Il fornitore e il rivenditore abituali devono considerarsi partecipi dell’associazione a delinquere al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope?: vediamo in che modo

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 Indice

  1. Il fatto
  2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
  3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
  4. Conclusioni

(Riferimento normativo: d.P.R. n. 309/1990, art. 74)

1. Il fatto 

Il Tribunale di Reggio Calabria rigettava un appello cautelare presentato nell’interesse di una persona attinta dalla misura cautelare della custodia in carcere per il delitto di cui agli artt. 99 cod. pen., 74 d.P.R. 309/1990, commi 1, 2, 3, 4, 416 bis. 1 cod. pen..

2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso tale provvedimento proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’indagato che deduceva i seguenti motivi: 1) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 309, comma 9, terzo inciso, 292, comma 2-ter, 273 cod. proc. pen. e 74 d.P.R. 309/1990 in quanto, secondo la difesa, la condotta era stata contestata in termini del tutto generici con riferimento al dato temporale; 2) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 274, lett. a) e c), ultimo periodo, cod. proc. pen., come introdotto dall’art. 2, comma 1, lett. c) della l. n. 47/2015, posto che, a parere del difensore, il Tribunale aveva omesso di indicare le ragioni che avrebbero dovuto necessaria l’adozione della misura cautelare, riposte semplicemente nel titolo di reato per cui si procedeva, in ordine agli elementi che rendevano concreto ed attuale il pericolo di recidivanza. 


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3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione 

Il ricorso era dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.

La Suprema Corte, a fronte di deduzioni difensive che invocavano principi, reputati dalla Corte di legittimità, estranei alla fase cautelare, riteneva prima di tutto di dover chiarire in premessa i limiti di sindacabilità da parte della stessa Cassazione dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà personale, evidenziandosi a tal riguardo che, secondo una giurisprudenza consolidata, condivisa anche in questa occasione, l’ordinamento non conferisce al giudice di legittimità alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonchè del tribunale del riesame.

Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: a) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr., Sez. 6, n. 2146 del 25/05/1995; Sez. 2, n. 56 del 07/12/2011) tenuto conto altresì del fatto che, per un verso, il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi, per altro verso, ai fini della configurabilità dei gravi indizi di colpevolezza necessari per l’applicazione delle misure cautelari personali, è illegittima la valutazione frazionata e atomistica della pluralità degli elementi indiziari acquisiti (cfr., Sez. 2, n. 9269 del 05/12/2012; Sez. 1, n. 39125 del 22/9/2015; Sez. F, n. 38881 del 30/7/2015) posto che è necessario, non solo accertare, in un primo momento, il maggiore o minore livello di gravità e precisione dei singoli indizi, ciascuno isolatamente considerato, ma anche, in un secondo momento, procedere al loro esame globale ed unitario, verificando se sulla scorta di tale complessiva valutazione fosse possibile dissolverne la relativa “ambiguità” e a inserirli in una lettura complessiva che di essi chiarisca l’effettiva portata dimostrativa e la congruenza rispetto al tema di indagine prospettato dall’accusa nell’imputazione provvisoria su cui si fonda la misura cautelare.

Orbene, per gli Ermellini, tale compito risultava essere stato correttamente adempiuto dal giudice del riesame nel caso di specie.

In ogni caso, sempre secondo quanto rilevato dai giudici di piazza Cavour, la nullità, che la legge pone a presidio del corretto adempimento del dovere di valutazione critica, non può essere relegata in una dimensione squisitamente formalistica, e non può quindi essere dedotta facendo leva esclusivamente sulla rilevazione di particolari tecniche di redazione che al più possono valere quali indici sintomatici ma non sono esse stesse ragioni del vizio mentre, a fronte di ciò, la parte interessata deve, invece, indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali l’asserita accettazione acritica avrebbe impedito apprezzamenti di segno contrario e di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate (Sez. 1, n. 333 del 28/11/2018).

Premesso questo, il Supremo Consesso stimava aspecifico e comunque manifestamente infondato il primo motivo in quanto, a suo avviso, il Tribunale risultava aver fatto buon governo del principio, che costituisce ius receptum, secondo cui l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti sussiste anche quando sia rilevabile un vincolo durevole che accomuna il fornitore di droga e gli spacciatori acquirenti che in via continuativa la ricevono per immetterla nel mercato del consumo (così, ex multis, Sez. 5, n. 51400 del 26/11/2013, in cui, dopo aver precisato in motivazione che la “ratio” della configurabilità del vincolo associativo tra fornitore e acquirente abituale di sostanze stupefacenti all’interno dell’unico sodalizio criminale nel quale essi operano risiede nella reciproca consapevolezza che la stabilità del rapporto instaurato garantisce l’operatività dell’associazione in quanto tale, rivelando così l’“affectio societatis” dello stesso acquirente o fornitore, ha annullato con rinvio la decisione di merito che non aveva motivato sulla esistenza della prova di tale necessario coefficiente di stabilità del rapporto), così come, nello stesso solco giurisprudenziale, si colloca poi la pronuncia con cui si è affermato che l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti sussiste anche quando il vincolo associativo poggia sul rapporto che accomuna, in maniera durevole, il fornitore della sostanza e gli spacciatori, sempre che vi sia consapevolezza di operare nell’ambito di un’unica associazione e di contribuire alla realizzazione del fine comune di trarre profitto dal commercio di droga (così, Sez. 2, n. 6261 del 23/01/2013).

Oltre a ciò, era altresì fatto presente che, in relazione alla specificità del ruolo di partecipe assunto dal ricorrente, sia il fornitore che il rivenditore abituali devono considerarsi parimenti partecipi dell’associazione, anche se non conoscono personalmente tutti i soggetti che ne fanno parte, e ciò in conformità con il principio, espresso da Sez. n. 6 n. 3509 del 10/01/2012, secondo cui l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti sussiste non solo nel caso di condotte parallele poste in essere da persone accomunate dall’identico interesse di realizzazione del profitto mediante il commercio di droga, ma anche nell’ipotesi di un vincolo durevole che accomuna il fornitore di droga agli acquirenti, che in via continuativa la ricevono per immetterla nel mercato del consumo, non essendo di ostacolo alla costituzione del vincolo associativo e alla realizzazione del fine comune né la diversità di scopo personale, né la diversità dell’utile, ovvero il contrasto tra gli interessi economici che i singoli partecipi si propongono di ottenere dallo svolgimento dell’intera attività criminale.

E così, in definitiva, l’associazione ex art. 74 d.P.R. n. 309/1990 può dirsi realizzata sia dalla unione di più persone che operano, anche in via soltanto parallela, per la realizzazione di profitti con lo spaccio della droga, sia dal vincolo che lega il soggetto che si adopera per rifornire il mercato, in via continuativa, con l’organizzazione territoriale dedita allo spaccio, purché tutti i soggetti abbiano la consapevolezza di agire nell’ambito di una organizzazione, nella quale l’attività dei singoli si integrano strumentalmente per la finalità perseguita e purché l’acquirente-rivenditore sia stabilmente disponibile, inoltre, a ricevere le sostanze stupefacenti con tale continuità da proiettare il singolo atto negoziale oltre la sfera individuale, come elemento della complessiva ed articolata struttura organizzativa.

Integra, pertanto, la condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti la costante disponibilità a fornire le sostanze dì cui il sodalizio fa traffico, tale da determinare un durevole rapporto tra fornitore e spacciatori che immettono la droga nel consumo al minuto, sempre che si accerti la coscienza e volontà di far parte dell’associazione, di contribuire al suo mantenimento e di favorire la realizzazione del fine comune di trarre profitto del commercio di droga (Sez. 6, n. 41612 del 19/06/2013) fermo restando però che, per la configurabilità della condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti, non è richiesto un atto di investitura formale ma è necessario che il contributo dell’agente risulti funzionale per l’esistenza dell’associazione in un dato momento storico (così, Sez. 4, n. 51716 del 16/10/2013, fattispecie in cui la Suprema Corte ha riconosciuto il ruolo di partecipe al soggetto che risultava essere l’intestatario del contratto di locazione dell’immobile all’interno del quale era occultata e venduta la sostanza stupefacente).

Tuttavia, la configurabilità della condotta di partecipazione richiede pur sempre la prova della stabile adesione dell’agente ad un sodalizio riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990, ovvero della consapevolezza e volontà di partecipare, assieme ad altre due persone aventi la stessa consapevolezza e volontà, ad una società criminosa strutturata e finalizzata secondo lo schema legale (Sez. 6, n. 50133 del 21/11/2013, relativa ad un caso in cui la Suprema Corte ha annullato con rinvio un provvedimento cautelare personale in cui i gravi indizi di colpevolezza erano desunti da due sole conversazioni telefoniche concernenti la ricerca di “canali di

rifornimento della droga” e la partecipazione ad uno specifico acquisto di sostanza stupefacente; nello stesso senso, Sez. 6, n. 9927 del 05/02/2014).

Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, i giudici di legittimità ordinaria ritenevano come il provvedimento impugnato avesse dato atto come il ruolo di fornitore e grossista svolta dal ricorrente a favore del sodalizio risultava essere stato ampiamente dimostrato.

Infine, medesime conclusioni di aspecificità e manifesta infondatezza, per la Corte di legittimità, involgevano il secondo motivo, avendo il Tribunale dato atto di come la contestazione di cui all’art. 74 d.P.R. n 309/1990 aveva impresso alla misura cautelare un particolare statuto, per la presenza di ben due presunzioni, una di sussistenza delle esigenze cautelari e l’altra di adeguatezza della misura custodiale massima, costituendo onere della difesa dedurre elementi fattuali positivamente idonei a scardinare la tenuta delle predette presunzioni: operazione che la difesa, sempre la Cassazione, non aveva efficacemente compiuto, essendosi limitata a prospettare la risalenza temporale delle condotte senza addurre alcun elemento idoneo a far ritenere insussistenti le già riconosciute esigenze cautelari.

In particolare, si era ritenuto come, nella fattispecie, il concreto ed attuale pericolo di recidivanza si traesse non dal titolo di reato in contestazione in sé considerato, bensì dalle modalità del ruolo operativo svolto dall’indagato all’interno del sodalizio: circostanza in fatto che, per la Corte, rendeva ineludibile la disposta misura (risultando inidonea ogni altra misura, compresa quella degli arresti domiciliari, peraltro richiesta nel medesimo luogo ove operava l’associazione) ed irrilevante ogni altro dato astrattamente favorevole al ricorrente non rilevando, a tal fine, lo stato di incensuratezza, condizione preesistente alla commissione dei reati accertati nel presente procedimento.

4. Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante in quanto in essa è ivi chiarito in che termini il fornitore e il rivenditore abituali devono considerarsi partecipi dell’associazione a delinquere al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Difatti, si afferma in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che, sia il fornitore che il rivenditore abituali devono considerarsi parimenti partecipi dell’associazione, anche se non conoscono personalmente tutti i soggetti che ne fanno parte, nella misura in cui vi sia un vincolo durevole che accomuni il fornitore di droga agli acquirenti, che in via continuativa la ricevono per immetterla nel mercato del consumo, non essendo di ostacolo alla costituzione del vincolo associativo e alla realizzazione del fine comune né la diversità di scopo personale, né la diversità dell’utile, ovvero il contrasto tra gli interessi economici che i singoli partecipi si propongono di ottenere dallo svolgimento dell’intera attività criminale.

In particolare, per quanto concerne il fornitore, è altresì postulato che è annoverabile, nella condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, la costante disponibilità a fornire le sostanze dì cui il sodalizio fa traffico tale da determinare un durevole rapporto tra fornitore e spacciatori che immettono la droga nel consumo al minuto, sempre che si accerti la coscienza e volontà di far parte dell’associazione, di contribuire al suo mantenimento e di favorire la realizzazione del fine comune di trarre profitto del commercio di droga, nel senso che vi sia la consapevolezza e la volontà di partecipare, assieme ad altre due persone aventi la stessa consapevolezza e volontà, ad una società criminosa strutturata e finalizzata secondo lo schema legale, fermo restando però che, per la configurabilità della condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti, non è richiesto un atto di investitura formale, ma è soltanto necessario che il contributo dell’agente risulti funzionale per l’esistenza dell’associazione in un dato momento storico.

Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta venga mossa un’accusa di questo genere allo scopo di verificare se l’accusato possa considerarsi (o meno) intraneo a questa consorteria criminosa.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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