Lecita la reazione del lavoratore al mobbing perpetrato dal datore

Redazione 30/01/13

Lucia Nacciarone

Con la sentenza n. 4245 del 28 gennaio 2013 la Cassazione ha annullato parzialmente la sentenza del tribunale di merito che condannava un uomo, imputato per i reati di lesione e minaccia, al risarcimento del danno nei confronti della vittima dei suddetti reati, il suo datore di lavoro.

Ad avviso dei giudici di legittimità che hanno esaminato la vicenda, l’uomo non è passibile di responsabilità penale, almeno con riferimento al reato di ingiuria, atteso che era stato a sua volta a lungo vittima di vessazioni da parte del suo datore, comportamenti, questi, inquadrabili nel reato di mobbing.

I due si erano anche già reciprocamente denunciati.

«In presenza di una specifica deduzione dell’appellante, il giudice di secondo grado deve compiutamente vagliare tutti gli aspetti della vicenda, la reciprocità delle ingiurie, cosa che appare ben possibile dalla stessa motivazione del giudice di primo grado, secondo il quale vi sarebbe stata una vera e propria aggressione verbale del datore in danno del dipendente, alla quale quest’ultimo avrebbe risposto»; inoltre, continuano i giudici, si sarebbe dovuta chiarire e precisare la natura dell’aggressione verbale, essendo verosimile che essa rappresenti una reazione stizzita del dipendente mobbizzato.

Invece, prosegue la Cassazione, la minaccia ‘ti spacco la faccia’ potrebbe essere astrattamente tale da incutere timore: inoltre, il dolo del reato di minaccia è generico ed è, quindi, irrilevante il fine specifico che il soggetto attivo intende perseguire nei confronti del soggetto passivo.

Pertanto la sentenza è stata annullata con rinvio per un nuovo esame limitatamente al reato di ingiuria.

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