Le Sezioni Unite si pronunciano sulla natura della rapina impropria. Accolto l’orientamento del reato complesso

Redazione 13/09/12
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Lucia Nacciarone

Con un’importante pronuncia (n. 34952 del 12 settembre 2012) le Sezioni Unite della Cassazione hanno posto fine ad un contrasto giurisprudenziale relativo alla natura del reato di rapina impropria, caratterizzato dalla violenza successiva all’impossessamento della res.

Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte si trattava di un tentativo di rapina, considerato che il ladro era stato interrotto dall’arrivo nell’appartamento della proprietaria di casa: costui le aveva tappato la bocca e l’aveva immobilizzata prima di scappare velocemente senza aver possibilità di rubare nulla.

L’imputato, ad avviso dei giudici delle Sezioni Unite, cha hanno condiviso l’orientamento maggioritario precedentemente espresso dalla giurisprudenza di legittimità, risponde di tentata rapina impropria, e non di tentato furto in concorso con percosse o minaccia, anche se poi la sottrazione non si verifica.

La condotta di violenza e minaccia che l’agente pone in essere per garantirsi la fuga e quindi l’impunità risulta connotata da un maggior disvalore sociale rispetto all’aggressione al patrimonio, rappresentata dal tentativo di furto.

Inutile quindi ipotizzare il tentato furto e le lesioni o percosse: non si tratta di concorso di reati ma del reato complesso di rapina impropria; risulta impossibile, secondo le Sezioni Unite, frazionare la condotta del soggetto agente in figure incriminatrici autonome, visto che le violenza è stata esercitata proprio al fine di sottrarsi ad un eventuale inseguimento.

Non conta, infine, che i ladri non siano riusciti a portare a termine il colpo: quando sono sorpresi dalla padrona di casa hanno già messo a soqquadro l’appartamento, ed inoltre la norma incriminatrice della rapina impropria (art. 628, comma 2, del codice penale) induce a far ritenere che il delitto si può perfezionare anche quando l’agente usa violenza dopo la mera apprensione del bene, senza tuttavia conseguire un’autonoma disponibilità dell’oggetto conteso neppure per un breve torno di tempo (ad esempio perché ha la peggio nella colluttazione con la vittima).

Ed ecco allora che la successiva violenza esercitata dall’agente, con percosse o minacce, per potersi sottrarre ad un eventuale inseguimento rientra alla perfezione nello schema legale di cui all’articolo 628 del codice penale.

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