Licenziamento illegittimo: risarcimento con rapporto non interrotto

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“Riconosciuto illegittimo il licenziamento, va condannato il datore di lavoro a pagare il risarcimento in questione, pur nelle ipotesi in cui egli abbia scelto di non eseguire il licenziamento medesimo e di rinnovarlo per altra causale”.
Corte di Cassazione – Sezione Lavoro – Sentenza n. 38183 del 30-12-2022

Indice

1. La vicenda

I giudici d’appello respingevano il reclamo principale proposto da Tizio, nonché quello incidentale avanzato dalla società Alfa, avverso la decisione del Tribunale che, pronunziando sull’ordinanza emessa all’esito della fase sommaria, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato al lavoratore dalla società, rigettando le domande di reintegrazione e condanna al pagamento dell’indennità risarcitoria ex art. 18 L. n. 300 del 1970 proposte nei confronti della stessa società.
 La Corte territoriale riteneva altresì inammissibile la domanda volta ad ottenere che venisse dichiarato il diritto del ricorrente all’assunzione presso la società Beta.

2. La censura

A questo punto, Tizio si rivolgeva alla Corte di Cassazione, davanti alla quale, tra le varie doglianze, deduceva, in particolare, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 18, commi 4 e 7 della legge n. 300 del 1970, sempre sotto il profilo dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dal momento che la sentenza d’appello aveva negato la tutela risarcitoria al lavoratore per l’illegittimo licenziamento intimato, poiché fondato su ipotesi di totale insussistenza del fatto posto a base del recesso datoriale.

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3. La pronuncia della Suprema Corte

Gli Ermellini, nel ritenere la censura fondata, precisavano che il risarcimento del danno, stabilito dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970 nella misura minima di cinque mensilità, spetta per il solo fatto dell’intimazione di un licenziamento illegittimo, a prescindere dalla necessità di un intervento reintegratorio, e, pertanto, anche quando il rapporto di lavoro non sia stato effettivamente interrotto.
 In particolare, i giudici di legittimità affermavano che “Riconosciuto illegittimo il licenziamento, va condannato il datore di lavoro a pagare il risarcimento in questione, pur nelle ipotesi in cui egli abbia scelto di non eseguire il licenziamento medesimo e di rinnovarlo per altra causale”
Dal momento che il primo licenziamento, in quanto negozio unilaterale recettizio, si era già perfezionato nel momento in cui la manifestazione di volontà del datore recedente era giunta a conoscenza del lavoratore e, dunque, ancor prima del verificarsi dell’effetto risolutivo, differito a data successiva, era comunque dovuta la condanna al pagamento del risarcimento dei danni nella misura minima inderogabile di cinque mensilità.
In virtù di ciò, il Tribunale Supremo cassava la sentenza impugnata in ordine al motivo accolto e rinviava la causa alla Corte d’appello.

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Avv. Giuseppina Maria Rosaria Sgrò

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