Guida col cellurare: non serve la querela di falso. La Pa deve difendersi con una vera e propria comparsa di costituzione e risposta

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Giudice di Pace di Verona ha recentemente reso un’importante sentenza, destinata a fornire un rilevante ausilio agli Avvocati che impugnano un verbale di contestazione di illecito amministrativo per violazione al Codice della Strada[1].

La fattispecie dedotta alla cognizione del Giudice era molto semplice: un automobilista era stato sanzionato ai sensi delle previsioni di cui all’art. 173 CdS, per aver guidato col cellulare all’orecchio.

Il guidatore, tuttavia, sosteneva che ciò non fosse vero.

Che fare in questi casi?

Come è noto, il verbale costituisce atto pubblico.

Secondo quanto previsto dalle disposizioni di cui all’art. 2700 cc, tale atto “fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal Pubblico Ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti ed, infine, degli altri fatti che il Pubblico Ufficiale attesta come avvenuti in sua presenza, ovvero da lui stesso compiuti”.

Chiaro, allora, che, in un caso come questo, in cui, nel verbale, gli Operatori di Polizia dichiarano di aver visto il conducente reggere il cellulare, non c’è altra via che esperire il rimedio in parola.

Competente a conoscere del procedimento mediante il quale si contestano le risultanze d’un atto pubblico è il Tribunale.

Di conseguenza, laddove, avanti al Giudice di Pace sia contestato il merito del contenuto del verbale, secondo il disposto di cui all’art. 313 cpc, il Giudice, se ritenga il documento rilevante per la causa, deve sospendere il Giudizio e rimettere le parti “avanti al Tribunale per il relativo procedimento”[2].

In realtà, il Giudice di Pace di Verona ha percorso un’altra e ben più interessante strada.

Alla prima udienza, infatti, la Pubblica Amministrazione, segnatamente la Prefettura, non era comparsa.

L’Ufficio Territoriale del Governo si era comunque in precedenza costituito, rispettando il termine di dieci giorni prima dell’udienza, tuttavia lo aveva fatto con un atto che tale non poteva dirsi, essendo uno striminzito foglio unico, su cui, in sostanza, la Prefettura dichiarava di costituirsi e chiedeva il rigetto del ricorso. Non una parola di più!

Seguiva l’elenco di alcuni documenti prodotti.

Il difensore del ricorrente, in sede di udienza, faceva rilevare come l’atto di costituzione dovesse considerarsi invalido, mancando dei requisiti di legge.

Il Giudice di Pace di Verona ha accolto il ricorso, ritenendo puntuali le censure sollevate dal patrocinio del cittadino.

Osserva il Giudice Scaligero, infatti, come il d.lgs. 150/2011, all’art. 7, abbia stabilito l’applicazione per i procedimenti di opposizione alle sanzioni amministrative per violazioni al Codice della Strada, vale a dire quelli promossi ex art. 204 bis CdS, del Rito del lavoro, il quale, all’art. 416 cpc, co. 1, stabilisce che il convenuto debba costituirsi, per l’appunto, almeno dieci giorni prima dell’udienza e prevede, al co. 2, che la costituzione si effetti “mediante deposito d’una memoria difensiva nella quale devono essere proposte, a pena di decadenza, le eventuali domande in via riconvenzionale e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio”.

La medesima disposizione, al co. 3, ulteriormente stabilisce che, nel proprio atto, “il convenuto debba prendere posizione  in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda, proporre tutte le sue difese in fatto e in diritto ed indicare specificamente, a pena di decadenza, i mezzi di prova dei quali intende avvalersi ed in particolare i documenti che deve contestualmente depositare”.

Nulla di più lontano, quindi, da un foglio A4 in cui stavano le conclusioni e nient’altro.

La mera dicitura “la Prefettura si costituisce” si rivela una vacua e vuota formula di stile, inconsistente ed inidonea a perseguire alcuno scopo, quindi le richieste sono meri desiderata.

La circostanza che sussistano produzioni documentali, in carenza d’una presa di posizione precisa, così come richiesto dal dettato legislativo, dunque, nemmeno si rivela passibile di conseguire alcun risultato, giacché non pare legittimo scaricare sul Giudice il compiuto di svolgere attività difensiva per conto della Pubblica Amministrazione, la quale è pur sempre una pare, cioè un soggetto alla pari del ricorrente ed in condizioni di equidistanza dal Giudicante.

La stessa Suprema Corte di Cassazione, del resto, ha da tempo chiarito come il semplice deposito della documentazione soggiacente all’atto contestato non integri una rituale costituzione in giudizio da parte della Pubblica Amministrazione, ritrovandosi, invece, la parte che intenda costituirsi nel giudizio, onerata di rispettare le specifiche modalità per la realizzazione di tale attività processuale, mediante la formazione del proprio fascicolo (Cass. 12617/2006).

Il Giudice di Pace Scaligero evidenzia come l’omessa integrazione dell’onere d’una precisa presa di posizione, mediante un’adeguata contestazione, sviluppi l’effetto di dare luogo alla conseguenza prevista dall’art. 115 cpc co. 1, secondo la riforma introdotta dall’art. 45 co. 14 della l. 69/2009, di modo che il Giudice può porre a fondamento della propria decisione pure “i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita”.

Si legge nella sentenza in commento che la costituzione articolata dall’Ente pubblico fosse irrituale, “non avendo lo stesso svolto alcuna contestazione sulle eccezioni sollevate dall’opponente”, per cui ne deriva che “i motivi di opposizione devono quindi ritenersi pacifici”.

Tale pronuncia, dunque, appare particolarmente utile, poiché fissa un punto determinante e lancia un segnale ben preciso: la Pubblica Amministrazione è onerata di compiere uno sforzo identico a quello che compie il privato che, mediante il ricorso, postula da parte del Giudice prestazione di tutela giurisdizionale.

Occorre rammentare come il d.lgs. 150/2011, all’art. 7, co. 10, infatti, recuperando il testo dell’abrogato art. 23, u.c., della l. 689/1981, stabilisca che “il Giudice accoglie l’opposizione, quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente”.

La regola da tenere sempre a mente è che, nei procedimenti di opposizione rispetto alle pretese impositive da parte della PA, questa è convenuta in senso soltanto formale, assumendo, invece, la veste di attrice in senso sostanziale, con ogni conseguenza in punto di onere della prova, di modo che questo grava su di essa e non già sul privato (ex plurimis, Cass. 5277/2007).

Allorché il cittadino contesta la validità della pretesa azionata a suo carico da parte della macchina pubblica e si rivolge ad un Giudice, è quest’ultima a dover fornire evidenza della validità della sua pretesa.

Il privato, dal canto suo, non è tenuto a svolgere alcuna attività diversa dall’introduzione della lite, mediante la contestazione dell’atto della Pubblica Amministrazione.

La pronuncia qui in commento, quindi, pare rilevante, sia perché, per un verso, stabilisce come, per invalidare un verbale, non serva impiegare lo strumento della querela di falso, se la Pubblica Amministrazione compia una costituzione soltanto apparente, sia perché si ascrive al novero di pronunce che rientrano nel solco della legalità.

Sia consentita, in chiusura a tale chiosa, una nota polemica: quante volte capita di recarsi in udienza davanti al Giudice di Pace e trovarsi dinanzi un Magistrato che dà la sensazione di ascoltare le difese proposte soltanto per dovere d’ufficio, dando la netta sensazione di ritenere che il verbale contestato contenga la verità? A chi scrive, è successo svariate volte.

Irrita entrare nella stanza del Giudice, dove il funzionario pubblico è già accomodato, avendo udienze tutta la mattina col Magistrato, col quale si danno del “Tu” e dover tentare una partenza in salita.

La sentenza resa dal Giudice di Pace di Verona si inserisce nell’alveo della legittimità, del rispetto autentico per il dettato normativo e per l’art. 111 Cost., a mente del quale “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”, per cui “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a Giudice terzo e imparziale”.

Per il Giudice Scaligero, la Pubblica Amministrazione è una parte che si trova su un piano di parità rispetto al cittadino.

Questa è tenuta, dunque, alla pari dell’altra, a redigere un atto processuale con requisiti precisi.

Quando ciò non avvenga, i rilievi sollevati da parte del ricorrente si considerano come pacifici, con la conseguenza, automatica, di dover considerare l’atto impositivo come carente di fondamento e il che conduce, dunque, per necessità, all’accoglimento del ricorso.

 


[1] GdP Verona, sent. 2563/2015, est. Vincenzo de Rosa

[2] Il GdP può anche, ex art. 225 cpc, co. 2, può, su istanza di parte, disporre che la trattazione della causa prosegua pendente avanti a lui prosegua relativamente alle domande che possono essere decise indipendentemente dal documento impugnato. Va da sé che, in un giudizio di impugnazione d’un verbale, ciò sia impossibile, ruotando tutto sul contenuto dell’atto impugnato.

Avv. Lorusso Alberto

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