L’interruzione del nesso causale nella responsabilità dell’Ente pubblico

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LA INTERRUZIONE DEL NESSO CAUSALE NELLA RESPONSABILITÀ DELL’ENTE PUBBLICO IN IPOTESI DI DANNO CAGIONATO DALLE  PRECARIE CONDIZIONI DI UNA  STRADA. LA VERIFICA DELLA CAUSA CONCRETA DEL DANNO TRA PERICOLOSITA’ DEL BENE INERTE OVVERO DOTATO DI UN INTRINSECO DINAMISMO. ONERI PROBATORI  ALLA LUCE DI ALCUNI CASI ESAMINATI DALLA CASSAZIONE NEL CORSO DEL 2016.

 

Le precarie condizioni di una strada sono nella maggior parte dei casi la causa di incidenti, anche gravi, in cui si imbattono i comuni cittadini che quotidianamente ne fanno uso.

Il contenzioso che conseguentemente si apre è notevole ed è inevitabile che molte questioni giungano all’esame del Supremo Giudice per le problematiche ad esse sottese, più propriamente riguardanti la sussistenza del nesso causale, la condotta imprudente dell’utente , la mancata custodia del tratto stradale da parte del soggetto ritenuto responsabile, il caso fortuito e così via.

Prima di affrontare il tema specifico, oggetto del presente elaborato, va ricordato che, in tema di responsabilità dell’Ente Pubblico Locale, per cattiva manutenzione della strada, ove è avvenuto il sinistro, è indispensabile che lo stesso abbia la effettiva disponibilità della strada stessa con il conseguente potere di intervento. Essa non è automaticamente esclusa in ragione della estensione, più o meno vasta, della sede stradale, la quale costituisce piuttosto figura sintomatica della effettività del potere di controllo e, quindi, criterio di valutazione della c.d. esigibilità della custodia.

Trattasi, all’evidenza,  di un presupposto dell’azione risarcitoria che trova il suo referente normativo nell’art. 2051 CC, ormai ritenuto applicabile, dalla più recente giurisprudenza, in simili fattispecie.

Esso, come vedremo, ha importanti ricadute sul piano probatorio in quanto la responsabilità prevista da detta disposizione normativa si fonda sul dato oggettivo della custodia, che permette di configurare una presunzione di colpa, in capo a colui che si trova in un simile rapporto con la cosa ed, in caso di danno provocato dalla stessa, a prescindere da qualsivoglia considerazione del profilo comportamentale del custode. Ed invero, secondo la Cassazione, la funzione dell’art. 2051 CC è quella “di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa senza che possa venire in rilievo una specifica obbligazione di custodire il bene (ex multis v. Cass. 13/10/2015 n° 295).

In altro senso, va tenuta presente non tanto la colpa della custodia, quanto il rischio relativo.

Dunque, l’Ente Pubblico deve essere in grado di governare la cosa attraverso l’esercizio di un potere che si concretizza in tre aspetti fondamentali: il potere di controllare la cosa, quello di modificare la situazione di pericolo insita nella cosa, e quello di escludere qualsiasi terzo dalla ingerenza nell’uso della cosa stessa, cui è correlato il dovere di preservarne lo stato di efficienza.

In tal senso, non può escludersi automaticamente la responsabilità della custodia ex art. 2051 CC in capo al Comune sulla sola considerazione che il bene, che ha causato l’evento dannoso (demaniale o patrimoniale), sia una strada di uso collettivo e di notevole estensione, dovendosi procedere all’esame, caso per caso. della ricorrenza, in concreto, della oggettiva impossibilità di esercizio di quel potere di cui sopra si è detto, anche attraverso la individuazione della causa concreta del danno.

Ciò posto, il danneggiato, a causa del manto stradale sconnesso, una volta appurato lo status di custode in capo all’Ente Pubblico del bene, nei termini anzidetti, è onerato esclusivamente di dimostrare il nesso causale tra cosa ed evento, prescindendosi dall’accertamento colposo del custode.

Il nesso causale viene interrotto utilmente, ai fini della esclusione della responsabilità di quest’ultimo, con la prova, di cui lo stesso è onerato, che l’evento è riconducibile al caso fortuito, ossia ad un fattore che non è legato al comportamento del custode ma alla modalità di causazione del danno.

Ecco perché appare importante soprattutto indagare sulla causa concreta del danno come sopra ricordato.

Ricorre il caso fortuito quando l’evento è imputabile ad un fattore esterno alla sfera di custodia del responsabile, avente un impulso causale autonomo ed il carattere della imprevedibilità ed eccezionalità.

Nella nozione di caso fortuito la giurisprudenza ricomprende anche il fatto del terzo o dello stesso danneggiato, come può essere la sua imprudenza o la utilizzazione impropria del bene, la cui pericolosità sia apprezzata da chiunque (vedasi, ad es., Cass. 10461/2002; Cass. 5334/2004), o, più in generale, il comportamento dello stesso danneggiato avente una efficacia causale tale da interrompere il nesso eziologico tra la cosa e l’evento o da affiancarsi come ulteriore contributo utile alla produzione del danno (v. ad es. Cass. 8229/2010; Cass. 7125/2013)

La esistenza di un rapporto di custodia con la cosa e del nesso di causalità sono in definitiva i due motori della responsabilità in questione che deve ritenersi esclusa, come visto, con la prova, a carico del danneggiante, del caso fortuito.

I suddetti principi sono stati ribaditi da due recenti sentenze della Cassazione, 26/07/2016 n° 15399 e 05/09/2016 n° 17625.

In entrambi i casi si è discusso dei danni subiti da due soggetti caduti su una strada comunale sconnessa: il primo, un motociclista, perché alla guida di un ciclomotore aveva tenuto una velocità eccessiva frenando in ritardo; il secondo, un pedone, perché cadeva rovinosamente a terra per la presenza di buche e brecciolino sulla sede stradale percorsa.

Nella specie, la responsabilità del Comune è stata esclusa, nel primo caso, per la condotta imprudente, sostanziando un caso fortuito incidente e dotato di una efficacia causale tale da interrompere completamente il nesso eziologico tra il fatto e l’evento. Nel secondo caso, invece, è stata riconosciuta sulla base dei principi testé ricordati, che attengono precipuamente alla distribuzione dell’onere probatorio fra danneggiante e danneggiato.

Ragione per cui spetta a quest’ultimo “dimostrare l’esistenza del nesso causale tra la cosa ed il danno ma non la pericolosità di quest’ultima allorché dotata di un intrinseco dinamismo sì da costituire un fattore di rischio conosciuto o conoscibile da parte del custode (si pensi, ad esempio, all’usura o al dissesto stradale, alla segnaletica contraddittoria o ingannevole ecc.). Quando, invece, il danno è causato da cose inerti e visibili (marciapiedi, scale, strade, pavimenti e simili) il danneggiato può provare il nesso di causalità tra cosa e danno dimostrandone la pericolosità”.

In tale prospettiva, chiarisce Cass. 17625/2016 “che la pericolosità della cosa fonte di danno non costituisce fatto costitutivo della responsabilità del custode, ma semplicemente un indizio dal quale desumere, ex art. 2727 CC, la sussistenza di un valido nesso di causalità tra la cosa inerte ed il danno: nel senso che, quando questo si assume provocato da una cosa priva di dinamismo intrinseco, dal fatto noto che quella cosa fosse pericolosa il Giudice può risalire al fatto ignorato della esistenza del nesso di causa; mentre dal fatto che non lo fosse, potrà risalire al fatto ignorato che sia stata la distrazione della vittima a provocare il danno”.

Di qui il principio di diritto per cui “una volta accertata l’esistenza di un nesso di causa tra la cosa in custodia ed il danno, è onere del custode, per sottrarsi alla responsabilità di cui all’art. 2051 CC, provare la colpa esclusiva o concorrente del danneggiato (che può desumersi anche dalla agevole evitabilità del pericolo) mentre deve escludersi che la vittima, una volta provato il nesso di causa, per ottenere la condanna del custode, debba anche provare la pericolosità della cosa”.

Al riguardo si richiamano altri due precedenti (Cass. 05/02/2016 n° 2660 e Cass. 20/10/2015 n° 21212 -citati dalla sentenza in commento-) in cui si affermano analoghi principi per cui una volta provato il nesso di causalità tra res ed evento, il custode può escludere la sua responsabilità ha l’onere di dimostrare l’esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità ed eccezionalità, è idoneo a recidere tale nesso (es. perdita di olio sul manto stradale ad opera di un auto che precede quella che sbanda a seguito di detta perdita, improvviso abbandono sulla strada di oggetti idonei a provocare situazioni di pericolo come anche nei casi del lancio dei sassi da cavalcavia stradali): e, ciò, quanto meno finché sia trascorso il tempo ragionevolmente sufficiente perché l’Ente acquisisca conoscenza del pericolo creatosi e possa intervenire per eliminarlo.

Nei casi, invece, in cui il danno non sia effetto di un dinamismo interno della cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento (es. frana sulla strada o simili), occorre che l’agire del danneggiato si unisca al modo di essere della cosa, essendo essa statica ed inerte,  di tal chè per la prova del nesso di causalità  andrebbe dimostrato che lo stato dei luoghi presentava una obiettiva situazione di pericolosità tale da rendere molto probabile, se non evitabile, il danno.

Nei due casi esaminati dalle decisioni del S.C. appena citati, riguardanti, rispettivamente, un passante che era inciampato in un cordolo lasciato dagli operai che stavano eseguendo lavori stradali, andando a sbattere contro un mucchio di pietre, ed una motociclista caduta all’interno di una galleria stradale in conseguenza della improvvisa mancanza di illuminazione, la Corte Regolatrice rigettava entrambi i ricorsi:  nel primo, perchè era mancata la prova che la situazione della strada fosse tale da configurare oggettivamente un pericolo, anche di fronte al normale livello di attenzione dei passanti, per la semplice ragione che il cittadino, abitando, sul posto ben poteva conoscere la situazione die luoghi, quotidianamente frequentati, compreso il cordolo che ne aveva provocato la caduta; nel secondo, ritenendoche la situazione di pericolo, nella quale si trovò  la  motociclista,  fosse prevedibile in quanto preannunciata dallo stesso Ente Gestore della strada e della galleria e che, a fronte dell’indicato pericolo, la conducente non tenne un comportamento prudente, richiesto dalla concreta situazione dei luoghi, probabilmente cadendo dopo aver sbandato, sorpresa dalla improvvisa mancanza di illuminazione senza che alcuna colpa potesse essere ascritta all’Ente Pubblico gestore.

Avv. Arseni Antonio

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