Impianto mobile per il recupero dei rifiuti, indispensabile il titolo edilizio (Tar Toscana, Firenze, sez. III, 08/06/2016, n. 964)

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L’allocazione sul territorio di un impianto mobile per il recupero dei rifiuti non è esente, di per sé, dal rilascio del titolo edilizio occorrendo altresì che la sua presenza risponda ad esigenze meramente transeunti e contingenti, verificandosi, altrimenti, una permanente trasformazione del territorio.

 

Il fatto 

La società ricorrente innanzi al Tar Firenze si duole del provvedimento con il quale il competente Comune le ha ordinato di provvedere alla rimozione dell’impianto di smaltimento e recupero di rifiuti in quanto allocato, in assenza di permesso di costruire, su di un’area urbanisticamente destinata a verde e soggetta a vincolo paesaggistico.

 

La decisione del Tar Firenze

La tesi della società ricorrente fa leva su quattro punti:

1) l’opera preesisteva al mutamento di destinazione d’uso da produttivo a verde operato dal PRG;

2) l’impianto era stato autorizzato dalla Provincia con un atto avente anche a valenza edilizia;

3) l’impianto aveva carattere mobile e, pertanto, non necessitava di autorizzazione edilizia e paesaggistica;

4) l’impugnata ordinanza non era stata notificata anche ai proprietari dell’area interessata.

L’adito Tar Toscano evidenzia l’infondatezza dell’assunto per il quale le autorizzazioni all’esercizio dell’impianto rilasciate dalla Provincia legittimerebbero l’impianto stesso anche dal punto di vista edilizio  atteso che le procedure autorizzative semplificate previste dagli artt. 214 e seguenti del D.Lgs. n. 152 del 2006 riguardano “l’esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti” (art. 216, comma 1) e non anche la legittimazione degli impianti attraverso cui tali attività vengono svolte sotto il profilo edilizio.

Invero, l’art. 216 del citato Decreto Legislativo prevede che tali operazioni possano essere intraprese a condizione che vengano rispettate le norme tecniche e le prescrizioni specifiche di cui al precedente art. 214, commi 1, 2 e 3 che, come noto, riguardano la protezione dell’ambiente e non i profili urbanistici ed edilizi degli impianti.

Non solo. Evidenzia il G.A. di Firenze come, anche a voler ammettere che la verifica dei requisiti di stabilimento di cui alla lettera d) del comma 3 del citato art. 216 attenga non solo alla loro idoneità tecnica e alla conformità alle norme ambientali ma comporti anche un esame dei profili urbanistici (come, in giurisprudenza sostenuto dal Tar Palermo nella sentenza 1443 del 2011) ciò non significa che la d.i.a. prevista dall’art. 216 tenga luogo anche del permesso di costruire, se non altro perché in nessun punto della normativa di riferimento emerge che alla stessa debba essere allegato uno specifico progetto edilizio.

Nella citata pronuncia il Tar siciliano ha affermato: <<Ai sensi dell’art. 216, comma 3 a fronte della comunicazione dell’avvio delle operazioni di recupero dei rifiuti, l’Amministrazione è tenuta a verificare la sussistenza delle condizione e dei requisiti richiesti con particolare riferimento, per quanto qui rileva, al b) “il possesso dei requisiti soggettivi richiesti per la gestione dei rifiuti” ed al “d) lo stabilimento, la capacità di recupero e il ciclo di trattamento o di combustione nel quale i rifiuti stessi sono destinati ad essere recuperati, nonché l’utilizzo di eventuali impianti mobili”. Il riferimento ai requisiti soggettivi e soprattutto ai requisiti dello “stabilimento” non può non implicare una valutazione della sussistenza di tutte le condizioni tecniche e di compatibilità urbanistica ed ambientale del sito, valutazione peraltro già direttamente discendente dai principi di buona amministrazione e buon andamento della P.A. (non si vede, infatti, come si possa ritenere legittima l’autorizzazione di un sito di rifiuti in una zona residenziale o turistica). Siffatta valutazione deve considerarsi necessaria anche in sede di rinnovo della comunicazione delle operazioni di recupero, pena, per logica, l’inutilità della comunicazione medesima. Alla scadenza del periodo assentito, in altri termini, la P.A. è chiamata ad operare la medesima verifica della sussistenza dei requisiti e delle condizioni richieste dalla legge in sede di prima autorizzazione>>.

Sovente, sottolinea ancora il Tar Firenze, le normative di settore subordinano il rilascio delle autorizzazioni all’esercizio di determinate attività ad una verifica relativa alla conformità urbanistica degli immobili nei quali esse devono svolgersi, senza che ciò renda superfluo il rilascio delle necessarie autorizzazioni edilizie (è quanto accade, ad esempio, con riguardo alle autorizzazioni inerenti alle strutture commerciali medie e grandi).

Non migliore sorte spetta alla prospettazione di parte attorea secondo cui l’impianto in esame non necessiterebbe di permesso di costruire in quanto “mobile”.

Secondo quanto si legge in sentenza, la facile amovibilità del manufatto non esenta di per sé la sua collocazione sul territorio dal rilascio del titolo edilizio occorrendo altresì che la sua presenza risponda ad esigenze meramente transeunti e contingenti, verificandosi, altrimenti, una permanente trasformazione del territorio.

Secondo il Tar Firenze, in definitiva, l’impianto per il quale è causa non è legittimato da alcun titolo edilizio e ciò rende del tutto superfluo esaminare se la sua presenza possa dirsi, o meno, compatibile con la destinazione urbanistica dell’area su cui è collocato.

In conclusione, quanto alla censura con cui viene dedotta la mancata notifica dell’ordinanza di ripristino ai proprietari dell’area, si sottolinea in sentenza come si tratti di una circostanza che non incide sull’obbligo dell’autore dell’abuso di rimuoverne gli effetti, potendo dolersi della mancata comunicazione solo i proprietari a cui il provvedimento non sia stato effettivamente comunicato.

De Giorgi Maurizio

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