La critica da parte del lavoratore : diritto o condotta passibile di licenziamento?

Scarica PDF Stampa

Commento alla Sentenza n. 281 del 3 novembre 2022 con cui la Corte d’Appello di Brescia ha dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato a una dipendente che aveva criticato sui social la gestione aziendale senza tuttavia travalicare i limiti della continenza (sostanziale e formale) e della pertinenza

Indice

1. La questione

Con sentenza n. 281/2022, pubblicata il 3 novembre 2022, la Corte d’Appello di Brescia si è pronunciata sulla legittimità di un licenziamento intimato per giusta causa a una lavoratrice che aveva criticato la società datrice di lavoro a mezzo Facebook.
Nel caso in commento la dipendente – che ricopriva anche la carica di rappresentante sindacale aziendale – riceveva tre lettere di contestazione disciplinare.
Per mezzo della prima lettera (del 15 giugno 2020), la società contestava alla dipendente di avere compilato la richiesta di ferie dichiarando falsamente di aver già ottenuto l’autorizzazione dell’amministratore.
Con la seconda lettera (del 23 giugno 2020), la società contestava alla dipendente di aver criticato su un gruppo chiuso di Facebook, noto social network, la gestione aziendale, utilizzando frasi come “prendono la scusa del Covid per mascherare una gestione a dir poco disastrosa vista l’incapacità gestionale dei nostri imprenditori” o ancora “hanno cambiato vestito… ma hanno tenuto le stesse mutande”.
Tali commenti espressi dalla lavoratrice si collocavano nell’ambito di una complicata situazione aziendale creatasi a seguito della cessione di alcuni punti vendita.
A fronte di tale condotta, la società disponeva la sospensione cautelare nei confronti della lavoratrice la quale, in risposta a tale provvedimento, pubblicava sul medesimo gruppo di Facebook frasi del tipo “siamo in dittatura”.
Tale comportamento costringeva la società a procedere con una terza lettera di contestazione (del 2 luglio 2020) e, da ultimo, con il licenziamento per giusta causa della dipendente.
Pertanto, la lavoratrice proponeva ricorso ex art. 1, comma 48, L. n. 92/2012 (cd. Rito Fornero), dinanzi al Tribunale di Bergamo, ai fini di far dichiarare e accertare l’illegittimità, nonché il carattere discriminatorio, del licenziamento.
All’esito della fase sommaria, con ordinanza del 17 marzo 2021 il Tribunale accertava l’illegittimità del licenziamento e ordinava la reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro, condannando la società anche al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegra, oltre contributi e spese di lite.
La società presentava opposizione avverso tale provvedimento; tuttavia, anche la seconda fase del primo grado di giudizio si concludeva con un provvedimento con cui veniva dichiarata l’irrilevanza disciplinare dei fatti contestati.
In particolare, il Tribunale di Bergamo riteneva che gli addebiti contestati alla lavoratrice fossero privi di rilievo disciplinare e rientrassero piuttosto nella legittima espressione del diritto di critica.
Dunque il giudice di prime cure, pur non riconoscendo l’intento discriminatorio del licenziamento, considerava non sussistenti i fatti oggetto di addebito, con l’applicazione della tutela di cui all’art. 18, comma 4, L. n. 300/1970, come modificato dalla L. n. 92/2012.
Infine, la società proponeva reclamo ex art. 1, comma 58 e ss., L. n. 92/2012, dinanzi alla Corte d’Appello di Brescia, al fine di veder integralmente riformata la sentenza del Tribunale.

Potrebbero interessarti anche

2. Limiti al diritto di critica

La questione oggetto del giudizio della Corte d’Appello di Brescia verte quindi sul diritto di critica nel rapporto di lavoro e sui suoi limiti.
La libera manifestazione del pensiero, espressamente tutelata dall’art. 21 della Costituzione, per cui “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione […]”, deve infatti essere bilanciata con la tutela della dignità umana, anch’essa costituzionalmente garantita (art. 2).
In tale contesto di bilanciamento di diritti si colloca la critica del lavoratore, che può arrivare a costituire un illecito disciplinare nel momento in cui travalica i limiti del rispetto della verità oggettiva e integra una condotta lesiva del decoro dell’impresa datoriale, idonea a provocare un danno economico.
Anche di recente la giurisprudenza di legittimità ha tentato di tracciare il confine tra l’esercizio del diritto di critica e l’integrazione di una condotta passibile di illecito disciplinare, individuando tre limiti (cfr. Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, Sentenza n. 1379 del 18 gennaio 2019).
Il primo limite è quello della continenza sostanziale, per cui se la critica riguarda fatti che si considerano storicamente avvenuti, i fatti narrati devono corrispondere alla verità.
In particolare, “ove la critica si sostanzi nell’attribuzione di condotte che si assumono come storicamente verificatesi, in ragione del canone della continenza sostanziale, tali fatti narrati devono corrispondere a verità, sia pure non assoluta ma corrispondente ad un prudente apprezzamento soggettivo di chi dichiara gli stessi come veri, per cui viene in rilievo l’atteggiamento anche colposo del lavoratore”.
Il secondo limite è quella della continenza formale, per cui “la critica deve avvenire con modalità espressive che devono ritenersi rispettose di canoni, generalmente condivisi, di correttezza, misura e civile rispetto della dignità altrui”.
Nell’analisi di liceità delle modalità espressive della critica, occorre tenere in considerazione il contesto in cui tale critica si colloca (ad esempio, la stessa espressione può assumere tratti diversi a seconda che venga resa in un contesto satirico o nell’ambito di un rapporto di lavoro).
Il terzo limite individuato dalla giurisprudenza è quello della pertinenza, intesa come “rispondenza della critica ad un interesse meritevole in confronto con il bene suscettibile di lesione”.
In generale, il limite di pertinenza entro cui rientra il diritto di cronaca è quello dell’interesse pubblico. Nell’ambito del rapporto di lavoro, invece, il limite della pertinenza assume una connotazione specifica: si considera meritevole di tutela l’interesse che sia correlato direttamente (o indirettamente) alle condizioni di lavoro o dell’impresa (es. le manifestazioni attinenti al contratto di lavoro). Al contrario, superano il limite della pertinenza le critiche rivolte al datore di lavoro oggettivamente estranee a ogni correlazione con il rapporto contrattuale (si pensi, ad esempio, alle critiche relative alle qualità personali del datore di lavoro).
Orbene, l’esercizio del diritto di critica è legittimo nel momento in cui rispetta tutti e tre i limiti sopra descritti (continenza sostanziale, continenza formale, pertinenza): ne consegue che, se oltrepassa anche uno solo dei suddetti limiti ed è idonea a ledere l’onore, la reputazione e il decoro della società, la critica rivolta dal lavoratore integra un illecito disciplinare che può concretizzarsi, in base alla valutazione del caso concreto, perfino in un licenziamento per giusta causa.

3. La decisione della Corte d’Appello di Brescia

La Corte d’Appello di Brescia ha utilizzato tali principi giurisprudenziali al fine di comprendere se le condotte oggetto di addebito disciplinare fossero atte a ledere anche solo uno dei tre limiti sopra richiamati in modo da rendere legittima l’irrogazione della sanzione espulsiva.
In primo luogo, la Corte territoriale ha ritenuto che le frasi scritte dalla lavoratrice su Facebook quali, ad esempio, “incapacità gestionale degli imprenditori” o “gestione a dir poco disastrosa”, fossero delle mere opinioni generiche, legate a dati oggettivi riguardanti condizioni di lavoro dei dipendenti e, come tali, inidonee a travalicare il limite della continenza sostanziale.
Ad avviso della Corte, poi, le espressioni utilizzate dalla dipendente non eccedono neanche il limite della continenza formale, in quanto le frasi scritte sul social network non sono lesive della dignità o dell’immagine della società e/o degli amministratori, non essendo peraltro neanche riferite a soggetti singoli, determinati. Parimenti, tali espressioni non contengono frasi infamanti, ingiuriose o denigratorie.
I giudici di secondo grado hanno concluso che neanche l’espressione “hanno cambiato vestito… ma hanno tenuto le stesse mutande” valichi il limite della continenza formale. Secondo i giudici, tale frase, seppur colorita, è stata utilizzata con ironia e non con finalità ingiuriose o offensive nei confronti della società (o dei suoi amministratori).
Anche con riguardo al limite della pertinenza, la Corte ha affermato che “non si tratta di commenti gratuiti, avulsi da una situazione concreta da ricollegarsi al lavoro e volti unicamente a prendere di mira il datore di lavoro, per sue qualità o condotte personali, con il fine di mirare l’onorabilità e la reputazione”, trattandosi piuttosto di contenuti che derivano dalla delicata situazione occupazionale che si era creata a seguito del trasferimento di alcuni punti vendita.
In conclusione, la Corte d’Appello di Brescia ha ritenuto che nel caso di specie non siano configurabili addebiti aventi rilievo disciplinare.
Pertanto la Corte territoriale ha respinto il reclamo promosso dalla società e ha confermato l’applicazione della tutela ex art. 18, comma 4, L. n. 300/1970, come modificato dalla L. n. 92/2012, citando il principio per cui “l’insussistenza del fatto contestato comprende anche l’ipotesi del fatto sussistente, ma privo di carattere di illiceità o rilevanza giuridica e quindi il fatto sostanzialmente inapprezzabile sotto il profilo disciplinare” (cfr. Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, Sentenza n. 10019 del 16 maggio 2016).

Volume consigliato

FORMATO CARTACEO

Il licenziamento nel settore privato

Con un approccio per quesiti e problemi, si offre una panoramica della normativa in tema di licenziamenti nei rapporti di lavoro privato, le cui disposizioni si sono stratificate e sovrapposte nel tempo in relazione alla natura e alle dimensioni occupazionali del datore di lavoro, al settore, alla qualifica, alla data di assunzione, alla data di licenziamento, al tipo di rapporto, creando un sistema difficilmente intellegibile per l’operatore. Verrà illustrato come distinguere il licenziamento dalle ipotesi affini, quale forma deve rivestire e per quali motivi si può legittimamente licenziare, con quale procedura e con quale tempistica; come impugnare un licenziamento, attraverso quali adempimenti da compiere prima del giudizio e come evitare le decadenze di legge, come impostare un ricorso avverso un licenziamento illegittimo e quali sono le caratteristiche del rito da seguire. Saranno passati in rassegna i principali vizi che possono affliggere l’atto espulsivo, indicato con quali mezzi dimostrarne la sussistenza, come si riparte l’onere della prova, e, in parallelo, quale tutela è stata accordata dal legislatore al lavoratore nelle diverse e sofferte fasi evolutive della disciplina della materia (legge n. 604/1966, legge n. 300/1970, legge n. 92/2012, D.Lgs. n. 23/2015,D.L. n. 87/2018 ed altre): in particolare, in quali casi viene accordata la reintegra nel posto di lavoro e in quali casi è disposto il risarcimento del danno, nonché le diverse modalità per la sua quantificazione. Per ciascun argomento verrà dato conto dello stato della giurisprudenza sulle principali problematiche solle- vate dalla normativa, anche con riferimento al diritto dell’Unione Europea.Maria Giulia Cosentino Magistrato ordinario, prima ancora avvocato, funzionario del Ministero delle Finanze, borsista al primo corso concorso per dirigenti pubblici della S.N.A.; oggi giudice del lavoro presso la Corte d’Appello di Roma e dal 2016 giudice tributario componente della Commissione Tributaria Provinciale di Roma. Fra il 2012 e il 2016 è stata componente del Comitato Pari Opportunità del Distretto e della Commissione per gli esami di Stato per il conseguimento del titolo di Avvocato. Dopo l’ingresso in magistratura, dal 2001 al 2004 è stata giudice civile a La Spezia; dal 2004 al 2010, fuori ruolo, ha ricoperto l’incarico di giurista esperto per la semplificazione normativa ed amministrativa presso il Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri; dal 2008 al 2010, anche Vice Capo del Settore Legislativo per il Ministro per l’Attuazione del Programma di Governo; dal 2010 al 2017 giudice del lavoro presso il Tribunale di Roma. Autrice di numerose pubblicazioni in tema di diritto del lavoro; diritto del pubblico impiego; pari opportunità nella pubblica amministrazione; semplificazione normativa; diritto dell’ambiente e dell’energia.

Maria Giulia Cosentino | Maggioli Editore 2019

Alessandra Giorgi

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento