La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7738 del 22 febbraio 2024, ha chiarito che l’imputazione coatta da parte del Gip per un reato diverso rispetto a quello per cui è stata effettuata l’iscrizione nel registro degli indagati dal Pubblico ministero costituisce un atto abnorme.
Per approfondimenti, si consiglia il seguente volume il quale propone indicazioni operative e soluzioni per una corretta redazione degli atti e per evitare gli errori più frequenti: Appello e ricorso per Cassazione penale dopo la Riforma Cartabia
Indice
1. I fatti
Il Gip del Tribunale di Firenze, a fronte della richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato avanzata dal Pubblico ministero nei confronti di un consigliere di un noto partito nazionale in ordine al delitto di diffamazione, in danno di una persona di origine rom, rigettava la richiesta e disponeva che il Pubblico ministero formulasse l’imputazione a carico dell’indagato per il delitto predetto e anche per il delitto previsto dall’art. 167, comma 1, d. lgs. 20 giugno 2003, n. 196 (trattamento illecito di dati).
Il ricorso era affidato ad un unico motivo con il quale l’indagato lamenta violazione di legge processuale penale, in particolare degli artt. 409, comma 5, c.p.p. e 111 e 112 Cost. lamentando l’abnormità dell’atto.
Il motivo rappresenta come l’iscrizione nel registro degli indagati fosse solo relativa al delitto di diffamazione, per aver indicato come dedita all’accattonaggio e ripreso in un video elettorale la persona offesa.
Il ricorrente lamenta che il Gip, ravvisata dagli atti di indagine un’ipotesi di reato diversa da quella per cui era stata avanzata richiesta di archiviazione, ha assunto un atto abnorme, che legittima l’indagato all’impugnazione essendo stato leso nel proprio diritto di difesa.
Per approfondimenti, si consiglia il seguente volume il quale propone indicazioni operative e soluzioni per una corretta redazione degli atti e per evitare gli errori più frequenti:
Appello e ricorso per cassazione penale dopo la Riforma Cartabia
Alla luce delle novità introdotte dalla Riforma Cartabia (D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150), il volume propone al professionista che si trova ad affrontare l’appello e il ricorso per cassazione in ambito penale indicazioni operative e soluzioni per una corretta redazione degli atti e per evitare gli errori più frequenti.La prima parte è dedicata all’appello: dove va depositato? Chi può depositarlo, ed entro quando? Quali requisiti devono sussistere? E molte altre questioni di ordine pratico a cui gli autori offrono risposte attraverso richiami alla più significativa giurisprudenza di settore e con il supporto di utili tabelle riepilogative.La seconda parte si sofferma invece sul ricorso per cassazione, dai motivi del ricorso ai soggetti legittimati, dai provvedimenti impugnabili alle modalità di redazione del ricorso e degli atti successivi, con l’intento di fornire indicazioni utili ad evitare l’inosservanza o erronea applicazione della normativa e la scure dell’inammissibilità. Antonio Di Tullio D’ElisiisAvvocato in Larino, giornalista pubblicista e cultore della materia in procedura penale, è autore di numerosi articoli su riviste giuridiche telematiche.Gabriele EspositoAvvocato penalista patrocinante in Cassazione. Autore di manuali di diritto penale sostanziale e procedurale, dal 2017 è Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Napoli.
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2. Imputazione coatta per reato diverso da quello previsto: l’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso limitatamente all’ordine di formulare l’imputazione relativa alla violazione dell’art. 167 d.lgs. 196/2003 premettendo che le Sezioni Unite hanno affermato il principio di diritto secondo cui “è inibito al giudice per le indagini preliminari ordinare al pubblico ministero la formulazione della imputazione nei confronti della persona indagata per ipotesi di reato diverse da quelle per le quali è stata richiesta l’archiviazione, dovendo in tal caso il giudice limitarsi a ordinare l’iscrizione nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. degli ulteriori reati che abbia ravvisato nelle risultanze delle indagini portate a sua conoscenza“.
Al riguardo è stato, infatti, chiarito che “le disposizioni dell’art. 409 c.p.p., commi 4 e 5, concernenti i poteri di intervento del giudice delle indagini preliminari sull’esercizio dell’azione penale, devono formare oggetto di interpretazione estremamente rigorosa, al fine di evitare qualsiasi ingerenza dell’organo giudicante nella sfera di autonomia della pubblica accusa“.
Nel caso in esame, il Pubblico ministero ebbe a iscrivere l’attuale ricorrente nel registro degli indagati esclusivamente per il delitto di diffamazione e ciò vincola l’ambito delibativo del Gip, in occasione della richiesta di archiviazione, in quanto la sua decisione deve confrontarsi solo con l’ipotsi ritenuta, dal pubblico ministero, adeguata a giustificare l’iscrizione nel menzionato registro.
Ad avviso della Corte, inoltre, il Gip ha la possibilità di ritenere, come nel caso in esame, che la condotta iscritta sia diversa da quella effettivamente emergente dagli atti, ma in tal caso non può, come ha invece in modo abnorme ritenuto fare il Gip dell’ordinanza impugnata, ordinare l’imputazione coatta rispetto alla diversa ipotesi di reato.
Oltre al principio sopra richiamato, le Sezioni Unite hanno anche recentemente sancito che “costituisce atto abnorme, ricorribile per Cassazione anche dall’indagato, il provvedimento del giudice per le indagini preliminari che, non accogliendo la richiesta di archiviazione, ordini, ai sensi dell’art. 409, comma 5, cod. proc. pen., che il pubblico ministero fondi l’imputazione per un reato diverso da quello oggetto di richiesta“.
3. La decisione della Cassazione
Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione afferma come il Gip possa unicamente – laddove rilevi che il fatto diverso o anche quello ulteriore, come nel caso in esame, non sia stato adeguatamente valutato dal Pubblico ministero – ordinare l’iscrizione nel registro ex art. 335 cod. proc. pen., perché solo in tal modo vengono ad essere salvaguardate, per un verso, le prerogative del Pubblico ministero che, a quel punto, potrà evidentemente svolgere ulteriori indagini e indirizzarsi, poi, verso una richiesta di archiviazione o l’esercizio dell’azione penale; per altro verso quelle della difesa che, a buona ragione, nel caso di specie, si duole di non essersi potuta confrontare con la nuova ulteriore contestazione.
La Suprema Corte, pertanto, afferma che “l’ordinanza con la quale il giudice per le indagini preliminari ordini l’imputazione coatta per un fatto-reato diverso da quello iscritto nel registro ex art. 335 cod. proc. pen. per il quale è stata avanzata richiesta di archiviazione, è abnorme in quanto in palese violazione dell’equilibrio che deve sussistere fra i poteri e le prerogative delle parti rispetto a quelli del Gip, il quale, nell’ambito della finestra di giurisdizione assegnatagli per il controllo del rispetto del principio della obbligatorietà dell’azione penale ex art. 112 Cost., può solo ordinare l’iscrizione nel menzionato registro del fatto-reato diverso, sia per evitare l’ingerenza nei poteri propri del pubblico ministero di indagine e di determinazione quanto all’esercizio o meno dell’azione penale sul fatto ulteriore, sia anche per garantire i diritti di difesa dell’indagato, da esercitare rispetto alla diversa ipotesi di reato fin dalla fase delle indagini e non solo in fase dibattimentale“.
Ne consegue l’accoglimento parziale del ricorso, in quanto processualmente immune da vizi è l’ordinanza impugnata in ordine all’imputazione coatta disposta per il delitto di diffamazione, mentre va disposto l’annullamento parziale quanto all’imputazione di cui all’art. 167 cit.
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