I poteri del datore di lavoro sul lavoratore

Giuseppa Bruno 29/04/24
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Approfondimenti sui poteri del datore di lavoro sul lavoratore.

Per approfondimenti si consiglia il seguente volume il quale analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni): Il lavoro subordinato

Indice

1. Introduzione: i poteri del datore di lavoro

Il rapporto di lavoro subordinato è caratterizzato da uno squilibrio tra le parti protagoniste: datore di lavoro e lavoratore.
La caratteristica propria della subordinazione è, di fatto, rinvenibile nelle opposte posizioni in cui si trovano lavoratore e datore di lavoro: il primo assoggettato alle direttive del datore; il secondo titolare di una serie di poteri di cui si avvale a beneficio dell’impresa e che esercita in maniera discrezionale. Poteri il cui esercizio incide sulla sfera giuridica del lavoratore [1].
Anche la Corte di Cassazione si è espressa sul tema e ha affermato nella sentenza del 2 maggio 2012 n. 6643 che “ai fini della distinzione del rapporto di lavoro subordinato da quello autonomo, costituisce requisito fondamentale il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall’emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative[2].
I poteri del datore di lavoro – una combinazione tra diritti e facoltà – sono, infatti, storicamente individuati nel potere direttivo, nel potere di controllo e nel potere disciplinare.
Rispetto al potere direttivo, il potere di controllo e il potere disciplinare assolvono una funzione secondaria, rappresentando solo un effetto del potere direttivo.
La legittimità del potere datoriale trova fondamento nell’art. 41 della Costituzione secondo cui la libertà di iniziativa economica privata trova gli unici limiti nella sua stessa utilità sociale e nella tutela della sicurezza, libertà e dignità umana [3].
Altri riferimenti normativi vanno ricercati nel Codice Civile: l’art. 2086, al comma 1, afferma che “l’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori”. 
Ancora, l’articolo 2094 c.c. dà la nozione di prestatore di lavoro: è prestatore di lavoro subordinato colui che presta il proprio lavoro “alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.
Dalla lettura di questi articoli ne derivano i connotati dei poteri datoriali. Si tratta di concetti inequivocabili, dai quali discende e si evince l’essenza del potere direttivo riconosciuto all’imprenditore.
Per approfondimenti si consiglia il seguente volume il quale analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni):

FORMATO CARTACEO

Il lavoro subordinato

Il volume analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni). L’opera è stata realizzata pensando al direttore del personale, al consulente del lavoro, all’avvocato e al giudice che si trovano all’inizio della loro vita professionale o che si avvicinano alla materia per ragioni professionali provenendo da altri ambiti, ma ha l’ambizione di essere utile anche all’esperto, offrendo una sistematica esposizione dello stato dell’arte in merito alle tante questioni che si incontrano nelle aule del Tribunale del lavoro e nella vita professionale di ogni giorno. L’opera si colloca nell’ambito di una collana nella quale, oltre all’opera dedicata alla cessazione del rapporto di lavoro (a cura di C. Colosimo), sono già apparsi i volumi che seguono: Il processo del lavoro (a cura di D. Paliaga); Lavoro e crisi d’impresa (di M. Belviso); Il Lavoro pubblico (a cura di A. Boscati); Diritto sindacale (a cura di G. Perone e M.C. Cataudella). Vincenzo FerranteUniversità Cattolica di Milano, direttore del Master in Consulenza del lavoro e direzione del personale (MUCL);Mirko AltimariUniversità Cattolica di Milano;Silvia BertoccoUniversità di Padova;Laura CalafàUniversità di Verona;Matteo CortiUniversità Cattolica di Milano;Ombretta DessìUniversità di Cagliari;Maria Giovanna GrecoUniversità di Parma;Francesca MalzaniUniversità di Brescia;Marco NovellaUniversità di Genova;Fabio PantanoUniversità di Parma;Roberto PettinelliUniversità del Piemonte orientale;Flavio Vincenzo PonteUniversità della Calabria;Fabio RavelliUniversità di Brescia;Nicolò RossiAvvocato in Novara;Alessandra SartoriUniversità degli studi di Milano;Claudio SerraAvvocato in Torino.

A cura di Vincenzo Ferrante | Maggioli Editore 2023

2. Il potere direttivo

Il potere direttivo prevede l’assoggettamento, del lavoratore, alla direzione del datore di lavoro e dei suoi collaboratori, che attraverso tale potere specificano l’oggetto dell’obbligazione lavorativa, stabilendo modi e tempi di come questa debba essere adempiuta [4].
Riguardo l’aspetto normativo, il punto di partenza è sempre il codice civile: l’articolo 2104 [5], al comma 2, circoscrive il contenuto di tale potere. L’essenza del potere direttivo si può rintracciare nel fissare modalità, contenuto e tempi di esecuzione dell’attività lavorativa.
Il prestatore di lavoro – afferma l’art. 2104 – “deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende[6].
Quindi il lavoratore è obbligato (“deve[7]) a rispettare le direttive impartitegli dal datore o dai suoi collaboratori. Tuttavia, questo potere direttivo non è esente da limiti: il lavoratore dovrà osservare le direttive nei limiti in cui queste siano strettamente necessarie all’esecuzione del rapporto lavorativo.
L’art. 2103 comma 2 c.c., invece, disciplina il c.d. ius variandi: ossia rientra tra i poteri del datore di lavoro anche quello di modificare unilateralmente le mansioni del lavoratore, assegnandolo a mansioni di livello inferiore “in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali”.
In definitiva il datore di lavoro, in forza del suo potere direttivo, “programma, organizza e dirige l’apparato in cui s’inserisce il debitore con la sua attività e, sovente, con la sua persona[8].

3. Il potere di controllo

Il potere di controllo – detto anche di vigilanza o ispettivo – è quel potere riconosciuto al datore di lavoro che gli permette di verificare che il lavoratore abbia effettivamente dato esecuzione alle direttive che gli sono state impartite. Da ciò si comprende, dunque, che il potere di controllo è strettamente connesso al potere direttivo, tanto da potersi considerare l’uno la conseguenza logica dell’altro [9]. Il potere direttivo, infatti, non avrebbe “forza” senza che il potere del datore di lavoro acquisisse quella sfumatura di controllo che gli permette di vigilare sul rispetto delle disposizioni date al lavoratore e, di conseguenza, di sanzionare il lavoratore in caso di inadempienza.
È essenziale, dunque, anche che il datore di lavoro possa verificare che le regolamentazioni aziendali siano rispettate e che la proprietà aziendale sia tutelata da azioni di diversa natura [10]. Il potere di controllo deve essere, in particolare, funzionale all’interesse dell’impresa ad un corretto utilizzo degli strumenti e delle risorse aziendali ai fini produttivi e, in definitiva, al buon andamento dell’attività aziendale [11].
Il potere di controllo è fortemente limitato dal rispetto della dignità e della riservatezza del lavoratore, dai principi di buona fede e correttezza, dal divieto di trattamenti discriminatori, dall’obbligo di assicurare la sicurezza sul luogo di lavoro.
E ciò si evince dal Titolo I dello Statuto dei Lavoratori, denominato “Della libertà e dignità del lavoratore”: l’art. 1, riprendendo il disposto costituzionale contenuto all’art. 21 [12], tutela la libera manifestazione del pensiero dei lavoratori nei luoghi di lavoro, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali o religiose.
Al fine di garantire l’effettiva tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore, lo Statuto dei Lavoratori del 1970 è intervenuto fissando i divieti che il datore di lavoro deve rispettare nell’esercizio dei suoi poteri: lo Statuto, infatti, all’art. 2 vieta l’utilizzo di guardie giurate per il controllo dell’attività lavorativa dei sottoposti [13].
All’art. 4 vieta l’utilizzo di “impianti audiovisivi e di altri strumenti” diretti a controllare l’attività lavorativa: per la prima volta l’ordinamento disciplina espressamente, attraverso l’art. 4, il potere del datore di lavoro di controllare a distanza l’attività lavorativa, mediante impianti audiovisivi o altre attrezzature che possono essere utilizzate solo se assolutamente necessari per l’organizzazione e la produzione, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale.
L’art. 6, rubricato “divieto di indagini sulle opinioni”, fa divieto di effettuare visite personali di controllo sul lavoratore, salvi i casi in cui siano indispensabili per la tutela del patrimonio aziendale. In ogni caso le visite personali potranno essere effettuate a condizione che si salvaguardai la dignità e la riservatezza del lavoratore e che avvengano con l’applicazione di sistemi di selezione automatica riferiti alla collettività o a gruppi di lavoratori [14].
All’art. 8 lo Statuto vieta al datore di lavoro di “effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore”.
Del potere di controllo, tuttavia, non è possibile ricercarne la disciplina nel codice civile, nonostante il codice.

4. Il potere disciplinare

Il potere disciplinare è quel potere del datore di lavoro di assicurare “il rispetto dell’organizzazione gerarchica dell’impresa, riaffermando l’autorità dello stesso di imporre “pene” private nei confronti del lavoratore quando quest’ultimo ponga in essere comportamenti costituenti violazioni degli obblighi legali o contrattuali” [15].
È, dunque, il potere del datore che punisce l’inosservanza degli
obblighi di diligenza e di obbedienza (previsti all’art. 2104 c.c.) e di fedeltà (previsto dall’art. 2105 c.c.).
Il potere disciplinare si manifesta sia quando le direttive datoriali vengono ignorate, sia quando il lavoratore tiene condotte difformi agli obblighi previsti dal contratto o dalla legge; in questi casi il datore provvederà ad irrogare – in accordo con il suo potere sanzionatorio – provvedimenti disciplinari nei confronti del lavoratore inadempiente.
Come affermato da autorevole dottrina, il potere direttivo e quello sanzionatorio sono strettamente collegati, essendo la sanzione il riflesso della subordinazione in relazione all’inadempimento [16].
Il potere disciplinare è nato con la rivoluzione industriale e veniva esercitato in maniera assolutamente arbitraria, senza alcun limite. La cui fonte, di certo, non risiedeva nella legge.
La prima fonte di questo potere datoriale si ha nel periodo fascista, quando il 21 aprile 1927 il Gran Consiglio Fascista approva la Carta del Lavoro in cui, all’art. XIX, afferma che “le infrazioni alla disciplina e gli atti che perturbino il normale andamento dell’azienda, commessi dai prenditori di lavoro, sono puniti, secondo la gravità della mancanza, con la multa, con la sospensione del lavoro e, per i casi più gravi, col licenziamento immediato senza indennità”. Al secondo comma si specifica che “saranno specificati i casi in cui l’imprenditore può infliggere la multa o la sospensione o il licenziamento immediato senza indennità”.
In realtà, non è dato rinvenire né la sede, né tantomeno la forma.
Con riferimento al contesto normativo di tale potere si può affermare che, pur mancando nelle fonti del diritto una specifica definizione del potere disciplinare, il codice prevede tre articoli – gli artt. 2104, 2105 e 2106 – concernenti rispettivamente la diligenza del prestatore di lavoro, l’obbligo di fedeltà e, per ultimo, le sanzioni disciplinari.
L’art. 2106 afferma che l’inosservanza, da parte del lavoratore, della norma relativa agli obblighi di diligenza del prestatore di lavoro (art. 2104) e della norma che prevede l’obbligo di fedeltà del lavoratore (art. 2105) può sfociare nell’adozione di sanzioni disciplinari, modulati sulla gravità e serietà della violazione.
L’obbligo di diligenza – disciplinato all’art. 2104 comma 1 c.c. – impone al lavoratore di usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello della produzione nazionale [17].
L’obbligo di fedeltà – a norma dell’art. 2105 c.c. – consiste nel vietare al lavoratore di trattare affari, anche per conto di terzi, “in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”.
L’applicazione del potere disciplinare consente al datore di lavoro di sanzionare l’inosservanza degli obblighi predetti, mantenendo intatto il rapporto di lavoro preesistente.
L’art. 2106 c.c. pone, come limite al potere disciplinare, la necessaria proporzionalità tra sanzione e infrazione: non può essere esercitato in maniera legittima quel potere disciplinare che commina una sanzione eccessiva rispetto alla gravità della violazione che si contesta al lavoratore. La violazione deve, inoltre, essere accertata, non essendo sufficiente il semplice sospetto dell’infrazione e il soggetto deve essere determinato, non potendosi punire tutti i lavoratori per i fatti del singolo.  
Ma è con l’adozione dello Statuto dei Lavoratori e l’introduzione dell’art. 7 – rubricato “sanzioni disciplinari” –  che il Legislatore si occupa in maniera esaustiva ed innovativa dell’esercizio datoriale, disciplinando le fasi del procedimento disciplinare che deve essere osservato dal datore di lavoro.
Questa procedimentalizzazione dell’iter disciplinare è stato un tentativo di diminuire lo squilibrio tra la posizione del datore di lavoro e quella del lavoratore, tenendo conto da un lato della dignità del lavoratore, dall’altro ancorando l’esercizio dei poteri datoriali al principio di proporzionalità e coinvolgendo le rappresentanze sindacali laddove previsto.
L’art. 7 afferma che “le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano”.
Queste “norme disciplinari” che devono essere portate a conoscenza del lavoratore “mediante affissione in luogo accessibile”, non sono altro che il c.d. codice disciplinare: un insieme di regole di condotta, di regolamentazione interna all’azienda, che ogni azienda deve obbligatoriamente adottare e applicare per l’esercizio del potere disciplinare. Il codice disciplinare varia in base al tipo di azienda, nonché tra i reparti della stessa azienda; tiene conto delle necessità aziendali, ma le sanzioni alle infrazioni dovranno essere commisurate a ciò che viene previsto nel contratto collettivo. Le sanzioni oscillano da un semplice rimprovero, sia esso verbale o scritto, alla multa e alla sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, fino ad approdare alla massima espressione del potere datoriale, ossia il licenziamento. Anche se – bisogna sottolineare – tali sanzioni non costituiscono un numero chiuso potendo esserne previste di nuove dalla contrattazione collettiva [18].
Nella sentenza S.U. del 30 Marzo 2007 n. 788017, la Suprema Corte ha affermato che discende dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori il principio del diritto al contraddittorio, che pone in capo al datore di lavoro l’obbligo giuridico di contestare preventivamente l’addebito al lavoratore e di permettergli di essere sentito a sua difesa prima di infliggere il provvedimento disciplinare, non potendo più irrogare immediatamente la sanzione disciplinare in conseguenza della violazione.
A norma del comma 6 dell’art. 7 il lavoratore ha la facoltà di promuovere la costituzione di un collegio di conciliazione e di arbitrato, entro venti giorni dalla comunicazione della sanzione. Il collegio è composto da tre membri: “un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell’ufficio del lavoro”. La sanzione resta sospesa fino alla definizione del lodo che può confermare o modificare la sanzione disciplinare.
Il comma 7 dell’art.7 si occupa, invece, delle alternative concesse al datore di lavoro: questi, infatti, deve procedere alla nomina di un proprio rappresentante in seno al collegio entro dieci giorni dall’invito rivoltogli dall’ufficio del lavoro, in mancanza di nomina, la sanzione disciplinare non avrà effetto.
Il datore di lavoro, però, ha anche la possibilità di adire direttamente l’autorità giudiziaria. Esattamente come nel caso della costituzione del collegio arbitrale, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio (comma 7).

Note

  1. [1]

    G. ZACCARDI, P. PASSALACQUA, Manuale di diritto del lavoro, sindacale e della previdenza sociale, 2021, p. 816.

  2. [2]

    Cass., 2 maggio 2012, n. 6643.

  3. [3]

    AA.VV., Manuale del praticante – consulente del lavoro, 2005, p. 62.

  4. [4]

    R. PESSI, Lezioni di diritto del lavoro, Torino, 2008, p. 260.

  5. [5]

    Art. 2104 comma 1 c.c.: “Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale”.

  6. [6]

    Nelle imprese con un maggior numero di lavoratori, il potere direttivo viene suddiviso tra il datore di lavoro e determinati collaboratori, che lo coadiuvano nell’organizzazione della prestazione lavorativa.

  7. [7]

    Art. 2104 c.2 c.c.

  8. [8]

    G. GHEZZI, U. ROMAGNOLI, Il rapporto di lavoro, Bologna, 1987.

  9. [9]

    Riguardo l’autonomia o meno di questo potere datoriale, secondo gran parte della dottrina il potere di controllo andrebbe considerato una componente naturale del potere direttivo, consentendo infatti al datore l’accertamento del rispetto delle disposizioni da lui impartite al lavoratore; cfr. a riguardo si veda E. BARRACO – A. STIZIA, Potere di controllo e privacy. Lavoro, riservatezza e nuove tecnologie, Milanofiori Assago (MI), 2016.

  10. [10]

    AA.VV., Manuale del praticante – consulente del lavoro, 2005, p. 63.

  11. [11]

    G. ZACCARDI, P. PASSALACQUA, Manuale di diritto del lavoro, sindacale e della previdenza sociale, 2021, p. 817.

  12. [12]

    Art. 21 della Costituzione: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.”

  13. [13]

    Art. 2 Statuto dei Lavoratori: “Il datore di lavoro può impiegare le guardie particolari giurate, di cui agli articoli 133 e seguenti del testo unico approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale”. Le guardie giurate non possono contestare ai lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale”.

  14. [14]

    Art. 6 Statuto dei Lavoratori: “In tali casi le visite personali potranno essere effettuate soltanto a condizione che siano eseguite all’uscita dei luoghi di lavoro, che siano salvaguardate la dignità e la riservatezza del lavoratore e che avvengano con l’applicazione di sistemi di selezione automatica riferiti alla collettività o a gruppi di lavoratori”.

  15. [15]

    AA.VV., Manuale del praticante – consulente del lavoro, 2005, p. 70 ss.

  16. [16]

    R. PESSI, Lezioni di diritto del lavoro, Torino, 2016.

  17. [17]

    Art. 2104 comma 2 c.c.: “Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”.

  18. [18]

    G. AMOROSO, Art. 7, in G. AMOROSO – V. DI CERBO – A. MARESCA, Diritto del lavoro, vol. II, Milano, 2009, p. 154.

Giuseppa Bruno

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