Recesso del datore di lavoro dal “patto di prova”: può essere illegittimo?

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Il cosiddetto “patto di prova” è una condizione che si appone a un contratto di lavoro con la quale nella fase iniziale del rapporto stesso, datore e prestatore di lavoro possono valutare in modo reciproco se conviene rendere definitivo lo stesso. Per approfondimenti su qualsiasi tema lavorativo consigliamo il volume Il lavoro subordinato -Rapporto contrattuale e tutela dei diritti

Indice

1. Che cos’è il “patto di prova”


Il patto di prova è disciplinato dall’articolo 2096 del codice civile e consiste in un accordo nel contratto tra datore di lavoro e lavoratore per un determinato periodo iniziale, con il quale gli stessi sono liberi in modo reciproco di stabilire se sia conveniente rendere definitivo il rapporto di lavoro.
Secondo l’articolo sopra menzionato, le caratteristiche essenziali del patto di prova sono:

  • La necessità di forma scritta (salvo che il CCNL non preveda in modo diverso)
  • L’obbligo per il datore di lavoro e per il lavoratore di consentire e di prestare la prova concordata (restano fermi gli obblighi di comportarsi secondo buona fede e correttezza ex artt. 1175 e 1375 c.c.)
  • La libertà per ognuna delle parti, durante il periodo di prova, di recedere dal contratto senza motivazione, indennità o preavviso, salvo che sia previsto un tempo minimo di prova. In questo caso il recesso non può essere esercitato prima della scadenza del termine.

Decorso per entrambe le parti il periodo di prova, l’assunzione del lavoratore diventa definitiva e il servizio prestato nel periodo in questione rileva ai fini dell’anzianità di servizio. Per approfondimenti su qualsiasi tema lavorativo consigliamo il volume Il lavoro subordinato -Rapporto contrattuale e tutela dei diritti

FORMATO CARTACEO

Il lavoro subordinato

Il volume analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni). L’opera è stata realizzata pensando al direttore del personale, al consulente del lavoro, all’avvocato e al giudice che si trovano all’inizio della loro vita professionale o che si avvicinano alla materia per ragioni professionali provenendo da altri ambiti, ma ha l’ambizione di essere utile anche all’esperto, offrendo una sistematica esposizione dello stato dell’arte in merito alle tante questioni che si incontrano nelle aule del Tribunale del lavoro e nella vita professionale di ogni giorno. L’opera si colloca nell’ambito di una collana nella quale, oltre all’opera dedicata alla cessazione del rapporto di lavoro (a cura di C. Colosimo), sono già apparsi i volumi che seguono: Il processo del lavoro (a cura di D. Paliaga); Lavoro e crisi d’impresa (di M. Belviso); Il Lavoro pubblico (a cura di A. Boscati); Diritto sindacale (a cura di G. Perone e M.C. Cataudella). Vincenzo FerranteUniversità Cattolica di Milano, direttore del Master in Consulenza del lavoro e direzione del personale (MUCL);Mirko AltimariUniversità Cattolica di Milano;Silvia BertoccoUniversità di Padova;Laura CalafàUniversità di Verona;Matteo CortiUniversità Cattolica di Milano;Ombretta DessìUniversità di Cagliari;Maria Giovanna GrecoUniversità di Parma;Francesca MalzaniUniversità di Brescia;Marco NovellaUniversità di Genova;Fabio PantanoUniversità di Parma;Roberto PettinelliUniversità del Piemonte orientale;Flavio Vincenzo PonteUniversità della Calabria;Fabio RavelliUniversità di Brescia;Nicolò RossiAvvocato in Novara;Alessandra SartoriUniversità degli studi di Milano;Claudio SerraAvvocato in Torino.

A cura di Vincenzo Ferrante | Maggioli Editore 2023

2. Come viene stipulato il “patto di prova”


Il patto di prova, salve ipotesi eccezionali previste dai CCNL, deve essere stipulato per iscritto a pena di nullità (art. 1350 n. 13 c.c.).
Deve essere stabilito al momento della stipulazione del contratto di lavoro, essendo illecito un patto di prova stipulato durante lo stesso, e deve contenere la manifestazione di volontà delle parti.
Ad esempio, non è sufficiente la previsione del periodo di prova nell’unica lettera di assunzione redatta e consegnata dal datore di lavoro, se il documento non sia firmato per ricevuta e accettazione dal lavoratore.
L’eventuale nullità del patto di prova ha come conseguenza, sin dall’inizio, il vincolo delle parti a un rapporto di lavoro stabile e definitivo e l’eventuale licenziamento per mancato superamento della prova risulterebbe illegittimo.
Nell’accordo che disciplina il patto di prova le parti devono indicare, sempre a pena di nullità, le mansioni per le quali lo stesso viene stipulato.
In mancanza di una dettagliata identificazione dei compiti oggetto di valutazione, al lavoratore verrebbe preclusa la possibilità di impegnarsi per dimostrare le sue attitudini professionali mentre il datore si vedrebbe privato della facoltà di esprimere una compiuta valutazione sull’attività svolta dal prestatore.
Essendo la causa del patto di prova la tutela dell’interesse di entrambe le parti a valutare la reciproca convenienza a stipulare un rapporto di lavoro definitivo, la mancanza di indicazione delle mansioni oggetto della prova renderebbe il patto stipulato non coerente.

3. La durata del “patto di prova”


Di solito la durata massima del periodo di prova è stabilita dai CCNL, nonostante un limite indiretto sia contenuto nell’articolo 10 L. n. 604/1966 che stabilisce la sua applicabilità ai rapporti iniziati da sei mesi.
In ipotesi molto particolari è la legge che stabilisce la durata massima del periodo di prova.
Ad esempio, nel rapporto di lavoro domestico da otto giorni a un mese a seconda dell’inquadramento (art. 5 L. n. 339/1958).
Le parti possono pattuire una durata massima del periodo di prova superiore a quella prevista dal relativo CCNL quando la particolare complessità e la particolarità delle mansioni affidate al lavoratore renda necessaria una valutazione più lunga.
L’eventuale proroga del periodo di prova è ritenuta legittima purché il periodo complessivo non superi i sei mesi e sia prevista al termine del primo periodo pattuito dalle parti.
La proroga è una “seconda possibilità” offerta dal datore di lavoro che abbia constato l’insufficienza della prima valutazione al lavoratore.

4. Il termine del “patto di prova”


Al termine del periodo di prova, se nessuna delle parti dovesse esprimere la volontà di recedere, la condizione apposta al contratto si ritiene automaticamente superata e lo stesso prosegue in via definitiva, senza provvedere a nessuna formalità.
In via alternativa ognuna delle parti può recedere dal rapporto di lavoro che non si consolida.
Ci sono delle ipotesi di illegittimità del recesso da parte del datore di lavoro e tra queste i casi nei quali:

  • Non abbia consentito al lavoratore di prestare la prova. Sono esempi il mancato rispetto del termine temporale pattuito oppure l’aver assegnato il lavoratore a mansioni diverse da quelle concordate (e al prestatore non è concesso tempo sufficiente o modo adeguato per dimostrare le proprie capacità).
  • La prova sia stata nel frattempo superata dal lavoratore.
  • Manchi una reale valutazione delle capacità professionali del lavoratore.
  •  Si possa ricollegare a motivo illecito (come può essere una ragione discriminatoria) o a mancanza di requisiti di idoneità che erano di sicuro accertabili prima dell’inizio del rapporto o per motivazioni estranee al contenuto del patto di prova.

Un’ipotesi particolare è quella relativa al licenziamento della lavoratrice madre.
Di solito illegittimo dall’inizio del periodo di gravidanza e sino a un anno di vita del figlio, è prevista un’eccezione al divieto nel caso di esito negativo della prova (art. 54 co. 3 D.Lgs. n. 151/2001).

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5. L’illegittimità del recesso del datore di lavoro dal “patto di prova”


Se il lavoratore dovesse reputare illegittimo il recesso del datore di lavoro al termine di un valido periodo di prova, quando il datore abbia fatto un distorto esercizio della discrezionalità che gli vengono riconosciute dall’articolo 2096 del codice civile, al prestatore è riconosciuto:

  • Il diritto alla prosecuzione della prova per il periodo mancante (dove possibile)
  • Il  diritto al risarcimento del danno, che potrà avere in oggetto sia la perdita economica che deriva dal rifiuto di altre occasioni di lavoro all’epoca dell’assunzione in prova (c.d. danno da perdita di chance) sia non avere percepito il reddito futuro (questa voce è spesso quantificata avendo come parametro il periodo medio di disoccupazione di un lavoratore equivalente).

Come ha affermato la giurisprudenza, la dichiarazione di illegittimità del recesso nel patto di prova non può comportare che il rapporto di lavoro si debba considerare come stabilmente costituito.
Incombe sul lavoratore che intenda contestare la scelta del datore di lavoro di interrompere il rapporto, l’onere della prova sul superamento della stessa, e il fatto che il recesso sia stato determinato da un motivo estraneo alla funzione del patto di prova.

Dott.ssa Concas Alessandra

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