Il provvedimento in diritto

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Il provvedimento, in diritto, è l’atto giuridico adottato nell’esercizio di un pubblico potere, di solito attraverso un procedimento, del quale è l’atto finale.
Sono intesi in questo modo i provvedimenti possono essere emanati nell’esercizio delle funzioni pubbliche, legislazione, amministrazione e giurisdizione.
Si distinguono provvedimenti legislativi o normativi, amministrativi e giurisdizionali.


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Indice

1. La descrizione

I provvedimenti normativi, amministrativi e giurisdizionali, sono dotati di una particolare forza giuridica, detta imperatività o autoritarietà o autoritatività, che deriva dall’essere emanati nell’esercizio di un potere autoritativo che consiste nell’imposizione unilaterale di effetti giuridici e nella costituzione, estinzione o modificazione di situazioni giuridiche soggettive, indipendentemente dal consenso dei soggetti titolari.
Nello stato di diritto, dove vige il principio di legalità, gli organi che adottano i provvedimenti amministrativi e giurisdizionali possono esercitare con gli stessi le potestà conferite da norme generali e astratte, poste con atti normativi, e le devono esercitare in conformità alle stesse, in caso contrario il provvedimento non è valido e precisamente affetto da illegittimità.
Dal principio di legalità deriva la tipicità dei provvedimenti, nel senso che sono tali quelli che prevede l’ordinamento giuridico.

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2. Il provvedimento o atto normativo

La parola provvedimento viene spesso utilizzata con un significato più ristretto, relativo agli unici atti giuridici che si adottano nell’esercizio di un pubblico potere, disponendo per uno o più casi concreti e nei confronti di uno o più soggetti determinati (i destinatari del provvedimento).
Il potere legislativo può emanare leggi che dispongono per uno o più casi concreti e nei confronti di uno o più soggetti determinati.
In questo caso si ha una legge formale (la cosiddetta legge – provvedimento) priva di contenuto generale e astratto e, quando si impatta su procedimenti giurisdizionali in corso, si potrebbero avere inconvenienti di compatibilità con la CEDU.
I provvedimenti intesi in questo modo, si contrappongono agli atti normativi, che possono creare norme giuridiche generali, se rivolte a una pluralità indeterminata di soggetti, e astratte, se applicabili a una pluralità indeterminata di casi, e sono fonti del diritto.
In questo significato più ristretto rientrano i provvedimenti giurisdizionali e quelli amministrativi.
Sono esclusi i provvedimenti legislativi, quali le leggi e i provvedimenti normativi emanati dal potere esecutivo, come i regolamenti, o dal potere giudiziario, presenti in alcuni ordinamenti.

3. Il provvedimento amministrativo

Questo è l’atto conclusivo di un procedimento amministrativo, con il quale si manifesta la volontà di una pubblica amministrazione.
Nell’ordinamento italiano non viene fornita un’autentica definizione di provvedimento amministrativo.
La legge 7 agosto 1990, n. 241 ne detta una disciplina completa, razionalizzando regole di origine giurisprudenziale e dottrinale in tema di efficacia, invalidità, revoca e annullamento d’ufficio.
Anche se il provvedimento resti la soluzione tradizionale e più utilizzata con la quale l’amministrazione esercita il proprio potere, nel tempo sono state introdotte altre modalità di conclusione del procedimento.
Si hanno, in questo modo, strumenti “bilaterali” come gli accordi amministrativi, capaci di valorizzare il dialogo con i privati, oppure istituti come il silenzio assenso, introdotto per garantire la semplificazione.

4. Il provvedimento giurisdizionale

Un provvedimento giurisdizionale, in diritto, è un provvedimento emanato dal giudice nell’esercizio della funzione giurisdizionale e, nell’ambito di un processo, facendolo nella categoria degli atti processuali.
Il più importante provvedimento giurisdizionale è la sentenza, con la quale il giudice definisce interamente o in parte la controversia che gli è stata sottoposta (funzione decisoria).
In ordinamenti dove è prevista la giuria, la sentenza viene pronunciata dal giudice togato e risolve esclusivamente le questioni di diritto, mentre le questioni di fatto vengono in precedenza risolte dalla giuria con la pronuncia del verdetto.
Nell’ordinamento giuridico italiano ci sono tre tipi di provvedimento giurisdizionale:
la sentenza, l’ordinanza e il decreto.
Siccome le norme processuali dettano  una disciplina autonoma per ogni tipo di provvedimento,  tra gli elementi comuni si possono ricordare:
L’efficacia soggettiva, limitata alle parti del processo, oppure ai loro eredi e aventi causa;
L’idoneità a fungere da titolo esecutivo a norma dell’articolo 474, n. 1, del codice di procedura civile.
La sentenza è il principale provvedimento giurisdizionale e ha la tipica funzione decisoria del giudice, mentre ordinanza e decreto svolgono di solito funzioni preparatorie o complementari. La cosiddetta funzione ordinatoria.
In determinati casi, anche ordinanze o decreti possono avere carattere decisorio, che conferisce loro natura sostanziale di sentenza.
Questo può avvenire per scelta del legislatore dettata da motivi di opportunità, per errore del legislatore o per errore del giudice che, ad esempio, utilizza la forma dell’ordinanza per decidere su questioni che dovrebbero essere oggetto di una sentenza.
In questi casi, in base al principio di prevalenza della sostanza sulla forma, il provvedimento segue  lo stesso regime d’impugnazione delle sentenze e può essere impugnato con ricorso per cassazione, a norma dell’articolo 111 della Costituzione, fermi restando gli altri mezzi d’impugnazione che offre l’ordinamento.
La Suprema Corte di Cassazione (sentenza SS. UU. civili n. 390 del 2011) ha affermato che, quando il giudice, sbagliando, emana un provvedimento che avrebbe dovuto avere altra forma,  in forma di sentenza, lo stesso può essere impugnato con i mezzi previsti per le sentenze, vigendo in questo caso il principio dell’apparenza, che deve assicurare maggiore certezza alle parti nella scelta del mezzo d’impugnazione.
 
La sentenza è l’unico provvedimento emanato “nel nome del popolo italiano”.
Sentenza e ordinanza condividono l’obbligo di motivazione, mentre il decreto deve essere motivato negli unici casi previsti dalla legge (vedi art. 135, co. 4, c.p.c. e art. 125, co. 3, c.p.p.).
La sentenza è suscettibile di passare in giudicato, possibilità non sussiste per ordinanza e decreto, se non hanno natura sostanziale di sentenza.

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