Il Principio di non contestazione

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a cura del Dott. Raffaele Cerrato e della Avv. Valentina Aliberti

Il principio di non contestazione come regola istruttoria

Considerare la non contestazione come tecnica di semplificazione del processo con l’effetto di limitare il thema probandum vuol dire, di conseguenza, ritenere che essa si risolve non in una regola di giudizio, bensì in una regola istruttoria: i fatti non contestati hanno lo stesso valore delle prove proposte dalle parti e sulla base di entrambi il giudice deciderà, secondo il suo prudente apprezzamento.

Tuttavia, i fatti non contestati non sono assunti come veri e la non contestazione non costituisce prova legale, né integra un comportamento processuale da cui trarre argomenti di prova: il giudice deve semplicemente valutarli nel contesto del materiale probatorio[1].

Il principio in esame incide in maniera rilevante sulle situazioni giuridiche delle parti e del giudice. Da un lato, condiziona l’obbligo del giudice di disporre i mezzi di prova richiesti dalle parti allo stesso evento cui è condizionato l’onere di fornire la piena prova (la contestazione, appunto); dall’altro condiziona l’onere della piena prova dei fatti posti a fondamento della domanda o dell’eccezione alla contestazione specifica di tali fatti, consentendo, in caso di mancata contestazione, la mera allegazione di essi .

Infatti, la contestazione è strettamente legata all’onere della prova e all’obbligo di disporre dei mezzi di prova, con la conseguenza che gli effetti che si producono su queste due situazioni giuridiche costituiscono il riflesso dell’assolvimento dell’onere di prendere posizione.

Proprio in virtù dell’esistenza di questo stretto rapporto, l’onere di contestazione non può avere, per esigenze di proporzionalità ed omogeneità, un contenuto diverso dal quello dell’onere della prova.

Esso, infatti, si modella sull’onere della prova producendo, tuttavia, conseguenze diverse: il mancato assolvimento dell’onere di contestazione comporta l’equiparazione del fatto non contestato ai fatti provati, eliminandoli dal thema probandum, senza, però, munirli dell’efficacia di prova legale e, quindi, senza produrre alcuna regola di giudizio; invece, il mancato assolvimento dell’onere della prova (ossia di allegazione dei fatti) nei limiti degli elementi disponibili della parte (art. 64, comma 1°, c.p.a.) conduce al rigetto della domanda o dell’eccezione e produce una regola di giudizio (actore non probante reus absolvitur).

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Il contenuto dell’onere di contestazione. La dichiarazione di non conoscenza del fatto

L’art. 64, comma 2°, c.p.a. dispone che «il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti nonché i fatti non specificatamente contestati dalle parti costituite».

E’ necessario, quindi, che la contestazione sia specifica. Il grado di specificità della contestazione che può richiedersi alla parte gravata dall’onere contestativo è direttamente proporzionale a quello delle allegazioni avversarie: tanto più specifica è l’allegazione, tanto più specifica deve essere la contestazione[2] , in base ad una ragionevole e prudente valutazione giudiziale[3]. Se è così, sicuramente non possono essere considerati idonei ad integrare la specifica contestazione richiesta dalla norma il silenzio e l’ammissione, sia esplicita che implicita (quest’ultima derivante dal fatto che la parte sostenga una linea argomentativa incompatibile con la contestazione), del fatto allegato ex adverso.

Infatti, qualsiasi dubbio in ordine alla rilevanza del silenzio è stato superato dalla formulazione dell’art. 64, comma 2°, c.p.a.

Analogamente, la contestazione generica (ad esempio, la contestazione effettuata con formula di stile) deve essere considerata come una mancata contestazione.

L’onere di contestazione specifica previsto dal nuovo art. 64, comma 2°, c.p.a. esclude che sia sufficiente una contestazione generica per evitare gli effetti della mancata contestazione.

E’ utile ribadire che la mancata contestazione esenta l’altra parte dal provare i fatti per i quali sarebbe gravata dall’onere della prova.

Se dubbi non sussistono in ordine al silenzio, all’ammissione e alla contestazione generica, la dottrina ha sollevato qualche dubbio in ordine alla possibilità che la specifica contestazione sia integrata nell’ipotesi di dichiarazione di non conoscenza del fatto.

Il problema può essere risolto alla stregua del confronto fra il contenuto dell’onere della prova e il contenuto dell’onere di contestazione, ritenendo che esso sia attinente non al contenuto, ma all’oggetto dell’onere[4].

In particolare, bisogna prendere le mosse da quanto dispone l’art. 64, comma 1°, c.p.a., le parti nel processo amministrativo sono tenute a «fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni».

Questa formulazione fa sorgere il dubbio in ordine alla dichiarazione di non conoscenza del fatto allegato dall’altra parte. Infatti, la non conoscenza del fatto può essere considerata equivalente alla indisponibilità degli elementi di prova riguardanti il fatto stesso. In sostanza, se la parte non è onerata a fornire gli elementi di prova dei fatti posti a fondamento della propria domanda o eccezione, qualora essi non rientrino nella sua disponibilità, l’altra parte non può ritenersi onerata a contestare un fatto che per lei non è disponibile, per assenza di percezione[5]. Tuttavia, la dichiarazione di non conoscenza non equivale a contestazione: i fatti non conosciuti, infatti, non essendo nella disponibilità della parte, esulano dall’oggetto dell’onere di contestazione. Quindi, si può ritenere che l’assenza dell’onere di contestazione in relazione ai fatti non conosciuti esclude a priori l’applicazione della non contestazione ad essi.

Concludendo sul punto, la dichiarazione di non conoscenza del fatto esula da principio di non contestazione. Tutt’al più essa può costituire argomento di prova, da valutare ai sensi dell’art. 64, ultimo comma, c.p.a .

L’oggetto dell’onere di contestazione

In ordine alla questione dell’oggetto dell’onere di contestare, va previamente ricordato che la non contestazione produce i suoi effetti esclusivamente sul piano probatorio, non costituisce una regola di giudizio: oggetto della non contestazione possono essere solo i fatti che abbisognano di prova nella loro dimensione storica, non anche diritti, rapporti o situazioni giuridiche.

Il giudice può porre alla base della propria decisione un fatto dal quale il ricorrente ritiene far discendere conseguenze giuridiche, mentre se il ricorrente non contesta un motivo di diritto con cui si censura, ad esempio, l’eccesso di potere o la violazione di legge il giudice non trarrà alcuna conseguenza dalla non contestazione e potrà decidere liberamente.

Il fatto che la non contestazione non costituisca una regola di giudizio ma debba essere valutata sul piano probatorio implica che il giudice non ne sia vincolato. Infatti, l’uso del verbo “deve” da parte dell’art. 64 c.p.a. significa solo che il giudice non può che porre alla base della sua decisione le prove offerte dalle parti e i fatti non specificatamente contestati, non anche che ne sia vincolato o che il principio del libero convincimento sia limitato.

La non contestazione, quindi, deve essere una circostanza utile ai fini della verificazione del fatto, ma resta comunque oggetto della libera e discrezionale valutazione del giudice. In questo contesto è utile precisare che la contestazione dei fatti rappresenta un onere solamente quando la controparte abbia interesse alla contestazione. In ordine ai fatti oggetto di contestazione, prima di affrontare la questione sul se devono essere oggetto di contestazione solo i fatti primari o anche i fatti secondari, bisogna precisare che i fatti oggetto dell’onere di contestazione sono tanto quelli rilevanti ai fini della decisione nel merito, quanto quelli riferibili a questioni meramente processuali (si pensi, ad esempio, al momento della notifica del ricorso). Ed infatti, il principio non riguarda le questioni processuali in sé, ma opera in relazione ai fatti che le fondano.

Tra l’altro, una differenziazione tra queste due categorie di fatti non si rintraccia nel codice del processo amministrativo. Per quanto concerne, invece, la dicotomia tra fatti principali e fatti secondari, inquadrando il principio di non contestazione nel principio di preclusione e di economia processuale, cade ogni ragione del distinguere, dovendosi attribuire al comportamento non contestativo il valore di relevatio ab onere probandi[6].

L’onere di contestazione si misura sull’onere della prova, per cui se nell’onere della prova rientrano solo i fatti primari, lo stesso dovrà dirsi per l’onere di contestazione; analogamente se ricadono nell’oggetto dell’onere probatorio anche i fatti secondari .

In particolare, in ordine all’allegazione dei fatti, viene proposta la distinzione tra fatto principale e fatto secondario quale linea di demarcazione del potere di intervento del giudice amministrativo sul fatto, con la conseguenza che spetterebbe al ricorrente allegare sempre i fatti principali (cioè i fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio), laddove spetterebbe al giudice il potere-dovere di assumere le iniziative ritenute più utili per acquisire anche i fatti secondari[7].

Tuttavia, la proposizione del modello fatto principale/fatto secondario presenta aspetti problematici nel processo amministrativo laddove si confronta tale modello con il principio della domanda e con i caratteri propri di quest’ultimo processo, volto ad attribuire rilevanza anche ai motivi di ricorso posti a fondamento della pretesa all’annullamento dell’atto impugnato tramite i quali si tende ad accertare il vizio legato alla valutazione del fatto da parte dell’amministrazione.

Se il fatto non viene tradotto in modo specifico nel motivo di ricorso, esso non assurge a vizio dell’atto impugnato e non può essere preso in considerazione dal giudice. Da quanto precede, bisogna concludere che spetta alle parti introdurre tutti i fatti (sia principali, sia secondari) dai quali desumere un vizio dell’atto impugnato o altra pretesa; la narrazione del fatto deve essere specifica e riferibile in concreto alla realtà. Il giudice può soltanto intervenire per acquisire d’ufficio materiale utile alla prova, ma non per introdurre nel processo fatti non allegati dalle parti. Questi, infatti, ha il potere di prendere iniziative d’ufficio per acquisire al processo materiale o dati informativi rilevanti per la decisione .

I soggetti sui quali grava l’onere di contestazione la reciprocità dell’onere

L’espresso riferimento dell’art. 64, comma 2°, c.p.a. alle sole «parti costituite» consente di limitare l’ambito di operatività soggettivo del principio di non contestazione e di ritenere che l’onere di contestazione spetti soltanto alle parti che hanno preso parte al processo. La scelta di non difendersi attivamente, anche nel processo amministrativo, non può determinare conseguenze negative ulteriori rispetto alla stessa (scelta). In questo modo è stato definitivamente risolto il problema della contumacia, poiché, appunto, si è previsto che la non contestazione debba provenire esclusivamente dalla parte costituita, in linea con l’idea prevalente secondo cui la contumacia è un evento neutro, inidoneo a dispensare l’attore dall’onere della prova[8].

Nel processo amministrativo, come è noto, si contrappongono, da un lato, il ricorrente (ed eventuali cointeressati), dall’altro la p.a. resistente ed i controinteressati.

Dalla formulazione dell’art. 64, comma 2°, c.p.a. emerge che l’onere di contestazione non possa considerarsi unilaterale, ma reciproco in quanto, per il corretto sviluppo della dialettica processuale, l’allegazione di un fatto innesca sempre un meccanismo che impone la sua contestazione.

Ormai, la reciprocità dell’onere di contestazione costituisce un dato acquisito, oltre che per il processo civile, anche per il processo amministrativo.

Da ciò discende che l’onere di contestazione non grava esclusivamente sulla P.A. resistente e sui controinteressati, rispetto alle allegazioni del ricorrente, ma anche sul ricorrente e su qualsiasi interventore, rispetto ai fatti costitutivi posti alla base di un ricorso incidentale e, nelle controversie demandate alla giurisdizione esclusiva, sui fatti costitutivi posti alla base di eccezioni e domande riconvenzionali.

La non contestazione nei processi con pluralità di parti

Il problema che si pone nei processi con pluralità di parti riguarda il se la contestazione di alcune parti sia sufficiente o meno ad evitare gli effetti della non contestazione anche nei confronti di chi non ha contestato. La soluzione a tale problema è diversa a seconda di come si consideri la contestazione. In particolare, se si concepisce la non contestazione come espressione del principio dispositivo in senso sostanziale sorge il problema del contrasto tra la volontà di chi non vuole contestare e la volontà di chi vuole contestare il fatto. In questo caso, la questione può essere risolta se si tiene in adeguata considerazione che, nello stesso processo, il medesimo fatto non può essere ritenuto vero per alcune parti e, allo stesso tempo, falso per altre[9]. Per cui, si potrebbe concludere che è sufficiente la contestazione di una parte cui il fatto è comune per evitare che il fatto diventi non bisognoso di prova. Il problema si risolve agilmente nel caso in cui il principio di non contestazione venga inquadrato nel principio di preclusione e di autoresponsabilità delle parti: in questo caso è pacifico che la contestazione tempestiva di una delle parti sia sufficiente per evitare l’applicazione del principio di non contestazione, anche nei confronti delle altre parti.

Criteri di determinazione della soglia di sufficienza della contestazione

Per quanto riguarda l’individuazione della soglia di sufficienza della contestazione, va da subito posto in evidenza che la misura della contestazione non può che dipendere dalla misura dell’allegazione del fatto da contestare. Essa, cioè, dipende dal grado di precisione dell’allegazione. Come osservato dalla dottrina più recente, la necessaria specularità degli oneri attiene, oltre che all’an dell’onere di contestazione, anche alle modalità, alla soglia minima di sufficienza e alla quantificazione della contestazione necessaria per evitare gli effetti della sua mancanza[10]. In altre parole, l’onere di contestazione sussiste solo se il fatto rilevante è stato effettivamente allegato e la misura della contestazione necessaria e sufficiente dipende dalla misura dell’allegazione del fatto da contestare. Ad ogni modo, il rispetto dell’onere di contestazione deve verificarsi tenendo conto del comportamento difensivo globale tenuto dalla parte.

Limiti temporali della contestazione: il problema dell’assenza di preclusioni nel processo amministrativo

Occorre, adesso, analizzare il problema riguardante il termine entro cui la parte deve assolvere l’onere di contestazione; a differenza del processo civile manca qualsiasi termine entro cui la parte è tenuta a prendere posizione sulle asserzioni altrui. Infatti, nel processo civile la distinzione tra fase preparatoria e fase istruttoria consente di ritenere che, salva la rimessione in termini, non siano ammissibili contestazioni successive alla conclusione della fase preparatoria.

Nel processo amministrativo, invece, non essendoci la distinzione in fasi ed essendo consentito alle parti convenute di costituirsi fino all’udienza di discussione, è difficile ritenere che la contestazione possa mai essere considerata tardiva, in mancanza di un sistema di preclusioni.

Al riguardo, è utile rammentare che l’art. 46 del codice del processo amministrativo stabilisce sì un termine (sessanta giorni dalla ricezione della notifica del ricorso) per la costituzione delle parti intimate, ma non dispone alcuna sanzione o preclusione in caso di inosservanza dello stesso.

Le parti intimate, nell’atto di costituzione, non hanno alcun onere di prendere posizione, a pena di decadenza, sui fatti indicati dal ricorrente, anche ammesso che il termine previsto dall’art. 46 c.p.a. possa essere ritenuto perentorio , a differenza di quanto sostenuto dalla giurisprudenza: la disposizione, infatti, prevede una serie di “attività”, nella quale non figura quella di contestazione.

Stesso discorso si può ripetere per le memorie e le repliche. L’art. 73, comma 1°, c.p.a. prevede solo il termine per il deposito delle memorie e delle repliche. Sulla base di queste considerazioni si può ritenere che la contestazione può avvenire anche nell’udienza di merito. Questo comporta, in primo luogo, che la non contestazione può ritenersi realizzata soltanto dopo l’udienza pubblica di discussione, nel momento in cui la causa viene trattenuta in decisione e, in secondo luogo, in quel momento l’istruttoria potrebbe essere già stata espletata, con assoluta irrilevanza della non contestazione[11]. Chi afferma il fatto deve comunque indicare il mezzo di prova ed il giudice, non essendosi verificato l’evento dedotto in condizione rispetto al suo obbligo di assumere le prove ammissibili e rilevanti, deve procedere all’esperimento del mezzo indicato; invece, qualora il giudice non abbia disposto il mezzo di prova richiesto dalla parte allegante, la contestazione avvenuta in una fase successiva impone il regresso del processo alla fase istruttoria[12]. Tale alternativa discende, come sostiene “Follieri”, dalla qualificazione della condizione apposta all’obbligo di disporre i mezzi di prova richiesti. Infatti, se si ritiene che si tratti di una condizione risolutiva dell’obbligo, con evento condizionante costituito dalla non contestazione, il giudice sarà obbligato ad esperire il mezzo di prova a meno che il fanno non rimanga incontestato.

Ma, come poco fa accennato, nel processo amministrativo l’evento della non contestazione può dirsi realizzato solo nel momento in cui la causa viene trattenuta per la decisione. Qualora, invece, si ritenga che la condizione abbia carattere sospensivo, con evento condizionante costituito dalla contestazione, il giudice non è obbligato a disporre il mezzo di prova fino a quando il fatto non è contestato. Quindi, è solo nel momento in cui interviene la contestazione che il giudice è tenuto a disporre il mezzo di prova, con ritorno del processo alla fase istruttoria, laddove la contestazione (evento condizionante) si realizzi successivamente ad essa. E’ evidente come in entrambi i casi l’intento semplificatorio sotteso al principio di non contestazione ne resta fortemente pregiudicato.

In conclusione, la non contestazione, intesa come regola istruttoria e come meccanismo di semplificazione del processo, volto al perseguimento dell’economia processuale, risulta essere inefficace: essa, infatti, in assenza una barriera preclusiva, può avvenire anche nell’udienza di merito, ove il giudice potrebbe aver esperito già il mezzo di prova richiesto da chi ha allegato il fatto rendendo, in concreto, irrilevante la non contestazione. La stessa previsione di un’udienza istruttoria, nella quale, di fatto, si tramuta l’udienza di merito in cui si dispongono i mezzi di prova risulterebbe inutile, in relazione all’effettività della tecnica semplificatoria della non contestazione, in assenza di un termine di decadenza previsto per l’assolvimento dell’onere di prendere posizione.

Un’udienza istruttoria, cioè, sfornita della barriera della irreversibilità della non contestazione comporterebbe il regresso del processo alla fase istruttoria, qualora si contestasse successivamente il fatto per cui non fosse stato disposto il mezzo probatorio richiesto, con conseguente vanificazione della finalità di economia processuale sottese al principio di non contestazione[13].

Note

[1] In questi termini FOLLIERI, Il principio di non contestazione … cit., p. 1019. Egli aggiunge che, inoltre, il principio di non contestazione crea in capo alla parte non contumace contro la quale i fatti sono stati allegati un onere di specifica contestazione.

[2] BALENA, La nuova pseudo-­‐riforma della giustizia civile, cit., p. 25

[3] SASSANI, L’onere di contestazione, cit.

[4] Così FOLLIERI, Il principio di non contestazione nel processo amministrativo, cit., p. 1022.

[5] E’ stato giustamente affermato che, per evitare limitazioni del diritto di difesa costituzionalmente garantito (art. 24 Cost.), è necessario che la non contestazione operi solo con riguardo ai fatti caduti sotto la diretta percezione della parte onerata a contestare. Così BALENA, op. cit., par. 12.

[6] CARRATTA, Il principio, cit., p. 330 ss.

[7] Si veda FOLLIERI, Il principio di non contestazione … cit., p. 1030.

[8] C.M. CEA, La modifica dell’art. 115 c.p.c. e le nuove frontiere del principio della non contestazione, cit., p. 269-­‐270.

[9] Così CHIOVENDA, Principi di diritto processuale. Le azioni. Il processo di cognizione, Jovene, 1987, p. 1089.

[10] In questi termini F. DE VITA, Onere di contestazione e modelli processuali, Roma, 2012, p. 862.

[11] Così FOLLIERI, Il principio di non contestazione … cit., p. 1025 ss.,

[12] Ancora FOLLIERI, op. cit., p. 1025.

[13] In questi termini FOLLIERI, op. cit., p. 1031 ss, secondo il quale risulta essere assolutamente indispensabile la previsione di un termine entro il quale adempiere l’onere di contestazione, in assenza del quale, quindi, si può giungere a ritenere inesistente tale situazione giuridica soggettiva o, comunque, a ritenerla priva del suo scopo.

Dott. Raffaele Cerrato

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