Lavoratore disabile: applicazione del periodo di comporto

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Il licenziamento per superamento del “periodo di comporto” ai lavoratori disabili rappresenta un tema delicato e critico. I datori di lavoro si muovono su un terreno incerto, esposti al rischio di declaratoria di nullità del recesso del lavoratore portatore di handicap per discriminazione indiretta. In tale contesto, si rende indispensabile un esame minuzioso del quadro legislativo e giurisprudenziale attuale, al fine d’identificare dei comportamenti ragionevoli che i datori di lavoro possono attuare, per bilanciare le prerogative datoriali con il diritto del lavoratore disabile a non subire discriminazioni.
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Indice

1. Equilibrio normativo e rischi discriminatori: l’applicazione del periodo di comporto ai lavoratori disabili nel contesto della legislazione italiana


Il periodo di comporto è un concetto cruciale nel diritto del lavoro che, come è noto, determina il mantenimento del rapporto lavorativo durante l’assenza per malattia del lavoratore. La disciplina del comporto è dettata dall’art. 2110 c.c. che stabilisce che l’imprenditore ha diritto di recedere dal contratto, a norma dell’art. 2118 c.c., decorso il periodo stabilito dalla legge, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità. Venuto meno l’ordinamento corporativo il riferimento deve intendersi ora fatto alle norme dei contratti collettivi di lavoro, ognuno dei quali contiene una disciplina del comporto, stabilendo un limite massimo di giorni di assenza in un determinato arco di tempo (ad es. 360 giorni negli ultimi 3 anni c.d. comporto per sommatoria, o 180 giorni consecutivi anche a cavallo di due anni solari, c.d. comporto secco).
Questa disciplina, però, può rivelarsi di problematica applicazione in riferimento ai lavoratori disabili, i quali possono essere assenti per malattia con maggior frequenza rispetto agli altri lavoratori, a causa della loro patologia invalidante. La complessità deriva dalla necessità di bilanciare due diritti fondamentali: da un lato, quello del lavoratore disabile di beneficiare delle protezioni necessarie per garantire la sua integrazione lavorativa (artt. 2, 3 e 4 Cost.); dall’altro, quello del datore di lavoro di gestire le risorse umane in modo efficiente (art. 41 Cost.)
Pertanto, la giusta interpretazione della normativa relativa al periodo di comporto è fondamentale per salvaguardare i diritti dei lavoratori disabili e prevenire potenziali discriminazioni indirette e, allo stesso tempo, per garantire ai datori di lavoro di assumere scelte organizzative imprenditoriali non censurabili in sede giudiziaria.
Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera b, del D.L.gs n. 216/03, attuativo della direttiva comunitaria n. 2000/78 CE, che sancisce l’importanza di politiche antidiscriminatorie richiedendo soluzioni adeguate per i disabili, la discriminazione indiretta si realizza “quando   una   disposizione,  un criterio,  una  prassi,  un  atto,  un  patto  o   un   comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che  professano  una determinata  religione  o  ideologia  di  altra  natura,  le  persone portatrici di handicap,  le  persone  di  una  particolare  età o nazionalità o di un orientamento sessuale  in  una  situazione  di particolare svantaggio rispetto ad altre persone”. Questa definizione nel nostro ordinamento trova corrispondenza nell’art. 25, secondo comma, della L. n. 198 del 2006.


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3. Evoluzione giurisprudenziale e sentenza n. 9095 del 31 marzo 2023 della Corte di Cassazione: conferma della discriminazione indiretta


La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6575 del 5.4.2016, ha confermato la natura oggettiva di tale discriminazione, sottolineando come questa operi a prescindere dalla volontà illecita del datore di lavoro.
La Corte di Giustizia UE con la sentenza n. 335/2013 (cause C‑335/11 e C‑337/11), nel richiamare il concetto di “handicap” – che per la Direttiva 2000/78/CE, include qualsiasi condizione patologica duratura che limiti la partecipazione professionale della persona – e nel ricordare la necessità di interpretare le direttive antidiscriminatorie alla luce della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ha riconosciuto che un lavoratore disabile corre un rischio maggiore di accumulare giorni di assenza per malattia, in quanto è più a rischio di patologie legate al proprio handicap e che pertanto la disciplina del comporto, se non opportunamente riformulata, può generare situazioni di discriminazione indiretta: si potrebbe determinare, infatti, un illegittimo svantaggio basato sulla propria disabilità come ribadito dalla stessa Corte europea nella sentenza del 18 gennaio 2018 (causa C-270/16, Canejero).
Le sentenze del Tribunale di Milano n. 2875/2016 e n. 9281/2018 si collocano nel quadro normativo e della giurisprudenza europea sopra esposti. In entrambe le occasioni il Giudice del Lavoro meneghino ha giudicato nullo il licenziamento dei lavoratori disabili per superamento del periodo di comporto, per discriminazione indiretta, ritenendo di escludere dal computo del periodo di comporto le assenze direttamente collegate all’handicap.
Successivamente, il Tribunale di Mantova (ord. 16 luglio 2018) ha affermato che persino la mancata conoscenza della disabilità del lavoratore da parte del datore di lavoro è irrilevante per il realizzarsi della discriminazione. Si tratterebbe infatti di discriminazione indiretta che si realizza come conseguenza dell’applicazione al disabile del medesimo periodo di comporto applicato agli altri lavoratori senza tenere conto della sua particolare condizione. Non assumerebbe pertanto alcuna rilevanza l’elemento soggettivo in capo al datore di lavoro.
Per il Tribunale di Verona sarebbe irrilevante anche l’effettiva conoscenza da parte del datore di lavoro della riconducibilità dell’assenza per malattia alla patologia invalidante, avendo valore, anche in questo caso, unicamente l’oggettiva discriminazione del lavoratore appartenente alla categoria protetta (sentenza n. 1089/2020 del 21/3/2021).
Con sentenza coeva (sentenza n. 604/2021 del 26 ottobre 2021) la Corte d’Appello di Torino, ha opportunamente richiamato la necessità di bilanciare gli interessi nel rapporto di lavoro, tra il diritto del lavoratore disabile a mantenere il lavoro e l’interesse del datore a garantire una prestazione utile per l’impresa.
Recentemente, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9095 del 31 marzo 2023, ha confermato che il licenziamento di un lavoratore invalido, per superamento del periodo di comporto, può integrare una discriminazione indiretta, essendo questi più esposto ad assenze involontarie legate alla sua condizione. In mancanza di ulteriori accertamenti, queste assenze devono essere associate alla causa dell’invalidità, rendendo quindi nullo il licenziamento, poiché in contrasto con i principi costituzionali e con le indicazioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sempre in coerenza con la Direttiva 2000/78/CE, con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e con la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. I giudici della Suprema Corte hanno comunque sottolineato la necessità di bilanciare gli interessi dei lavoratori disabili con politiche occupazionali legittime, richiamando il principio d’individuazione di soluzioni ragionevoli per assicurare la parità di trattamento tra i lavoratori.

3. Accomodamenti e soluzioni ragionevoli: come conciliare gli interessi e i diritti al fine di garantire la legittimità dei provvedimenti datoriali verso i lavoratori disabili


L’analisi delle implicazioni giurisprudenziali evidenzia la necessità di un intervento normativo che migliori e chiarisca le disposizioni attuali in materia di periodo di comporto in riferimento ai lavoratori disabili.
Le attuali regolamentazioni collettive possono condurre, come visto, a situazioni di discriminazione indiretta. È pertanto fondamentale che il legislatore intervenga per colmare le lacune e offrire garanzie di tutela ai lavoratori disabili ma anche certezza ai datori di lavoro.
In attesa però dell’intervento del legislatore, si propone di promuovere comportamenti ragionevoli da parte dei datori di lavoro, idonei ad allontanare i rischi di discriminazione.
Ma quali sono gli accomodamenti e le soluzioni ragionevoli che il datore di lavoro può adottare verso i lavoratori disabili che consentano l’effettivo bilanciamento degli interessi e dei diritti delle parti e la conseguente legittimità dei provvedimenti datoriali?
Tra le soluzioni possibili, si evidenzia innanzitutto l’importanza del coinvolgimento delle parti sindacali. Il loro ruolo nella mediazione tra il datore di lavoro e il lavoratore disabile può essere fondamentale per la ricerca di soluzioni oggettive e trasparenti, che tengano conto sia dei diritti del lavoratore sia delle esigenze aziendali.
Un altro possibile percorso da esplorare è l’estensione del periodo di comporto per i lavoratori disabili, che può essere attuata attraverso diversi canali. Ad esempio, nella contrattazione collettiva, aziende e sindacati potrebbero lavorare insieme per negoziare periodi di comporto più lunghi per i lavoratori portatori di handicap. In alternativa, nell’ambito della contrattazione individuale, il lavoratore disabile e il datore di lavoro potrebbero concordare un’estensione del periodo di comporto su base individuale ovvero tale diverso e più ampio periodo potrebbe essere espressamente regolato già nella lettera di assunzione.
Infine, in assenza di accordi, potrebbe essere presa in considerazione l’ipotesi di un’estensione unilaterale del periodo di comporto da parte del datore di lavoro per i dipendenti disabili. Si dimostrerebbe, in tal modo, un impegno concreto verso l’adozione di quelle soluzioni ragionevoli richieste al datore di lavoro. Quanto alla misura di tale estensione, in mancanza di qualsiasi indicazione, anche da parte della giurisprudenza, si può solo affermare che debba essere significativa, ad esempio con un aumento di almeno la metà del comporto ordinario, al fine di tenere effettivamente conto delle differenti esigenze del disabile.
In conclusione, nell’attesa di un’urgente riforma legislativa per chiarire e migliorare le norme attuali sulla gestione del periodo di comporto per i lavoratori disabili, è cruciale promuovere soluzioni che siano quanto più possibile ragionevoli per ridurre al minimo il rischio di censura in sede giudiziaria. In questo contesto, il coinvolgimento sindacale, l’estensione del periodo di comporto e un approccio flessibile ed equilibrato possono rappresentare strumenti validi per garantire equità e assicurare la legittimità delle decisioni prese.

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A cura di Alessandro Boscati | Maggioli Editore 2021

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