Genesi del reato di associazione per delinquere

Marco Vitali 18/07/23
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Il Codice Penale, all’articolo 416, disciplina l’associazione per delinquere.
La ratio di tale fattispecie criminosa risulta derivare dalla necessità di sanzionare alcuni peculiari fenomeni sociali, particolarmente violenti, verificatisi nel corso della storia del nostro paese.
L’attuale norma è quindi il prodotto dell’evoluzione di diverse tipologie di associazioni criminali che, nel corso dei secoli, si sono formate ed evolute all’interno del territorio della Penisola.

Per approfondire consigliamo: Compendio di Diritto penale – Parte generale

Indice

1. L’association de malfaiteurs del Codice Napoleonico


Per quanto riguarda il reato associativo dell’associazione per delinquere, un primo inquadramento giuridico risulta essere presente già nel “Codice Napoleonico pel Regno d’Italia” del 1810, il quale, all’interno dei suoi articoli dal 265 al 268, è andato a tipizzare la fattispecie delittuosa della association de malfaiteurs, la quale viene annoverata tra i delitti contrari alla pace pubblica[1]. Tuttavia, gli articoli in questione hanno descritto un modello associativo estremamente limitato e ricollegabile prevalentemente al fenomeno del banditismo degli chauffeurs[2].
Invero, la prima forma di associazione per delinquere, sorta nel contesto italiano, risulta essere estremamente vicina a quella sopradescritta. Difatti, la stessa, era ricollegabile al fenomeno del brigantaggio rurale il quale, grazie alla sua evoluzione secolare, è riuscito periodicamente a sottrarsi al regime sanzionatorio dello Stato[3]. Tale evoluzione storica ha modificato profondamente lo scopo di queste associazioni che, prima dell’unificazione, erano anche mosse da finalità politiche e sociali, ma che successivamente sono state costituite solo con finalità criminose e con lo scopo di perpetrare, in maniera illecita, l’arricchimento dei partecipanti al sodalizio[4].
La necessità di sfuggire ad una più ingombrate presenza dello Stato ha imposto a queste associazioni una repentina maturazione, sia sul piano organizzativo sia su quello strutturale, la quale ha evidenziato le carenze presenti all’interno della normativa vigente[5].


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2. L’associazione per delinquere nel Codice Zanardelli


Una nozione sicuramente più moderna e completa del reato de quo viene fornita all’interno del Titolo V (Delitti contro l’ordine pubblico) Capo II (Dell’associazione per delinquere) del Codice Penale Zanardelli[1]. Tale codice risulta essere una tappa fondamentale di quel processo di astrazione e generalizzazione della norma, in parte ancora assente all’interno del Codice Napoleonico[2].
A tal riguardo, al primo comma dell’articolo 248 del Codice Penale Zanardelli si prevedeva che:
Quando cinque o più persone si associano per commettere delitti contro l’amministrazione della giustizia, o la fede pubblica, o l’incolumità pubblica, o il buon costume e l’ordine delle famiglie, o contro la persona o la proprietà, ciascuna di esse è punita, per il solo fatto dell’associazione, con la reclusione da uno a cinque anni”.
Proprio da questa concezione di associazione per delinquere sono derivati alcuni aspetti fondamentali presenti anche nell’odierna disciplina. In particolare, da essa deriva l’idea che il vincolo tra consociati debba essere permanente e che i partecipanti debbano avere intenzione di costruire una stabile società, la quale minacci l’ordine pubblico attraverso il perseguimento dei delitti-scopo[3].

3. L’associazione per delinquere nel Codice Rocco


Il Codice Rocco introdusse l’attuale disciplina dell’associazione per delinquere, optando per una formula maggiormente ampia e omnicomprensiva, dando così vita all’articolo 416 del Codice Penale[1].
L’astrattezza e la generalità della nuova previsione erano giustificate dal fatto che l’associazione poteva costituirsi per compiere qualsiasi tipo di delitto. Tuttavia, il limite della nuova previsione codicistica risultava essere legato al fatto che venivano considerati allo stesso modo reati associativi diversi e di diverso grado di intensità e  di allarme sociale[2]. Motivo per cui negli anni seguenti si è assistito ad un progressivo proliferare di figure associative delittuose speciali, tra le quali si ricordano: cospirazione politica mediante accordo (articolo 304 Codice Penale), cospirazione politica mediante associazione (articolo 305 Codice Penale), associazioni sovversive (articolo 270 Codice Penale) e – in tempi più recenti – associazione con finalità di terrorismo (articolo 270 bis Codice Penale) e associazione di tipo mafioso (articolo 416 bis Codice Penale)[3].
Il reato in questione è stato strutturato come un reato di pericolo, il quale si perfeziona senza che sia necessaria la concreta attuazione del programma criminoso[4]. Ciò deriva dall’utilizzo dell’inciso “per ciò solo”, il quale fa discendere la punibilità dalla mera esistenza del sodalizio prescindendo quindi dalla realizzazione effettiva dei delitti scopo[5].
Il legislatore anticipa quindi la tutela, andando a sanzionare i fatti delittuosi che minacciano l’esistenza o il godimento del bene giuridico tutelato[6] (nel caso in esame l’ordine pubblico). In questo modo il legislatore, andando a reprimere la costituzione dell’associazione per delinquere, riduce la possibilità che vengano portati a compimento i reati-fine derivanti dal vincolo associativo[7].
Infine, il primo comma dell’articolo 416 del Codice Penale esordisce esponendo che:
Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti
Questo significa che, come per il Codice Zanardelli, anche nell’attuale Codice Penale il reato in questione va annoverato nella categoria dei reati necessariamente plurisoggettivi in senso stretto, tra i quali si circomprendono quei reati il cui fatto richiede come elemento costituivo il compimento di una pluralità di condotte da parte di una pluralità di persone[8].

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  1. [1]

    Cfr. S. ALEO, Delitti associativi e criminalità organizzata. I contributi della teoria dell’organizzazione, in Rassegna penitenziaria e criminologica, settembre-dicembre 2012, p. 8 e ss.

  2. [2]

    Si intende: briganti che assaltavano le case di campagna e che attraverso diverse metodologie di tortura obbligavano le vittime a consegnare i valori.

  3. [3]

    Cfr. AA.VV., I delitti contro l’ordine pubblico, a cura di G. INSOLERA, in Diritto penale. Lineamenti di parte speciale, Milano, Monduzzi Editoriale 2016, p. 312.

  4. [4]

    Cfr. L. SIMEONE, I reati associativi, Santarcagelo di Romagna, Maggioli Editore, 2015, p. 16.

  5. [5]

    Cfr. L. SIMEONE, I reati associativi, cit., p. 16.

  6. [6]

    Si intende il Codice Penale del Regno d’Italia in vigore dal 1889 al 1930, il quale venne sostituito in epoca fascista dal Codice Penale Rocco.

  7. [7]

    Cfr. S. Aleo, Delitti associativi e criminalità organizzata. I contributi della teoria dell’organizzazione, cit., p. 12.

  8. [8]

    Cfr. L. SIMEONE, I reati associativi, cit., p. 17

  9. [9]

    Cfr. AA. VV., I reati associativi e di contiguità, a cura di G. TONA, in Trattato di diritto penale. Parte speciale, Torino, Utet Giuridica, 2008, p. 1070.

  10. [10]

    Cfr. S. ALEO, Delitti associativi e criminalità organizzata. I contributi della teoria dell’organizzazione, cit., p. 13.

  11. [11]

    Cfr. S. ALEO, Delitti associativi e criminalità organizzata. I contributi della teoria dell’organizzazione, cit., p. 13.

  12. [12]

    Cfr. G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale parte speciale, Bologna, Zanichelli, 2012, p. 485.

  13. [13]

    Così G. DE VERO, Tutela dell’ordine pubblico e rati associativi, Rivista italiana di diritto e procedura penale, in AA.VV., I delitti contro l’ordine pubblico, a cura di G. INSOLERA, in Diritto penale. Lineamenti di parte speciale, cit., p. 312.

  14. [14]

    Cfr. G. Marinucci, E. Dolcini, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, Giuffrè Editore, 2012, p 207.

  15. [15]

    Cfr. L. Simeone, I reati associativi, cit., p. 17.

  16. [16]

    Cfr. G. Marinucci, E. Dolcini, Manuale di diritto penale. Parte generale, cit., p 228.

Marco Vitali

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