Legittimo licenziamento a chi fa allusioni sessuali: sentenza Cassazione 

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Le allusioni a sfondo sessuale alla collega giustificano il licenziamento.
Lo ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 23295/2023, nella quale viene precisato che il “clima goliardico” non rappresenta una giustificazione al comportamento.

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Corte di Cassazione -Sez. L.- Sentenza n. 23295 del 31-07-2023

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Indice

1. Il reato di molestie sessuali


La denominazione molestie sessuali indica dei comportamenti lesivi e molesti rivolti alla sfera sessuale.
Ci sono diverse definizioni secondo i quadri normativi degli ordinamenti giuridici nazionali.
Da un punto di vista normativo le molestie sessuali sul posto di lavoro sono considerate un atto discriminatorio.
Dalla fine degli anni ottanta anche l’Unione Europea si è più volte occupata della questione.
La più recente direttiva è la 2006/54/CE, nella quale si afferma che:
“Le molestie e le molestie sessuali sono contrarie al principio della parità di trattamento fra uomini e donne e costituiscono forme di discriminazione fondate sul sesso ai fini della presente direttiva. Queste forme di discriminazione dovrebbero pertanto essere vietate e soggette a sanzioni efficaci proporzionate e dissuasive”.
In Italia attualmente il reato di molestie sessuali si configura nel quadro della contravvenzione di molestie sanzionata all’articolo 660 del codice penale, rubricato “molestie o disturbo alle persone” che recita:
Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito, a querela della persona offesa, con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda sino a euro 516.
Si procede tuttavia d’ufficio quando il fatto è commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità.
La sopra menzionata contravvenzione si ritiene configurabile in presenza di espressioni verbali a sfondo sessuale o di atti di corteggiamento, invasivi e insistiti, diversi dall’abuso sessuale.
Se le molestie dovessero comportare un contatto fisico, anche fugace, o limitino la libertà sessuale della vittima, si configura il reato di violenza sessuale, disciplinato dagli articoli 609 bis e seguenti del codice penale.
La giurisprudenza qualifica come violenza sessuale (art.609 bis c.p.) e non come molestie (art.660 c.p.), i toccamenti o palpeggiamenti delle natiche anche se sopra i vestiti e con finalità molesta e non di libidine.
Di conseguenza, integra il reato di violenza sessuale e non quello di molestie la condotta di chi, per soddisfare o eccitare il proprio istinto sessuale, attraverso comunicazioni telematiche che non comportino contatto fisico con la vittima, inducendo la stessa al compimento di atti che coinvolgano la corporeità sessuale e siano idonei a violarne la libertà personale e non la mera tranquillità.  

2. I fatti in causa


Ritornando alla vicenda in questione, la sentenza della Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che le allusioni a sfondo sessuale giustificano il licenziamento disciplinare del lavoratore anche se avvengono in un clima goliardico.
Come riporta l’Agenzia di Stampa AGI, i Supremi Giudici hanno confermato quello che era stato deciso in precedenza dal Tribunale di Arezzo prima e dalla Corte d’Appello di Firenze poi, che avevano individuato una giusta causa di licenziamento nel comportamento di un uomo, denunciato sia dalla collega che dalla società, per allusioni verbali e fisiche a sfondo sessuale nei confronti della giovane da poco assunta con contratto a termine e assegnata a mansioni di barista.


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3. Il ricorso del lavoratore


Il lavoratore nel ricorso aveva sostenuto l’inattendibilità della collega perché il Giudice per le Indagini preliminari (GIP) aveva archiviato una sua denuncia di violenze sessuali e stalking.
Secondo la Cassazione il reato di stalking era estraneo ai fatti per i quali lo stesso era stato licenziato, e l’archiviazione della violenza era dovuta alla querela tardiva e non a ragionamenti nel merito.
Nel secondo motivo del ricorso, il legale dell’uomo aveva invocato l”inidoneità” delle allusioni a ledere la dignità.
La Corte di Cassazione ha affermato che la Corte d’Appello si è mossa correttamente nell’ambito  della definizione di molestie sancita dalla legge.
Come si legge nella sentenza, ha considerato le molestie come
“quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”, anche se non sfociano in aggressioni fisiche. 

4. Le decisioni della Suprema Corte di Cassazione


La Suprema Corte di Cassazione ha rilevato che
il reato di stalking era estraneo ai fatti di causa e alle ragioni del licenziamento e dunque non rilevante l’esito del procedimento penale rispetto al recesso datoriale”.
La Cassazione ha successivamente evidenziato come il giudice del gravame
ha valutato che il carattere indesiderato della condotta, pur senza che ad essa conseguano effettive aggressioni fisiche a contenuto sessuale, risulti integrativo del concetto e della nozione di molestia, essendo questa e la conseguente tutela accordata, fondata sulla oggettività del comportamento tenuto e dell’effetto prodotto, con assenza di rilievo della effettiva volontà di recare una offesa”.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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