A fronte del mutato contesto sociale, sempre più rivolto all’informatizzazione senza limiti di accesso, di spazio e di tempo, ci si chiede della tenuta penale di alcune fattispecie poste a presidio dell’onore (diffamazione a mezzo social e reati di vilipendio) in relazione sia alla libertà di manifestazione del pensiero e sia al principio del diritto penale minimo (extrema ratio). In tale contesto, il ricorso alla sanzione penale è realmente necessario?
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Indice
1. Libertà di manifestazione del pensiero e reati di opinione
La libertà di manifestazione del pensiero costituisce un diritto fondamentale (ex artt. 2 e 21 Cost.) posto a fondamento della democrazia[1].
Allo stesso tempo, non si deve dimenticare che proprio il carattere democratico di uno Stato, funge da limite interno a qualsiasi diritto fondamentale [2]. Infatti, come più volte enunciato dalla Corte Costituzionale, non si può riconoscere un diritto fondamentale in senso assoluto in quanto, in tal modo, tale diritto diverrebbe tiranno. Sul punto, bisogna analizzare il portato dell’art. 21 Cost., il quale sembra sia ancorato al solo limite del buon costume. Bisogna, invece, scardinare tale disposizione dal contesto in cui questa è stata generata (fascismo-oppressione di ogni libertà[3]). In tal senso, non solo vi è il richiamo all’ordine pubblico (ideale e materiale), ma è fondamentale la tutela della dignità dell’uomo (art. 3 Cost) posta a tutela della persona umana[4] e ai suoi corollari, tra cui l’onore[5].. Sul punto si richiama il passaggio della sentenza n. 86 del 1974 nel quale la Corte costituzionale ha affermato che “La previsione costituzionale del diritto di manifestare il proprio pensiero non integra una tutela incondizionata e illimitata della libertà di manifestazione del pensiero, giacché, anzi, a questa sono posti limiti derivanti dalla tutela del buon costume o dall’esistenza di beni o interessi diversi che siano parimenti garantiti o protetti dalla Costituzione. […] E tra codesti beni ed interessi, ed in particolare tra quelli inviolabili, in quanto essenzialmente connessi con la persona umana, è l’onore”[6].
Proprio tale assetto costituzionale funge da base giuridica per la tenuta costituzionale dei così detti reati di opinione[7]. Con tale espressione, si fa riferimento ad una serie di fattispecie penalistiche che si rivolgono a punire condotte legate alla manifestazione del pensiero (principio materialistico). .
Generalmente la nozione di reato di opinione viene associata a circa tre classi di reato:
– le varie forme di vilipendio;
– l’apologia di delitto;
– la propaganda razzista..
In merito, bisogna affrontare la tenuta penale di tali tipi di reati in relazione alla libertà di manifestazione del pensiero[8].
Sul punto, è bene ricordare l’intervento della legge 85 del 2006 in relazione proprio ai reati di opinione[9], la quale, oltre ad abrogare e a depenalizzare alcune fattispecie ritenute non più socialmente condivise, ha inciso sul principio di offensività, determinando un correttivo sull’idoneità della condotta all’offesa (passaggio dal tipo reati di pericolo astratto, al tipo reati di pericolo concreto). Infine, a sostegno della tenuta penale degli stessi, si può sostenere la necessità di apportare una tutela piena ed effettiva in relazione a determinate condotte, che data la portata (impatto sulla collettività), potrebbero seriamente provocare, il diffondersi di un sentimento sociale di paura e lambire la coscienza sociale insita nel popolo sovrano. E’ anche vero però, che molte fattispecie, tra cui alcuni reati di vilipendio, risultano essere obsolete perché raramente applicate oltre che risultare lesive dei principii di determinatezza, tassatività e offensività in concreto. (10)
2. Il reato di diffamazione a mezzo social
Il reato di diffamazione[11] (art. 595 c.p.) consiste nel fatto di chiunque “comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione”. Si tratta di un reato comune, potendo venire commesso da “chiunque”. La condotta (a forma libera) consiste nell’offendere l’altrui reputazione, comunicando con più persone. L’assenza del soggetto passivo al momento dell’azione criminosa si traduce nell’impossibilità che la persona offesa percepisca direttamente l’addebito diffamatorio. Tale requisito differenzia il reato di diffamazione dall’illecito civile dell’ingiuria[12].
Tra le circostanze aggravanti previste per il delitto di diffamazione desta particolare attenzione la realizzazione del reato a mezzo internet/social (comma 3 dell’art. 595 c.p.). La sua ratio iuris consiste nella maggiore offesa arrecata all’altrui reputazione a causa della particolare diffusività del mezzo adoperato.
I social network hanno rivoluzionato la comunicazione e l’interazione delle persone[13]. Essendo la vita di una persona proiettata sul mondo virtuale, ne consegue che non vi è alcuna differenza con il mondo reale.
Il punto da definire non è quindi se si possano o meno verificare su internet gli stessi fenomeni che avvengono nel mondo reale ma, in che modo il mondo virtuale agisce su tali fenomeni. La caratteristica più rilevante di internet è la forza di diffusione, che può dirsi istantanea e senza limiti[14]di tempo e spazio (si pensi al diritto all’oblio e al problema della deindicizzazione dei contenuti anche in relazione al luogo in cui opera un determinato sito, tale per cui un contenuto può smettere di circolare nel Paese in cui si è esercitata la giurisdizione, ma continua a circolare in tutti gli altri in cui quest’ultima non può spiegare effetti).
In merito alla portata di internet si deve tenere in considerazione il nuovo contesto sociale improntato a valori comunemente condivisi ma che assumono veste nuova. Si pensi alla categoria dei giovani, i quali sono soliti utilizzare un linguaggio gerghiale e molte volte scurrile, ma socialmente accettato tra gli stessi, tanto da non lambire alcun sentimento di indignazione o offesa. In questi termini entrano in gioco istituti penalistici classici come la necessarietà del diritto penale (extrema ratio), il principio di offensività da valutarsi in concreto e in relazione al reato di diffamazione, il concetto di percezione dell’offesa tra oggettività e soggettività.
Il reato di diffamazione si consuma con la percezione dell’offesa (evento) da parte del soggetto leso nel suo onore. Ne consegue che la valenza soggettiva della percezione dell’offesa riveste un ruolo chiave[15]. Ma ci si deve chiedere fino a che punto può valere tale impostazione. In altre parole si sta cercando di affermare che per quanto sia importante la sfera intima ed individuale della persona offesa, questa non può costituire l’unica leva che va ad azionare il meccanismo penale, poiché esiste un concetto di dignità oggettiva appartenente al comune sentire che deve necessariamente fare da contrappeso alla prima per assicurare il rispetto dei principi cardini del diritto penale.
Il tema è importante perché lambisce lo stesso principio di legalità nella sua accezione di determinatezza della fattispecie e dunque il rispetto del principio di tassatività. Allo stesso tempo, sembra impossibile chiedere al legislatore di definire in maniera precisa cosa può arrecare offesa all’onore di una persona e cosa no. Non resta che affidarci ai criteri della logicità e della razionalità applicati in coerenza con i principi penalistici posti a tutela della libertà personale per attuare la miglior giustizia hic et nunc.
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3. I reati di vilipendio
In primissima battuta, si può affermare che tutti i reati di vilipendio sono rivolti a tutelare beni giuridici superindividuali[16]. A tal proposito, si pensi ai delitti posti a tutela del sentimento religioso[17] ex artt. 403-405 c.p. che, indirizzandosi al vilipendio effettuato nei confronti dei fedeli o nei confronti delle cose ritenute religiose, in realtà si configurano solo se vi sia il dolo generico di vilipendere il sentimento religioso come valore in se e altro rispetto al valore proprio sia del fedele che della cosa oggetto di culto. Tanto è vero che, nel caso in cui la condotta posta in essere, indirizzata nei confronti di un fedele sia priva della volontà di vilipendere, non sarà perseguibile penalmente per mancanza di dolo, ma quando quelle espressioni siano idonee ad arrecare offesa all’onore personale del fedele, potrà configurarsi il reato di diffamazione, (così come nel caso del vilipendio diretto contro cose religiose potrà configurarsi il reato di danneggiamento ex. 435 c.p.). Proprio in relazione alla fattispecie ex art. 403 c.p., in base a quanto poc’anzi affermato, può benissimo configurarsi il caso in cui la stessa condotta possa ledere sia il sentimento religioso e quindi integrare il reato di vilipendio mediante offesa alla persona, che l’onore personale del fedele e quindi integrare il reato di diffamazione, poiché i beni giuridici tutelati sono diversi (ipotesi di concorso formale di reato ed esclusione dell’operare del principio di specialità). Tale dato si aggiunge al quadro delineato poc’anzi e rivela la necessità di effettuare un ripensamento normativo sul punto.
I delitti di vilipendio previsti dagli artt. 403-405 sono stati oggetto di un intervento organico di riforma (legge n. 85 del 2006[18]) e ancor prima di un importante intervento della Corte Costituzionale nel 1975[19] volto a dichiarare l’incostituzionalità di alcune fattispecie indirizzate a tutelare la fede cattolica quale religione Statale (art. 402 c.p.) in palese contrasto con il principio di laicità sia dello Stato che del diritto penale (divieto del diritto penale simbolico) e in palese violazione del principio di non discriminazione nei confronti delle altre confessioni religiose[20]. La legge citata è intervenuta ad abrogare alcune fattispecie ritenute obsolete e di puro sostrato fascista e a mutare il peso della pena, che da detentiva è stata modificata in pecuniaria per quasi tutte le fattispecie vilipendiose. Con l’intervento del 2006 i reati di vilipendio sembrano non destare alcun sospetto di incostituzionalità, in quanto ritenuti necessari per la tutela di diritti fondamentali costituzionalmente protetti, quali il diritto di professare la propria fede religiosa, il decoro delle istituzioni pubbliche ed il sentimento nazionale (art. 54 Cost). Ma è realmente così?
4. Considerazioni conclusive
La scarsa applicazione di una fattispecie penale[21], come avviene per i reati di vilipendio in materia di religione, ad avviso di chi scrive, è già un indicatore della non necessarietà della tutela penale (iperlegificazione). A questo si aggiungono gli argomenti della tenuta del bene giuridico leso, in relazione al principio di offensività in concreto. Sul punto, si intende affermare che nella sostanza risulta difficile, sia fornire la prova della volontà di vilipendere in relazione alle condotte effettive poste in essere, sia la costituzione stessa di tali fattispecie in ordine all’esercizio del diritto ex art. 51 c.p. di manifestare liberamente il proprio pensiero, soprattutto in relazione all’esercizio del diritto di critica e del diritto di satira[22]. E’ vero che tra esercitare un diritto e l’abuso dello stesso vi è differenza ed è giusto apportare delle limitazioni al fine di non sfociare nell’offesa dell’altrui dignità, sia individuale che collettiva, ma è pur vero che il diritto penale non può essere usato come il principale strumento di uno Stato per assicurare il controllo sociale. Il principio di offensività in concreto[23], infatti, garantisce proprio l’esatto opposto, cioè l’intervento penale minimo, non solo posto a tutela della libertà personale, ma invero posto a tutela della tenuta stessa dei valori cardine del diritto penale (extrema ratio-materialità-determinatezza). Tale discorso si aggroviglia se si pensa all’evoluzione sociale che spinge sempre di più verso una società informatizzata senza vincoli di accesso. In tal modo, l’utilizzo di internet, giacché è un bene che deve essere garantito a tutti indistintamente, allo stesso tempo diviene strumento di espressione per tutti, compresi gli adolescenti. Di fronte ad un diciassettenne che scrive un post offensivo dell’onore della Repubblica perché preso da un senso di gerghialità ed ilarità, certamente non potrà dirsi configurato il reato di vilipendio alla Repubblica. Utilizzando la strada della mancanza dell’elemento psicologico, infatti, si risolve il problema dell’imputazione, ma il discorso si converte sulla mancanza della prova e non sul piano normo-sanzionatorio astratto. Ebbene, per quanto fino ad ora affermato, ci si deve chiedere se sia necessario mantenere penalmente rilevanti determinate condotte o se non sia più utile e logico intervenire con altri mezzi. Ancora, elevare il sentimento religioso o il sentimento di pietà per i defunti a bene giuridico è operazione corretta e necessaria?
Si è avuto modo di osservare che determinate condotte di vilipendio sarebbero comunque punibili penalmente (diffamazione, danneggiamento) e dunque non sussisterebbe il problema di un vuoto di tutela, a maggior ragione se si considera la scarsa applicazione pratica di queste fattispecie. Si auspica, quindi, un intervento legislativo rivolto a snellire il diritto penale dalle tante fattispecie obsolete e di rara applicazione, al fine di renderlo conforme ai suoi principi.
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Bibliografia
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- www.cortecostituzionale.it;
- www.normattiva.it;
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Note
- [1]
Gambino A.M., Bianca M., Messinetti R., Libertà di manifestazione del pensiero e diritti fondamentali, Giuffrè, 2016
- [2]
Ferrajoli L., La democrazia costituzionale, Il mulino, 2016
- [3]
Togliatti P., Ciliberto M., Vacca G., La politica nel pensiero e nell’azione. Scritti e discorsi 1917-1964, Bompiani, 19.11.2014, pag. 148 ss.
- [4]
Becchi P., Il principio dignità umana, Morcelliana, 2022
- [5]
Civello G., Il concetto penalistico di onore, Università degli studi di Padova, 2009; Visconti A., Onore, reputazione e diritto penale, EDUCatt Università Cattolica, 2014; Bisogna precisare che per onore si intende l’insieme delle qualità essenziali al valore di ogni persona umana in quanto tale (qualità morali, intellettuali, psichiche, fisiche, caratteriali, professionali, ecc.).
- [6]
In www.cortecostituzionale.it
- [7]
Alesiani L., I reati di opinione.una rilettura in chiave costituzionale, Giuffrè, 2006; Fiore C., I reati di opinione, CEDAM, 1972
- [8]
Pelissero M., Reati contro la personalità dello Stato e contro l’ordine pubblico, Giappichelli, 2010, pag.126
- [9]
Tanzarella P., Discriminare parlando, Giappichelli, 16.06.2020, pag. 121
- [10]
De Francesco G., Milone S., Il diritto penale di fronte alle sfide della -società del rischio.Un difficile rapporto tra nuove esigenze di tutela e classici equilibri di sistema, Giappichelli, 10.07.2018; Pelissero M., Reati contro la personalità dello Stato e contro l’ordine pubblico, Giappichelli, 2010, p.100
- [11]
Pezzella V., La diffamazione, Utet Giuridica, 12.05.2020
- [12]
Faillaci G., Offese tramite «whatsapp»: il discrimen tra diffamazione e ingiuria, in riv. Njus, 20.07.2022
- [13]
Campagnoli, M.N., Informazione, social network e diritto, Key editore, novembre 2020; Giorgino F., Cambio di paradigma, in riv. Social network e diritto, Giappichelli, 2021
- [14]
Gardini G., Le regole dell’informazione:L’era della post-verità, G. Giappichelli Editore, 2017, pag. 243
- [15]
Fumo M., La diffamazione mediatica, Utet Giuridica, 2.2012, si prenda visione del capitolo 2
- [16]
Manes V., Il principio di offensività nel diritto penale, G. Giappichelli Editore, 2005
- [17]
Basile F., I delitti contro il sentimento religioso: tra incriminazione dell’opinione e tutela della libertà di manifestazione del pensiero, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 20 del 2018, p. 1 ss.
- [18]
Su www.normattiva.it
- [19]
Su www.cortecostituzionale.it
- [20]
Corte cost., sent. n. 188 del 1975 (punto 4 del Considerato in diritto). Di recente, nello stesso senso, Cass. pen., sez. III, 13 ottobre 2015, n. 41044 (relativa all’art. 403 c.p.), in Quad. dir. pol. eccl., n. 3/2015, p. 987 ss.
- [21]
Merluzzi C., La punibilità della bestemmia e delle altre offese al culto, in riv, giurisprudenzapenale, 2019, su https://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2019/02/Merluzzi_gp_2019_2-1.pdf
- [22]
Alesci M., Rilievi sul delitto di diffamazione e sul valore scriminante della critica, in riv. Cassazione penale, n.10/2019, Giuffrè, 2019
- [23]
Donini M., Il principio di offensività. Dalla penalistica italiana ai programmi europei, in riv. Criminaljustice, 2013, su https://dpc-rivista-trimestrale.criminaljusticenetwork.eu/pdf/DPC_Trim_4-2013-10-49.pdf
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