All. 1 bis e 1 ter in atti).
In conclusione, consegue a tutto quanto esposto che non avendo la parte, a tanto onerata, provveduto ad allegare, prima ancora che a dimostrare, i fatti costitutivi del diritto di credito azionato, in applicazione della regola formale di giudizio dettata dall’art. 2967 c.c., la domanda deve essere respinta. Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo ai sensi del DM n. 55/2014.
… Omissis…

1. Il commento

Il presente commento vuole approfondire la vicenda trattata in sentenza e che riguarda il contenzioso sviluppatosi tra la Città Metropolitana di Napoli e alcuni professionisti appartenenti all’area avvocatura dell’Ente.
Nello specifico, i ricorrenti chiedevano il solo accertamento del diritto alla percezione della parte variabile retributiva del loro compenso, anche per le spese giudiziali compensate, senza nulla specificare sulla esatta quantificazione dello stesso. Inoltre, il ricorso recava espresso riferimento ai compensi maturati ante D.l. 90/2014, con cui veniva definitivamente posto un tetto massimo ai compensi erogabili ai singoli professionisti, limitandoli entro lo stanziamento dell’anno precedente.
1.      Al fine di chiarificare il perimetro della vicenda giuridica commentata, occorre ripercorrere le tappe fondamentali che hanno condotto alla decisione in esame, seppur sommariamente.
Con ricorso depositato in data 16.08.2021 due professionisti in quiescenza, ex avvocati interni della Città Metropolitana di Napoli (entrambi precedentemente inquadrati in ruoli dirigenziali) adivano il locale Giudice del lavoro per chiedere di “Accertare e dichiarare il diritto dei ricorrenti al pagamento dei compensi professionali loro dovuti in qualità di personale togato dell’Amministrazione convenuta a seguito di sentenza favorevole all’ente depositata prima del 25 Giugno 2014 e passata in giudicato, con la quale siano state integralmente compensate le spese di lite, senza alcun limite retributivo individuale e finanziario relativo allo stanziamento del fondo pari a quello del 2013 (introdotto solo a partire dall’entrata in vigore del D.L. n. 90/2014) atteso anche l’accordo condiviso raggiunto tra tutti i componenti dell’ufficio Avvocatura per la ripartizione dei compensi in parti uguali, condannare l’amministrazione convenuta al pagamento degli ulteriori compensi professionali dovuti agli avv.ti […] da quantificarsi in separato giudizio” Inoltre “Accertare e dichiarare il diritto dei ricorrenti al pagamento dei compensi professionali loro dovuti in relazione all’attività svolta fino alla collocazione in quiescenza [… e] per l’effetto accertare altresì il diritto degli istanti alla ricostruzione della posizione previdenziale [..] in ragione delle somme dovute a titolo di compensi professionali e che saranno quantificate in separato giudizio.”
La parte ricorrente ha dunque invocato l’inapplicabilità dei limiti contabili imposti dall’art. 9 co 6 e 7 del D.l. 90/2014 che ha stabilito un tetto massimo ai compensi, limite agganciato allo stanziamento previsto per l’anno 2013.
Nella pratica, instaurando il ricorso, la parte attrice richiedeva la generica declaratoria del diritto di credito preteso, riservando la sua esatta quantificazione ad un separato giudizio, tuttavia lamentando il mancato pagamento da parte dell’Ente degli ulteriori compensi dovuti prima del 25 Luglio 2014, relativi a provvedimenti passati in giudicato prima dell’entrata in vigore del citato D.l. sul tetto contabile.
I ricorrenti deducevano inoltre che, nonostante le ripetute messe in mora all’Amministrazione, non si fosse ancora addivenuto ad un provvedimento liquidativo.
A questo proposito, veniva richiamata una determina a firma dell’Avvocato Capo dell’Ente, con cui si sarebbe disposto che, ai fini della liquidazione dei compensi in parola, occorresse raggiungere un accordo condiviso tra tutte le professionalità interne.
Il raggiungimento di tale accordo sarebbe stato individuato nella sottoscrizione di una nota successiva, a firma dell’Avvocatura interna, a fronte del quale l’Ente Metropolitano avrebbe continuato a serbare inerzia.
La parte resistente eccepiva, invece, l’inammissibilità della domanda formulata, poiché generica e relativa al mero accertamento del diritto e dunque, al solo an dello stesso.
La difesa dell’Ente specificava come l’inammissibilità del ricorso fosse determinata, più in dettaglio, dalla carenza dei requisiti previsti dall’art. 414 n. 3 – 4 – 5 cod. proc. civ., alla luce della riserva d’istaurazione di un successivo giudizio per la determinazione esatta dei compensi indicati nel ricorso attoreo.
Il Giudice rigettava il ricorso condannando al pagamento delle spese e accogliendo, di fatto, la tesi della parte resistente, propendendo per l’esistenza di un difetto di allegazione.
2.     Difatti, il Giudicante afferma in sentenza che “la parte ricorrente [non ha] adeguatamente adempiuto all’onere allegatorio, prima ancora che probatorio, posto a suo carico. […] le deduzioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio risultano fortemente deficitarie quanto alla prospettazione degli elementi di fatto indispensabili per la esatta individuazione dei diritti di credito azionati. […] alcuna indicazione è contenuta in ricorso in ordine alla esatta individuazione dei procedimenti giudiziali ovvero delle sentenze cui si riferiscono gli invocati compensi […] né alcuna descrizione o semplice indicazione è offerta in ordine alla attività professionale effettivamente svolta.” E, dopo aver affermato le due massime riportate, continua asserendo come “Di contro, va considerato che, con la documentazione allegata alla memoria difensiva, la Città metropolitana di Napoli ha offerto prova in ordine alla asserita e puntuale liquidazione di tutti gli importi dovuti […]”. 
Più in generale, attraverso l’affermazione delle due massime di seguito integralmente riportate si è precisata la contingenza del disposto codicistico anche in subiecta materia.
Il Giudicante osserva che “Tali difetti d’allegazione sono ridondanti nella inutilità delle richieste istruttorie formulate dalla parte attorea, non essendovi istanze di confronto volte a lumeggiare gli aspetti fattuali della res controversa utili (recte indispensabili) alla decisione, così rimanendo impedito al giudicante qualsivoglia indagine in ordine agli elementi di fatto posti a fondamento della pretesa azionata quindi in relazione alla correttezza e alla legittimità dei crediti reclamati”. Ancora, nel successivo e parimenti rilevante passo si afferma “Né a tali difetti di allegazione, coinvolgenti elementi funzionali alla indentificazione del thema probandum, poteva supplire il giudicante attraverso l’esame della documentazione versata in atti. Invero, nel rito del lavoro “il potere del giudicante di interpretare la domanda funzionale all’identificazione dell’oggetto della stessa in caso di incompletezza degli elementi indicati dall’art. 414 cod. proc. civ., non si estende agli atti allegati dalla parte al ricorso e, in questo, solo genericamente richiamati (Cass. sez. lav. 29 Ottobre 2013 n. 24346. Ciò in quanto alle prove precostituite e allegate e quelle costituende di cui si chiede l’ammissione “deve assegnarsi solo la funzione probatoria di attestare la veridicità degli assunti riportati nell’atto introduttivo della lite e di mostrarne la fondatezza”.
A questo proposito, il Giudicante riconosce il necessario requisito di determinatezza e puntualità del petitum, anche nel rito del lavoro, e dunque, l’efficacia della previsione codicistica come norma fondamentale a prescindere dal tipo di rito istaurato.
Difatti, tale circostanza, nel modo chiarito in sentenza, rappresenta un limite al noto potere, riconosciuto al giudicante, “di interpretare la domanda funzionale all’indentificazione dell’oggetto oggetto della stessa in caso di incompletezza degli elementi indicati dall’art. 414c.p.c”., non potendosi estendere tale potere agli atti allegati al ricorso, quando solo genericamente richiamati.
Non è un caso che, nel corso del suo percorso argomentativo, il Giudice abbia evocato l’impossibilità di determinare un chiaro perimetro di probazione, stante la mancanza delle allegazioni svolte nell’atto introduttivo.  
La decisione giurisdizionale, allora, nei termini dell’accertamento di un dritto di credito, anche lavorativo, diventa possibile unicamente a fronte di una domanda completa, che consenta di apprezzare concretamente il combinato disposto delle allegazioni prodotte dall’attore e dalla parte convenuta.
Ancora, il problema relativo alla determinatezza del petitum, nel caso in esame, risulta essere influente anche sulle finalità proprie della causa petendi. Invero, nella fattispecie, la circostanza per cui il ricorso non recasse alcuna voce specifica o prestazione determinata per cui si agiva in giudizio, frustrava, di fatto, la richiesta di provvedimento che concretamente si richiedeva al giudice di emettere.
Da questo punto di vista, la precisazione della causa petendi (intendendo con questa espressione l’esatta allegazione dei fatti costitutivi del diritto autoindividuato alla base dell’azione) è necessario presupposto del provvedimento richiesto al giudice attraverso il petitum.
Ancora, il problema relativo alla determinatezza del petitum e la sua non possibile interpretazione nei casi in cui l’atto risulti in difetto degli elementi di cui all’art. 414 c.p.c., era stata tempo addietro affrontato in una pronuncia del Tribunale di Bologna.
Nella fattispecie, il Giudice bolognese aveva affrontato la questione in maniera pregevole, ancor prima della pronuncia della Suprema Corte di Cassazione richiamata in sentenza.
Difatti, con provvedimento  emesso il 10.09.2012 il Tribunale di Bologna, sez. lavoro, in una vicenda in parte simile al caso commentato, aveva osservato che “[…] Non può convertirsi in richiesta di condanna generica una domanda formulata, come in epigrafe testualmente ritrascritta, in via principale e in via subordinata come di diretta condanna della Regione al pagamento delle differenze retributive dovute, accertate nell’un caso su base normativa e nell’altro su base equitativa, mediante l’equivoca addizione (interposta fra la principale e la subordinata) di una clausola di mera ed eventuale riserva così congegnata: “con riserva espressa di agire in separato giudizio, in caso sia necessario quantificare esattamente le somme dovute”. Tale formulazione alternativa, posta in correlazione con la narrativa del ricorso, determina l’indeterminatezza e l’equivocità del petitum e non può far velo all’assoluto difetto di prova in ordine ai parametri liquidativi, di cui la parte è onerata anche in relazione all’istanza di liquidazione equitativa”.
Il Giudice sostanzialmente affermò quanto, con un percorso argomentativo solo lievemente differente, è stato statuito dalla recente pronuncia del Tribunale di Napoli.
Dunque, parrebbe confermata la necessità per cui, anche nel rito del lavoro, l’edictio actionis debba essere formulata in modo idoneo a consentire il dispiegamento di un contradditorio completo, finalizzato a supportare la decisione giurisdizionale in termini cognitivi.
Non di meno, bisogna considerare ancora come, alla luce di tali pronunce, possa essere dedotto un ulteriore e rilevante principio: la cognizione del Giudice, determinata dall’attività di allegazione e probazione effettuata dalle parti, deve essere garantita in termini effettivi, non essendo contemplabili (finanche in ambito giuslavoristico) più ampi poteri ufficiosi del Giudice – rispetto a quelli già riconosciuti -, in relazione ad oneri d’allegazione inottemperanti.
In definitiva, la pronuncia esaminata oltre ad affermare importanti principi sul tema dell’allegazione, parrebbe anche costituire un valido precedente idoneo a tutelare le Amministrazioni dalla possibilità che, riconoscendo giudizialmente l’esistenza di diritti di credito inerenti a compensi ante D.l. 90/2014 (almeno in situazioni affini), possano realizzarsi pericolosi debiti fuori bilancio, dando la stura a perniciosi effetti di natura finanziaria.

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Andrea Eugenio Chiappetta

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