Licenziamento del dirigente: giusta causa e giustificatezza

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“In tema di licenziamento del dirigente, la giusta causa, che esonera il datore di lavoro dall’obbligo di concedere il preavviso o di pagare l’indennità sostitutiva, non coincide con la giustificatezza, che esonera il datore di lavoro soltanto dall’obbligo di pagare l’indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva, in quanto la giusta causa consiste in un fatto che, valutato in concreto, determina una tale lesione del rapporto fiduciario da non consentire neppure la prosecuzione temporanea del rapporto”.
>>> Corte di Cassazione -sez. L- ordinanza n. 1099 del 16-01-2023 <<<

Indice

1. La vicenda

I giudici d’appello confermavano, con diversa motivazione, la pronuncia del Tribunale di accoglimento parziale della impugnativa del licenziamento, intimato per giusta causa dalla società Gamma nei confronti di Tizia, ex dirigente della società con qualifica di responsabile della Direzione Amministrazione, Personale e Organizzazione, con condanna della datrice di lavoro a corrispondere euro 87.741,42 per indennità sostitutiva del preavviso, euro 6.499,36 a titolo di integrazione del TFR, euro 182.794,63 per indennità supplementare ex CCNL Confindustria per i dirigenti di aziende produttrici di beni e servizi.
 In particolare, la Corte distrettuale rilevava che: doveva escludersi, alla luce delle risultanze istruttorie, che Tizia fosse consapevole delle divergenze dei dati e dell’anomala situazione del magazzino e che, ciononostante, avesse omesso di approfondire il problema e di avvertire il Consiglio di Amministrazione;
analogamente, doveva escludersi che la dirigente fosse venuta meno all’obbligo di controllare l’esattezza dei dati di bilancio.
Pertanto, secondo i giudici di secondo grado, il licenziamento doveva considerarsi illegittimo.

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2. La censura

La società Gamma (in liquidazione) proponeva ricorso in Cassazione lamentando, in particolare, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., in ordine agli artt. 2104 e 2095 c.c., ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per errata interpretazione del concetto di giusta causa in considerazione della mancata valutazione del ruolo di Responsabile della Direzione Amministrazione, Finanziaria, Controllo, Personale e organizzazione rivestito da Tizia e delle specifiche responsabilità che derivavano da detto ruolo.

3. La pronuncia della Suprema Corte

La Suprema Corte, nel ritenere il motivo inammissibile, enunciava il seguente principio: “In tema di licenziamento del dirigente, la giusta causa, che esonera il datore di lavoro dall’obbligo di concedere il preavviso o di pagare l’indennità sostitutiva, non coincide con la giustificatezza, che esonera il datore di lavoro soltanto dall’obbligo di pagare l’indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva, in quanto la giusta causa consiste in un fatto che, valutato in concreto, determina una tale lesione del rapporto
fiduciario da non consentire neppure la prosecuzione temporanea del rapporto”
.
Secondo i giudici di piazza Cavour, sebbene fosse prospettata nei termini di una violazione di legge, la censura mirava in realtà ad una rivalutazione del materiale probatorio, che era stato attentamente esaminato dai giudici del gravame, i quali avevano adeguatamente motivato in ordine all’assenza di giusta causa del licenziamento inflitto nei confronti di Tizia; per il Tribunale Supremo, piuttosto che alla contestazione del parametro
normativo della giusta causa, la censura tendeva ad una diversa ricostruzione della vicenda
.
Gli Ermellini evidenziavano che la sentenza oggetto d’impugnazione aveva argomentato in modo coerente sull’insussistenza di alcuna prova tale da determinare una responsabilità in capo a Tizia circa la consapevole attestazione di dati divergenti rispetto alla reale situazione del magazzino, il mancato approfondimento sulla questione e l’inosservanza del conseguente obbligo di avvertire il Consiglio di Amministrazione.
Pertanto, la Suprema Corte rigettava il ricorso.
 

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Avv. Giuseppina Maria Rosaria Sgrò

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